Nel labirinto narrativo dei videogiochi contemporanei, pochi titoli riescono a spiazzare il giocatore quanto Nier: Automata, un'opera che sfida deliberatamente ogni convenzione del medium attraverso i suoi 26 finali differenti e una struttura che sembra ribellarsi alla comprensione lineare. Il segreto di questa complessità deliberata emerge dalle parole del suo creatore, Yoko Taro, che in una recente intervista con Archipel ha svelato come l'incomprensibilità del gioco non sia un difetto, ma una caratteristica progettata con precisione chirurgica. La filosofia dietro questo approccio radicale rivela molto sulla natura stessa della creatività videoludica e sui limiti dell'empatia narrativa.
L'arte dell'incomprensione programmata
Quando Taro, nascosto dietro la sua caratteristica maschera di Emil, riflette sul processo creativo di Automata, descrive un percorso che parte dall'intenzione di creare qualcosa di "più confuso" rispetto ai suoi lavori precedenti. A differenza di Drakengard, immerso nella violenza e nell'oscurità, o di Nier Replicant, costruito attorno al tema del dolore, Automata nasceva senza una direzione emotiva precisa ma con l'obiettivo dichiarato di disorientare.
Il punto di partenza di questa strategia narrativa si materializza nel personaggio di Simone, il robot femminile che canta sul palco. Taro spiega come questo personaggio sia stato concepito specificamente per essere impossibile da comprendere: "Si dedica completamente a un uomo mentre si veste con cadaveri. Ho aggiunto questo tratto con cui i giocatori non possono relazionarsi". Una scelta che ribalta completamente l'approccio di Replicant, dove ogni conflitto aveva una motivazione comprensibile.
La metafora del cubo imperfetto
La filosofia creativa di Taro trova la sua espressione più poetica nella metafora del cubo d'argilla, un'immagine che cattura l'essenza del processo creativo nel medium videoludico. Costruire una storia è come modellare un cubo dall'argilla, spiega il designer giapponese, descrivendo il processo infinito di correzioni che caratterizza ogni progetto creativo.
Questa analogia rivela una verità universale del processo creativo: la perfezione rimane sempre un miraggio, e ogni correzione genera nuovi difetti da sistemare. Il momento della consegna finale non rappresenta il raggiungimento di un ideale, ma semplicemente l'accettazione che il tempo disponibile si è esaurito. Taro ammette candidamente di non aver mai provato la sensazione di aver completato qualcosa alla perfezione, ma piuttosto di aver portato a termine un compito necessario.
Il paradosso della creatività senza rimpianti
Nonostante questa consapevolezza dell'imperfezione, Taro dichiara di non provare rimpianti per Automata. La sua riflessione tocca un aspetto fondamentale della creatività: la capacità di accettare i limiti temporali e materiali senza trasformarli in ossessioni paralizzanti. "Se avessi tempo e risorse infinite, continuerei a lavorare su quel cubo per sempre", ammette, riconoscendo al contempo la necessità di porre dei confini al processo creativo.
Questa filosofia si riflette anche nel suo approccio ai nuovi progetti: invece di cercare di recuperare elementi lasciati incompiuti, Taro preferisce ripartire da zero ogni volta, aspirando sempre a quel "cubo perfetto" che sa di non poter mai raggiungere. È un approccio che ricorda la tradizione zen giapponese dell'accettazione dell'imperfezione come elemento intrinseco della bellezza.
La malinconia che accompagna la fine di ogni progetto non deriva dall'insoddisfazione per il risultato, ma dalla consapevolezza di dover interrompere un processo che potrebbe teoricamente continuare all'infinito. In questo senso, ogni videogioco diventa un momento congelato in un flusso creativo perpetuo, una fotografia di un'idea in continua evoluzione piuttosto che la sua realizzazione definitiva.