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Prezzi in rialzo per tutto: cosa dovreste fare subito

Perché i dazi di Trump e la guerra commerciale tra USA e Cina fanno salire i prezzi dei prodotti anche in Europa? Ecco spiegato il motivo

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a cura di Andrea Ferrario

Editor in Chief

Dazi, embarghi, rincari e scarsità di materie prime: sono questi i nuovi protagonisti dello scenario economico internazionale. Da una parte, la svolta protezionistica degli Stati Uniti sotto l’amministrazione di Donald Trump; dall’altra, le pesanti sanzioni imposte dall’Europa alla Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina. Questi due fenomeni, pur nati da motivazioni diverse, hanno in comune la capacità di alterare profondamente le catene di approvvigionamento globali, con conseguenze che si riverberano fino alle tasche del consumatore europeo e italiano. Ma come può la politica dei dazi americani influire sui prezzi in Italia, e perché gli embarghi contro Mosca gravano anche sulle nostre industrie?

I dazi americani

Con l’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump, la politica commerciale statunitense ha compiuto un’inversione a U: dal libero scambio alla difesa a oltranza del “made in USA”. Nel 2018, il primo atto consistente di questa svolta è stata l’introduzione di un dazio del 25 % sull’acciaio e del 10 % sull’alluminio importati, colpendo alleati storici quali Canada, Messico ed Europa. Ben presto, l’ostilità si è estesa alla Cina: tariffe sino al 25 % hanno gravato su circa 360 miliardi di dollari di merci, dando il via a una guerra commerciale di ampia portata.

Successivamente, l’amministrazione ha ampliato il raggio d’azione dei dazi, inserendo aliquote del 15 % su macchinari, del 25 % su componenti elettronici e del 10 % su prodotti farmaceutici. In Europa, i settori più innovativi e competitivi – tra cui quello automobilistico – sono stati messi sotto tiro. Il risultato? Una riconfigurazione dei flussi commerciali: molte imprese hanno scelto di spostare le proprie forniture verso Vietnam, Malesia e Messico nella speranza di aggirare le tariffe, solo per ritrovarsi nuove barriere doganali inaspettate.

Le esportazioni europee verso gli Stati Uniti, pari a circa 450 miliardi di dollari all’anno, hanno finora registrato cali fino al 20 % in alcuni comparti. Le imprese del Vecchio Continente hanno dovuto rivedere processi produttivi consolidati, con un incremento dei costi operativi stimato tra il 5 % e il 15 %, e riorientare le proprie rotte logistiche verso hub meno efficienti, dilatando tempi e oneri di trasporto.

Gli embarghi contro la Russia

La reazione dell’Unione Europea all’aggressione russa è stata decisa: un sistema di sanzioni che ha toccato in primo luogo il settore energetico, con l’obiettivo di eliminare gradualmente il 90 % delle importazioni di petrolio e di porre restrizioni su carbone e gas naturale. Ma l’embargo ha presto coinvolto metalli strategici – dal nichel al palladio – e beni a duplice uso, impedendo l’accesso di Mosca a semiconduttori, attrezzature industriali e tecnologie avanzate.

Nel comparto agricolo, le limitazioni sui fertilizzanti russi, che coprivano il 30 % delle importazioni europee, hanno ulteriormente complicato l’approvvigionamento di cereali essenziali come grano e mais. La carenza di gas e petrolio ha spinto molti Paesi dell’Unione a rivolgersi a forniture extraeuropee – in particolare statunitensi e del Golfo – con costi aumentati del 150 %–300 % a seconda delle stagioni e delle aree. Nel frattempo, la Russia ha risposto con misure di ritorsione, riducendo le esportazioni di materie prime e impedendo alle imprese europee di operare sul proprio territorio.

La somma tra dazi americani ed embarghi contro la Russia ha generato un effetto domino su scala globale. Nel trasporto marittimo, pietra angolare del commercio internazionale, i costi per spedire un container da Shanghai a Rotterdam sono passati da 2.000 a 12.000 dollari, mentre il trasporto su rotaia ha visto rincari del 40 %. Nei porti chiave di Amburgo, Rotterdam e Anversa, i tempi di attesa per lo scarico delle navi sono saliti da 1–2 giorni fino a 7–10 giorni.

Il vero nocciolo della crisi però riguarda le materie prime: quelle energetiche, metalliche o destinate all’agricoltura. La loro scarsità fisica unita ai maggiori costi di importazione ha aperto la strada a speculazioni finanziarie, innalzando ulteriormente i listini. Le imprese, inizialmente restie a trasferire questi aumenti sui consumatori, hanno progressivamente ceduto, con un impatto sull’inflazione che si riflette ora sui prezzi al dettaglio. Settori ad alta intensità di tecnologia, già provati dalla frammentazione delle catene del valore, hanno visto lievitare non soltanto i costi di produzione, ma anche quelli di progettazione e distribuzione.

Verso un equilibrio precario

Davanti a questa “doppia crisi”, le aziende hanno adottato strategie diverse. Alcune, come Apple, hanno deciso di assorbire una parte dei rincari per non perdere competitività sui prezzi di vendita. Altre hanno scaricato l’intero peso dei costi sui clienti finali, approfittando di un impatto relativamente limitato sulle vendite. Un terzo gruppo, infine, ha preferito abbandonare del tutto certi mercati: basti pensare alla decisione di Sony di sospendere l’esportazione di proiettori in Europa fino a nuovo ordine.

Il bilancio è chiaro: nessuna grande azienda può oggi vantare una filiera immune dal clima di instabilità globale. Solo operatori completamente autosufficienti – che estraggono, lavorano e vendono in uno stesso territorio – riescono a eludere almeno in parte gli effetti delle tensioni internazionali. Per tutti gli altri, dal settore automobilistico a quello tecnologico, i rincari e i colli di bottiglia sono una realtà obbligata.

Prospettive per l’Europa

Per uscire da questa situazione, l’Europa dovrà puntare con decisione su innovazione e aumento della produttività, compensando i maggiori costi strutturali che gravano sulle sue imprese. Tuttavia, anche gli sforzi più ambiziosi rischiano di non bastare a ristabilire un’economia interna in grado di sostenere i prezzi ai quali ci eravamo abituati. L’unica certezza è che, almeno nel medio termine, dovremo imparare a convivere con un contesto di instabilità e di rincari: uno scenario in cui regna sovrano il ritorno di quella logica di potere che, anziché favorire la cooperazione, alimenta nuove frontiere di protezionismo.

In questo quadro, la vera sfida per l’Europa non sarà soltanto arginare gli effetti immediati di dazi ed embarghi, ma costruire una struttura economica più resiliente, capace di trasformare l’incertezza in opportunità di crescita sostenibile. Solo così potremo dimostrare che, anche di fronte alle tempeste del mercato globale, un modello fondato su coesione, ricerca e innovazione saprà sopravvivere e prosperare.

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