Il riscaldamento degli oceani sta mettendo in crisi alcuni degli ecosistemi marini più preziosi, ma una nuova ricerca dell’Università della California di Los Angeles offre segnali di speranza sulla resilienza delle foreste di kelp. Analizzando quarant’anni di immagini satellitari lungo la costa californiana, i ricercatori hanno dimostrato che le Aree Marine Protette (AMP) possono rafforzare la capacità di recupero di questi habitat dopo eventi climatici estremi. Lo studio, pubblicato sul Journal of Applied Ecology, sottolinea come la protezione locale possa agire da scudo contro le pressioni globali del cambiamento climatico.
Le foreste sottomarine che sostengono la vita marina
Le foreste di kelp sono tra gli ecosistemi più produttivi del pianeta, paragonabili alle foreste pluviali terrestri. Offrono rifugio a migliaia di specie, catturano carbonio in grandi quantità e proteggono le coste dall’erosione. Eppure, sono sempre più minacciate dal riscaldamento degli oceani, dall’eccessivo pascolo dei ricci di mare e dall’inquinamento. La crisi è aggravata dal crollo delle popolazioni di stelle marine, predatori naturali dei ricci, che ha generato uno squilibrio negli ecosistemi.
Lo studio ha analizzato 54 AMP californiane, confrontandole con aree simili non protette. I risultati mostrano che, se in condizioni normali le differenze erano minime, i benefici diventano evidenti dopo le ondate di calore del 2014-2016.
“Abbiamo scoperto che nelle AMP la ricrescita del kelp è stata più vigorosa”, spiega Emelly Ortiz-Villa, autrice principale dello studio. “Lì la pesca è regolata e predatori chiave come aragoste e sheephead possono mantenere l’equilibrio dell’ecosistema”.
Il ruolo della catena alimentare
Secondo Kyle Cavanaugh, coautore senior, il meccanismo si basa proprio su questo equilibrio: “Il kelp può resistere a singoli fattori di stress, ma combinazioni di stress multipli possono sopraffarlo. Proteggere i predatori chiave aiuta le alghe a rigenerarsi meglio”.
I risultati si inseriscono negli impegni della COP15, che puntano a proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Tuttavia, come avverte Rick Stafford della British Ecological Society, serve garantire la reale efficacia delle AMP, che in molti Paesi restano solo nominali.
Una bussola per la conservazione futura
Le scoperte offrono indicazioni pratiche per scegliere dove istituire nuove aree protette: zone con upwelling o popolazioni di kelp più resistenti al calore risultano candidate ideali. “Il kelp può diventare un indicatore chiave della salute ecologica delle AMP”, conclude Ortiz-Villa, sottolineando l’importanza del monitoraggio a lungo termine.
Non tutte le AMP, però, hanno mostrato la stessa efficacia: la resilienza varia a seconda delle condizioni locali. Individuare i fattori che fanno la differenza sarà il prossimo passo per capire dove la protezione può davvero rafforzare questi ecosistemi vitali.