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Il paradosso dei coralli: più crescono, più scaldano il pianeta

Una ricerca dell’Università di Sydney mostra che l’espansione delle barriere coralline ha aumentato le temperature oceaniche per milioni di anni.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 02/12/2025 alle 08:55

La notizia in un minuto

  • Le barriere coralline agiscono come produttori netti di CO2 su scale geologiche, contribuendo paradossalmente al riscaldamento globale quando si espandono, sottraendo carbonato di calcio al plancton profondo che normalmente sequestra carbonio
  • Tre periodi critici negli ultimi 250 milioni di anni hanno visto espansioni coralline coincidere con drastici aumenti delle temperature oceaniche, con meccanismi di riequilibrio che richiedono centinaia di migliaia o milioni di anni
  • I feedback tra vita e clima operano su scale temporali geologiche irrilevanti per la crisi attuale, dove l'acidificazione antropogenica danneggia simultaneamente coralli e plancton a un ritmo senza precedenti

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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La Grande Barriera Corallina e gli atolli tropicali che punteggiano gli oceani del pianeta non sono solo ecosistemi di straordinaria biodiversità, ma attori climatici di primo piano nella storia geologica della Terra. Una ricerca condotta dall'Università di Sydney rivela un paradosso sorprendente: nei periodi in cui le barriere coralline si sono espanse maggiormente negli ultimi 250 milioni di anni, le temperature oceaniche sono aumentate drasticamente, non diminuite come ci si potrebbe aspettare da organismi marini. Questo meccanismo, che opera su scale temporali di milioni di anni, svela un legame complesso tra la biologia delle barriere coralline, la chimica degli oceani e il clima globale, offrendo una prospettiva inedita sui delicati equilibri che regolano il sistema Terra.

Il team guidato da Tristan Salles ha ricostruito l'evoluzione delle piattaforme carbonatiche marine attraverso modelli integrati che combinano tettonica delle placche, simulazioni climatiche e flussi sedimentari per un arco temporale di un quarto di miliardo di anni. La ricerca si concentra sul ruolo del carbonato di calcio, il materiale con cui i coralli costruiscono i loro scheletri: quando questa sostanza si forma, viene rilasciata anidride carbonica come sottoprodotto chimico della reazione. Contrariamente alla percezione comune dei coralli come "pozzi" di carbonio, le barriere coralline sono quindi produttori netti di CO2, un gas serra che contribuisce al riscaldamento globale.

La chiave per comprendere questo fenomeno risiede nella competizione biochimica tra ecosistemi marini superficiali e profondi. Quando vaste aree di piattaforme continentali poco profonde vengono colonizzate dai coralli, gli ioni di calcio e carbonato disponibili nell'acqua di mare vengono sottratti al plancton che vive nelle profondità oceaniche. Questo plancton calcareo, quando muore, deposita i suoi gusci di carbonato di calcio sui fondali abissali, sequestrando effettivamente l'anidride carbonica per lunghi periodi geologici. La presenza estesa di barriere coralline interrompe questo processo di sepoltura profonda del carbonio, alterando l'equilibrio dell'intero ciclo biogeochimico.

Quando l'equilibrio tra coralli di acque basse e plancton di profondità si spezza, possono servire centinaia di migliaia o milioni di anni per ristabilire l'equilibrio

I ricercatori hanno identificato tre periodi critici in cui questo meccanismo ha provocato significative perturbazioni climatiche: il Triassico medio (circa 240-235 milioni di anni fa), il Giurassico medio (circa 170-165 milioni di anni fa) e il Cretaceo superiore (circa 90-80 milioni di anni fa). In ciascuna di queste fasi geologiche, la configurazione dei continenti e la geomorfologia creavano condizioni ideali per l'espansione delle piattaforme continentali poco profonde, habitat privilegiato per la crescita delle barriere coralline. L'utilizzo massiccio di carbonato di calcio da parte dei coralli ha coinciso con incrementi sostanziali delle temperature marine.

Il modello proposto descrive un ciclo di feedback naturale: quando le barriere coralline si riducono, il calcio e l'alcalinità si accumulano progressivamente negli oceani, stimolando la produttività del plancton calcareo. Maggiori quantità di carbonato vengono quindi sepolte nei sedimenti profondi, sottraendo CO2 dall'atmosfera e contribuendo al raffreddamento globale. Questo meccanismo di autoregolazione opera però su scale temporali incomparabilmente più lunghe di quelle umane, richiedendo da centinaia di migliaia a milioni di anni per ristabilire un nuovo equilibrio dopo una perturbazione significativa.

Alexander Skeels dell'Australian National University di Canberra, commentando lo studio, sottolinea come questa ricerca dimostri l'esistenza di cicli di feedback profondamente intrecciati tra vita e clima. La visione tradizionale considera l'evoluzione biologica come una risposta adattativa a condizioni climatiche governate da processi fisici e chimici immutabili. Tuttavia, evidenze crescenti rivelano che gli organismi viventi influenzano direttamente il clima stesso, creando anelli di retroazione co-evolutivi. Non solo i coralli, ma anche antiche colonie microbiche come gli stromatoliti hanno modulato il carbonio atmosferico nel corso delle ere geologiche, contribuendo alle oscillazioni tra periodi caldi e freddi della storia terrestre.

Le implicazioni per la crisi climatica contemporanea sono complesse e preoccupanti. Salles avverte che le emissioni antropogeniche di CO2 stanno provocando riscaldamento globale e acidificazione degli oceani a un ritmo senza precedenti, danneggiando simultaneamente sia i coralli che il plancton. I meccanismi di feedback identificati nello studio operano su scale temporali geologiche e risultano quindi irrilevanti di fronte alla rapidità del cambiamento attuale. Le conseguenze ecologiche, sebbene ancora largamente sconosciute, si prospettano catastrofiche secondo i ricercatori. Paradossalmente, se i fioriture planctoniche diventassero incontrollabili, le barriere coralline potrebbero teoricamente assorbire nutrienti in eccesso per costruire nuovi reef, ma questo scenario presuppone ecosistemi coralline in salute, non in declino come quelli attuali.

Fonte dell'articolo: www.newscientist.com

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