La questione delle origini della vita sulla Terra continua ad affascinare la comunità scientifica globale. Dal celebre interrogativo posto dal fisico Erwin Schrödinger nel suo libro del 1944 "What Is Life?" a oggi, i ricercatori non hanno ancora trovato una definizione universalmente accettata di cosa sia effettivamente la vita. Esiste tuttavia un consenso su due requisiti minimi: il metabolismo, ossia la capacità di importare molecole utili dall'ambiente ed espellere prodotti di scarto, e la riproduzione. Circa 4 miliardi di anni fa emerse quello che gli scienziati chiamano LUCA (Last Universal Common Ancestor), l'ultimo antenato comune universale da cui discendono tutti gli organismi viventi sul nostro pianeta. Ma come si è verificato il salto dalla chimica inorganica alla biologia in quei primi 500 milioni di anni di esistenza della Terra? Un nuovo filone di ricerca propone un candidato sorprendente come catalizzatore della prima scintilla vitale: i prioni, molecole proteiche che associamo tipicamente a malattie neurodegenerative letali.
Per decenni, il dibattito scientifico sull'origine della vita si è concentrato su quale molecola chiave sia comparsa per prima. L'ipotesi del "mondo a RNA", pionierizzata negli anni Sessanta da scienziati influenti come Francis Crick, co-scopritore della struttura del DNA, ha dominato la scena. Questa teoria sostiene che l'RNA, un cugino molecolare del DNA, abbia preceduto tutte le altre forme di vita perché alcuni tipi di RNA possiedono proprietà di autocopiatura. Gli RNA ripiegati in forme tridimensionali, chiamati ribozimi, funzionano come enzimi catalizzando reazioni biochimiche essenziali. Questo avrebbe risolto simultaneamente i problemi del metabolismo e della riproduzione. Tuttavia, l'ipotesi presenta un grave limite: le molecole di RNA sono estremamente instabili in acqua e si degraderebbero rapidamente negli ambienti in cui si presume sia emersa la vita, come le sorgenti idrotermali oceaniche o le pozze termali.
L'alternativa proteica ha invece radici storiche solide. Nel 1952, Stanley Miller, allora studente di dottorato nel laboratorio del chimico e premio Nobel Harold Urey presso l'Università di Chicago, condusse un esperimento ormai classico. Miller ricreò in laboratorio le condizioni della Terra primordiale: un'atmosfera ricca di idrogeno, ammoniaca e metano, pozze saline ed elettricità fornita da scariche simili a fulmini. Dopo diversi giorni di scariche elettriche continue, nell'apparato si erano formati diversi amminoacidi, identici a quelli che costituiscono i mattoni delle proteine moderne. Il risultato, pubblicato su Science e noto come esperimento di Miller-Urey, dimostrò che gli amminoacidi si formano spontaneamente in condizioni prebiotiche. Da allora, esperimenti ripetuti hanno confermato questa sintesi spontanea, e gli amminoacidi sono stati trovati comunemente anche nei meteoriti, dimostrando che sono componenti universali.
Il problema fondamentale dell'ipotesi proteica risiedeva nella riproduzione: oggi, l'RNA è necessario per trasportare l'informazione genetica che codifica le proteine, e i ribozimi sono indispensabili per legare gli amminoacidi tra loro. Come avrebbe potuto una forma di vita basata esclusivamente su proteine replicarsi senza RNA? Questa impasse ha mantenuto l'ipotesi del mondo a RNA in posizione dominante per decenni. Ma recenti scoperte sui prioni potrebbero finalmente fornire la chiave per superare questo ostacolo concettuale.
I prioni devono il loro nome a Stanley Prusiner, che negli anni Ottanta identificò queste proteine come agenti responsabili di malattie neurodegenerative infettive come la scrapie negli ovini, l'encefalopatia spongiforme bovina (la "malattia della mucca pazza") nei bovini e la malattia di Creutzfeldt-Jakob negli esseri umani. La scoperta che una proteina priva di DNA o RNA potesse essere infettiva fu rivoluzionaria. Successivamente, proteine "prion-simili" sono state identificate in pazienti con patologie neurodegenerative comuni, tra cui il Parkinson e l'Alzheimer. Ma la storia ha preso una svolta inaspettata: ricerche recenti hanno rivelato che queste proteine sono in realtà comuni in organismi che vanno dai batteri ai mammiferi, dove svolgono funzioni cruciali.
Ciò che distingue i prioni da altre proteine è il loro meccanismo di ripiegamento. Appartengono alla categoria delle proteine intrinsecamente disordinate, che non si ripiegano spontaneamente in forme stabili ma oscillano continuamente tra migliaia di configurazioni instabili, ciascuna della durata di millisecondi. Per stabilizzarsi, hanno bisogno di interagire con un partner: nel caso dei prioni, questo partner è un'altra copia della stessa proteina nella medesima forma instabile. Quando due prioni si legano, formano una coppia stabile che persiste e recluta altre copie della proteina, stabilizzandole. Questo processo, chiamato self-templating, crea una pila di prioni identicamente ripiegati che ricorda una torre di piatti. Alla fine, si formano lunghe fibrille visibili al microscopio elettronico. Quando una fibrilla si frammenta, crea "semi" che avvieranno la formazione di altre fibrille: la proteina sta effettivamente riproducendosi.
Gli esperimenti hanno dimostrato che queste fibrille sono estremamente resistenti ad ambienti estremi, inclusi quelli delle sorgenti idrotermali e delle pozze termali dove si presume sia emersa la vita. Nel 2010, Jacqui Carnall dell'Università di Cambridge e colleghi hanno creato in laboratorio proteine sotto forma di fibrille che si comportavano come prioni, producendo semi e replicandosi. Altri gruppi di ricerca hanno successivamente dimostrato che fibrille proteiche formate spontaneamente possono possedere una vasta gamma di attività enzimatiche. Questi risultati hanno spinto alcuni ricercatori a proporre che un "mondo proteico" possa essere apparso molto precocemente sulla Terra, addirittura prima del mondo a RNA.
La nuova ipotesi suggerisce che sulla giovane Terra siano emersi spontaneamente diversi "mondi a RNA" e "mondi proteici prion-simili". Solo alcuni sopravvissero abbastanza a lungo nell'ambiente ostile. Occasionalmente, un mondo proteico e uno a RNA si sovrapposero, dando alle molecole di RNA l'opportunità di stabilizzarsi attraverso l'interazione con le proteine. Tra i vari assemblaggi RNA-proteine, uno formò un ribosoma primitivo, avviando un meccanismo efficiente di sintesi proteica. Questi mondi RNA-proteici fusi produssero anche strutture racchiuse in membrane combinandosi con altre molecole organiche formatesi spontaneamente, compresi i lipidi. Nel frattempo comparve il DNA, fornendo un deposito di sequenze proteiche sotto forma di geni e aiutando queste proto-cellule a moltiplicarsi.
Tutti i discendenti di LUCA, dai batteri agli esseri umani, utilizzano ribosomi per produrre proteine. In tutti gli organismi viventi, l'enzima che unisce gli amminoacidi per formare proteine è un ribozima fatto di RNA, quasi identico in tutte le specie attuali. Questa conservazione evolutiva suggerisce che possieda proprietà uniche: mentre gli enzimi proteici tendono a essere molto specifici per i loro substrati, questo ribozima può lavorare con tutti i 20 diversi amminoacidi, indipendentemente dalla loro struttura e posizione nella catena. Il ribosoma rappresenta una collaborazione straordinaria tra proteine e RNA, e secondo l'ipotesi più recente, questa collaborazione potrebbe essere iniziata fin dall'origine.
La formazione di LUCA dalla zuppa primordiale di sostanze chimiche fu un evento estremamente improbabile, con una probabilità stimata inferiore a uno su un miliardo. Altre forme di vita potrebbero essere emerse ma sono scomparse per mancanza di stabilità. LUCA fu probabilmente il fortunato vincitore di una competizione per la sopravvivenza condotta sotto una forte pressione di selezione evolutiva. Rimane tuttavia possibile che forme di vita alternative siano ancora presenti, forse come microrganismi nascosti nelle rocce, e che l'abiogenesi su altri pianeti abbia prodotto tipi di vita diversi dalla nostra. Questi sviluppi nella comprensione dell'emergenza della vita collocano le proteine prion-simili, originariamente scoperte come agenti patogeni, al centro di una catena straordinaria di eventi che ha prodotto prima LUCA e poi, dopo oltre 4 miliardi di anni di evoluzione, la straordinaria biodiversità del nostro pianeta, inclusa la nostra specie.