Nei laboratori della Columbia University sta nascendo una nuova architettura, fatta di strutture invisibili agli occhi e capaci di assemblarsi da sole. Il professor Oleg Gang e il suo team di ingegneria chimica stanno rivoluzionando il modo in cui pensiamo alla fabbricazione di materiali, creando strutture tridimensionali complesse utilizzando il DNA come mattone fondamentale. Questa tecnologia promette di trasformare settori che vanno dall'elettronica alla medicina, offrendo un'alternativa sostenibile e incredibilmente efficiente ai metodi di produzione convenzionali.
Il DNA come architetto molecolare
La chiave di questa rivoluzione risiede in un approccio completamente opposto a quello tradizionale della microelettronica. Anziché scolpire i materiali dall'alto verso il basso utilizzando tecniche come la fotolitografia, Gang costruisce dal basso verso l'alto sfruttando le proprietà naturali del DNA. "Possiamo ora costruire organizzazioni 3D complesse e prescritte da nanocomponenti auto-assemblati, una sorta di versione nanometrica dell'Empire State Building", spiega il ricercatore, che guida anche il Center for Functional Nanomaterials presso il Brookhaven National Laboratory.
Il DNA si piega in modo prevedibile perché i quattro acidi nucleici che lo compongono possono accoppiarsi solo in combinazioni specifiche. Questa caratteristica, che la natura utilizza per codificare le informazioni genetiche, diventa nelle mani di Gang uno strumento di progettazione architettonica molecolare. I ricercatori creano filamenti di DNA che si piegano in forme ottaedriche robuste, chiamate voxel, con connettori ad ogni angolo che permettono di collegarsi tra loro come pezzi di un puzzle tridimensionale.
MOSES: il software per l'architettura invisibile
La vera sfida emerge quando si tratta di progettare strutture contenenti milioni o miliardi di componenti. Come determinare la sequenza di partenza corretta? La risposta arriva da un algoritmo sviluppato dal team e battezzato MOSES (Mapping Of Structurally Encoded aSsembly), che funziona come un software CAD per il mondo nanometrico. "È come comprimere un file. Vogliamo minimizzare la quantità di informazioni affinché l'auto-assemblaggio del DNA sia il più efficiente possibile", chiarisce Jason Kahn, primo autore dello studio e ricercatore al Brookhaven National Laboratory.
L'approccio di "progettazione inversa" permette ai ricercatori di partire dalla struttura finale desiderata e scomporla in componenti più piccoli. Se pensiamo a un puzzle tradizionale, sarebbe come avere l'immagine completa e dover determinare la forma esatta di ogni singolo pezzo per ricrearla perfettamente.
Applicazioni concrete: dalla luce ai computer del futuro
Le potenzialità di questa tecnologia emergono chiaramente dalle applicazioni già realizzate. Due mesi fa, Gang e il suo ex studente Aaron Michelson hanno consegnato un prototipo ai collaboratori dell'Università del Minnesota: sensori di luce tridimensionali integrati su microchip. Questi dispositivi nascono facendo crescere impalcature di DNA su un chip e rivestendole successivamente con materiale fotosensibile.
Ma questo è solo l'inizio. Nei loro ultimi studi, pubblicati su Nature Materials e ACS Nano, il team presenta quattro diverse applicazioni del loro approccio "DNA origami": strutture cristalline composte da stringhe unidimensionali e strati bidimensionali, imitazioni dei materiali comunemente utilizzati nei pannelli solari, cristalli che ruotano in spirali elicoidali, e strutture progettate per riflettere la luce in modi specifici per il collega Nanfang Yu, che sogna di creare un computer ottico.
Vantaggi rivoluzionari: velocità, sostenibilità e precisione
Il processo di fabbricazione sviluppato da Gang presenta vantaggi significativi rispetto ai metodi tradizionali. Innanzitutto, la natura parallela dell'assemblaggio: mentre la litografia convenzionale costruisce ogni caratteristica una alla volta in sequenza, l'auto-assemblaggio del DNA permette a tutti i componenti di unirsi contemporaneamente durante il processo. Questo significa risparmi sostanziali in termini di tempo e costi per la fabbricazione 3D.
Inoltre, il processo è ecologicamente sostenibile poiché l'assemblaggio avviene in acqua, eliminando la necessità di solventi chimici aggressivi o processi ad alta energia. Una volta assemblata la struttura, il team può anche "mineralizzarla", rivestendo le impalcature con silice e decomponendo il DNA attraverso il calore, trasformando efficacemente l'impalcatura organica originale in una forma inorganica altamente robusta.
Verso il futuro: circuiti che imitano il cervello umano
Le ambizioni di Gang si estendono ben oltre le applicazioni attuali. Il ricercatore continua a collaborare con i colleghi Sanat Kumar e Nanfang Yu per scoprire principi di progettazione che permetteranno l'ingegneria e l'assemblaggio di strutture ancora più complesse. L'obiettivo più ambizioso è la realizzazione di un circuito 3D destinato a imitare la complessa connettività del cervello umano.
"Siamo sulla buona strada per stabilire una piattaforma di nanofabbricazione 3D dal basso verso l'alto. Vediamo questo come una 'stampa 3D di nuova generazione' su scala nanometrica, ma ora il potere dell'auto-assemblaggio basato sul DNA ci permette di stabilire una fabbricazione massivamente parallela", conclude Gang. Questa visione rappresenta un salto quantico nelle capacità di produzione di materiali, aprendo la strada a dispositivi e applicazioni che oggi possiamo solo immaginare.