Uno dei problemi più ostinati della fisica teorica contemporanea riguarda qualcosa che non possiamo vedere, toccare o misurare direttamente: l'interno di un buco nero. Per quasi cinquant'anni, gli scienziati hanno cercato di calcolare l'entropia di questi giganti cosmici, una grandezza che descrive il grado di disordine microscopico di un sistema fisico. La sfida sembrava insormontabile: ogni tentativo di applicare la meccanica quantistica portava a risultati matematicamente insensati, esplosioni di infiniti che rendevano impossibile qualsiasi previsione. Ora, però, un gruppo di fisici teorici ha compiuto una svolta decisiva utilizzando un ramo estremamente complesso della matematica noto come algebra degli operatori, riuscendo finalmente a domare questi infiniti e a calcolare l'entropia quantistica di un buco nero. Il risultato non solo conferma intuizioni vecchie di decenni, ma suggerisce qualcosa di profondo sulla natura stessa dello spazio-tempo.
La storia dell'entropia inizia lontano dai buchi neri, nell'era del vapore del XIX secolo. Il fisico austriaco Ludwig Boltzmann si interrogava sul perché le macchine termiche, indipendentemente dalla loro progettazione, dissipavano sempre energia sotto forma di calore. Negli anni Settanta dell'Ottocento, Boltzmann elaborò una definizione di entropia che contava tutte le possibili configurazioni microscopiche delle particelle in un sistema che portano allo stesso stato macroscopico osservabile. Come spiega Netta Engelhardt, fisica teorica al Massachusetts Institute of Technology, si può immaginare una stanza piena di molecole di gas che rimbalzano caoticamente: esistono innumerevoli modi di disporle, la maggior parte dei quali le distribuisce uniformemente, mentre solo pochi le raggruppano in un angolo. L'entropia di Boltzmann misura proprio questo numero di "microstati" indistinguibili dall'esterno.
Nel XX secolo, la meccanica quantistica aggiunse un nuovo livello di complessità. Negli anni Trenta, John von Neumann estese il concetto di entropia al mondo quantistico, dove le particelle non hanno proprietà definite come posizione o momento, ma solo probabilità di essere trovate in certi stati quando vengono misurate. L'entropia di von Neumann quantifica l'incertezza intrinseca della meccanica quantistica e cattura anche il fenomeno dell'entanglement, quella correlazione profonda tra regioni o particelle che fa sì che conoscere qualcosa su una riveli istantaneamente informazioni sull'altra, indipendentemente dalla distanza. Ma qui emerge una differenza fondamentale: mentre l'entropia di Boltzmann è una proprietà fisica oggettiva del sistema, quella di von Neumann rappresenta la nostra conoscenza imperfetta della realtà quantistica.
Il legame tra entropia e buchi neri nacque da un confronto scientifico tra giganti. All'inizio degli anni Settanta, Jacob Bekenstein, allora studente di dottorato a Princeton, sostenne che i buchi neri dovessero possedere entropia, altrimenti si sarebbe violato il secondo principio della termodinamica, secondo cui l'entropia totale dell'universo deve sempre aumentare. Stephen Hawking inizialmente si oppose: l'entropia misura il disordine interno, ma i buchi neri per definizione non hanno un interno accessibile. Tuttavia, nel tentativo di confutare Bekenstein, Hawking scoprì la radiazione di Hawking, un'emissione quantistica generata da coppie particella-antiparticella vicino all'orizzonte degli eventi. Questa radiazione implica che i buchi neri hanno una temperatura e, di conseguenza, un'entropia ben definita. Come ricorda Jonah Kudler-Flam, fisico teorico all'Institute for Advanced Study di Princeton, Hawking e Bekenstein diedero così vita al campo della termodinamica dei buchi neri.
Ma questa scoperta sollevò interrogativi ancora più profondi. Se Boltzmann legava l'entropia a microstati fisici, l'entropia dei buchi neri implica l'esistenza di una struttura microscopica nascosta oltre l'orizzonte? Jonathan Sorce, fisico teorico al MIT, sintetizza così la sfida: stiamo cercando di capire quali siano gli atomi dello spazio-tempo. Comprendere questa struttura fondamentale potrebbe finalmente unificare la relatività generale e la meccanica quantistica, le due grandi teorie della fisica moderna che entrano in collisione violenta proprio all'interno dei buchi neri. Per decenni, però, i tentativi di calcolare l'entropia quantistica dei buchi neri usando l'algebra degli operatori di von Neumann sono falliti, producendo inevitabilmente infiniti privi di significato fisico.
Il problema, spiega Gautam Satishchandran, fisico teorico a Princeton, risiede nella natura stessa dell'entropia di von Neumann: essa misura ciò che può essere conosciuto da un osservatore quantistico. In teoria quantistica non esistono limiti intrinseci a ciò che si può misurare in una regione di spazio: è sempre possibile suddividerla in porzioni più piccole, rivelando dettagli sempre più fini. Questo porta a un numero infinito di gradi di libertà osservabili. Il punto cruciale è che la matematica quantistica tradizionale tratta lo spazio-tempo come uno sfondo fisso e immutabile, ignorando che secondo la relatività generale esso si curva e flette in risposta a materia ed energia. Vicino a un buco nero, dove campi quantistici turbolenti interagiscono con uno spazio-tempo violentemente curvato, questa approssimazione crolla completamente.
Nel 2023, un gruppo di teorici guidato da Ed Witten all'Institute for Advanced Study ha ribaltato l'approccio: invece di trattare lo spazio-tempo come statico, lo hanno reso partecipe attivo delle fluttuazioni quantistiche. Utilizzando l'algebra degli operatori, hanno tessuto la gravità nei calcoli fin dall'inizio, permettendo ai campi quantistici di influenzare lo spazio-tempo e viceversa. Questa retroazione reciproca si è rivelata l'ingrediente mancante, stabilizzando i calcoli ed eliminando gli infiniti problematici.
Basandosi su questa svolta, Satishchandran e colleghi hanno pubblicato all'inizio di quest'anno un calcolo dell'entropia di von Neumann di un buco nero. Domando gli infiniti, sono riusciti a misurare come la superficie esterna del buco nero sia entangled con l'informazione al suo interno, costruendo un ponte tra esterno e interno. Il risultato è stato sorprendente: l'entropia di Bekenstein-Hawking, calcolata con argomenti termodinamici e legata alla geometria dello spazio-tempo, coincide esattamente con l'entropia di von Neumann, che misura l'incertezza quantistica. Questa convergenza è profonda: da un lato abbiamo una proprietà fisica dello spazio-tempo, dall'altro ciò che non possiamo conoscere in un sistema quantistico. Eppure sono la stessa cosa.
Le implicazioni vanno ben oltre i buchi neri. Satishchandran e collaboratori hanno applicato gli stessi strumenti matematici all'orizzonte cosmologico, il confine oltre il quale nessuna luce può raggiungerci a causa dell'espansione dell'universo. Questo orizzonte si comporta in modo inquietantemente simile all'orizzonte degli eventi di un buco nero: ciò che sta oltre è inconoscibile. Anche qui, hanno trovato che l'entropia di Hawking-Gibbs, che descrive la geometria dello spazio-tempo cosmico, è uguale all'entropia di von Neumann. Altri studi pubblicati all'inizio del 2024 dall'Okinawa Institute of Science and Technology in Giappone hanno spinto questa logica ancora oltre, suggerendo che la gravità stessa potrebbe essere dipendente dall'osservatore: poiché osservatori diversi accedono a parti diverse dell'universo, misurano informazioni diverse e quindi assegnano entropie diverse alle regioni di spazio-tempo. Se la gravità è codificata nella geometria dello spazio-tempo, e la geometria codifica l'entropia, ne consegue che la gravità potrebbe non essere una forza universale e fissa, ma emergere in modo diverso per osservatori diversi.
Questi sviluppi segnano un progresso significativo verso una teoria quantistica della gravità, quel Santo Graal della fisica teorica che cerca di unificare la meccanica quantistica con la relatività generale. La natura microscopica dei buchi neri rimane ancora misteriosa: non sappiamo se gli ingredienti fondamentali siano campi quantistici, stringhe vibranti o entità ancora più astratte. Tuttavia, come nota Hong Liu del MIT, stiamo vedendo molti pezzi di un puzzle più grande, anche se non sappiamo ancora se li abbiamo tutti. L'algebra degli operatori potrebbe non essere la risposta definitiva, ammette Satishchandran, ma ha aperto una porta che prima non esisteva. Il confine tra ciò che è reale e ciò che è osservabile si sta assottigliando, rivelando che la struttura fondamentale dello spazio-tempo potrebbe essere più profondamente intrecciata con la natura quantistica della realtà di quanto abbiamo mai immaginato. La strada è ancora lunga, ma finalmente i fisici possono calcolare quanto è disordinato un buco nero senza che la matematica collassi in infiniti privi di senso.