Uun gruppo di ricercatori brasiliani dell'Università Federale ABC (UFABC) ha sviluppato una nuova classe di composti chimici capaci di attraversare la barriera ematoencefalica e dissolvere le placche beta-amiloidi caratteristiche del morbo di Alzheimer. La scoperta, supportata dalla fondazione FAPESP e pubblicata sulla rivista ACS Chemical Neuroscience, si basa su un approccio innovativo: utilizzare chelanti del rame per disgregare gli aggregati proteici tossici che si accumulano nel cervello dei pazienti, interferendo con la comunicazione neuronale e innescando processi infiammatori. Con circa 50 milioni di persone colpite nel mondo e terapie attuali che offrono solo sollievo parziale dei sintomi o si basano su anticorpi monoclonali estremamente costosi, questa linea di ricerca potrebbe rappresentare una svolta significativa nell'approccio terapeutico a una patologia ancora priva di cura definitiva.
La metodologia adottata dal team guidato dalla professoressa Giselle Cerchiaro ha integrato tre fasi sperimentali complementari: modellazione computazionale in silico per progettare molecole candidate, test su colture cellulari in vitro per valutarne la citotossicità, ed esperimenti in vivo su modelli animali di Alzheimer indotto. Partendo da una biblioteca di dieci molecole sintetizzate, i ricercatori ne hanno selezionate tre per la sperimentazione su ratti, identificando infine un composto particolarmente promettente per efficacia e profilo di sicurezza. La ricerca ha costituito la base della tesi di dottorato di Mariana L. M. Camargo, borsista FAPESP, della tesi magistrale di Giovana Bertazzo e del progetto di ricerca undergraduate di Augusto Farias, con il contributo del team coordinato da Kleber Thiago de Oliveira presso l'Università Federale di São Carlos (UFSCar) per la sintesi chimica di uno dei composti.
Il meccanismo d'azione dei nuovi composti si fonda su una comprensione relativamente recente della patogenesi dell'Alzheimer: il ruolo degli ioni di rame come aggregatori delle placche beta-amiloidi. Come spiega Cerchiaro, circa un decennio fa studi internazionali hanno iniziato a evidenziare come mutazioni genetiche e alterazioni degli enzimi coinvolti nel trasporto intracellulare del rame possano portare all'accumulo di questo elemento nel tessuto cerebrale, favorendo l'aggregazione delle placche amiloidi. Queste strutture si formano quando frammenti del peptide amiloide si accumulano negli spazi tra i neuroni, generando infiammazione e compromettendo la trasmissione sinaptica. La regolazione dell'omeostasi del rame è diventata così uno degli obiettivi terapeutici prioritari nella lotta contro questa forma di demenza.
I risultati degli esperimenti in vivo hanno documentato miglioramenti significativi sia a livello comportamentale che neurobiologico. Gli animali trattati con il composto hanno mostrato riduzione dei deficit di memoria, miglioramento della consapevolezza spaziale e potenziamento delle capacità di apprendimento. Le analisi biochimiche hanno confermato un'inversione del pattern di deposizione delle placche beta-amiloidi, mentre i parametri fisiologici hanno rivelato una riduzione della neuroinfiammazione e dello stress ossidativo nell'ippocampo, la regione cerebrale cruciale per l'elaborazione della memoria. Particolarmente rilevante è il ripristino dell'equilibrio del rame in quest'area, elemento che conferma il meccanismo d'azione ipotizzato dai ricercatori.
La sicurezza del composto rappresenta un requisito fondamentale per qualsiasi candidato farmaco destinato a terapie croniche. I test di citotossicità condotti su colture di cellule ippocampali hanno dato esito negativo, così come il monitoraggio dei segni vitali degli animali durante l'intero periodo sperimentale. Le simulazioni computazionali hanno inoltre confermato la capacità della molecola di attraversare la barriera ematoencefalica, proprietà essenziale per raggiungere le aree cerebrali colpite dalla neurodegenerazione. Questa barriera selettiva, costituita da cellule endoteliali strettamente connesse, rappresenta infatti uno degli ostacoli principali nello sviluppo di farmaci neurologici, impedendo il passaggio della maggior parte delle molecole dal circolo sanguigno al tessuto nervoso.
L'Alzheimer è una patologia neurodegenerativa complessa e multifattoriale, la cui eziologia non è ancora completamente definita. Le attuali opzioni terapeutiche si limitano a inibitori dell'acetilcolinesterasi e antagonisti del recettore NMDA, che offrono benefici sintomatici modesti e temporanei, oppure a terapie biologiche recentemente approvate basate su anticorpi monoclonali diretti contro il beta-amiloide, il cui costo elevato e l'efficacia controversa ne limitano l'accessibilità. Come osserva la coordinatrice dello studio, anche se il nuovo composto risultasse efficace solo per una sottopopolazione di pazienti – considerando l'eterogeneità causale della malattia – rappresenterebbe comunque un significativo progresso rispetto alle alternative disponibili, soprattutto grazie alla semplicità di sintesi e al costo contenuto.
I risultati della ricerca hanno già portato alla presentazione di una domanda di brevetto, e il team dell'UFABC è ora alla ricerca di partnership con aziende farmaceutiche per avviare trial clinici sull'uomo. Questo passaggio critico richiederà studi di fase I per valutare la sicurezza e la farmacocinetica nei volontari sani, seguiti da trial di fase II e III per determinare l'efficacia terapeutica e il dosaggio ottimale in popolazioni di pazienti affetti da Alzheimer a diversi stadi. Solo al completamento di questo percorso regolatorio, che richiede tipicamente diversi anni, sarà possibile valutare se i promettenti risultati preclinici si tradurranno in benefici concreti per i milioni di pazienti in attesa di terapie più efficaci e accessibili.