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Carbonio nel mare: perché la sfida resta aperta

Gli oceani nella lotta al clima: uno studio UE evidenzia che le tecnologie marine per la rimozione del carbonio non sono pronte per l'uso su larga scala.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 20/11/2025 alle 08:20
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Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 20/11/2025 alle 08:20

La notizia in un minuto

  • Le tecnologie marine di rimozione del CO2 non sono ancora pronte per un'implementazione su larga scala secondo un nuovo rapporto UE, che sottolinea la mancanza di protocolli rigorosi per verificarne efficacia e impatto ambientale
  • Raggiungere l'obiettivo di 1,5°C richiede la rimozione di 5-10 gigatonnellate di CO2 all'anno entro fine secolo per compensare le emissioni residue di settori difficili da decarbonizzare come l'aviazione
  • La complessità dell'ambiente marino rende estremamente difficile monitorare quanto carbonio venga effettivamente rimosso e per quanto tempo rimanga sequestrato, rendendo problematico qualsiasi sistema di crediti di carbonio

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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Il ruolo degli oceani nella cattura del diossido di carbonio atmosferico rappresenta una delle frontiere più discusse nella lotta al cambiamento climatico. Mentre i modelli climatici del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) indicano che la rimozione di CO2 sarà necessaria per raggiungere gli obiettivi più ambiziosi di contenimento del riscaldamento globale, un nuovo rapporto commissionato dall'Unione Europea solleva dubbi sulla maturità delle tecnologie marine di rimozione del carbonio. Il documento, intitolato "Monitoring, Reporting and Verification for Marine Carbon Dioxide Removal", presentato durante la COP30 in Brasile, conclude che questi metodi non sono ancora pronti per essere implementati su larga scala, almeno finché non saranno stabiliti protocolli rigorosi per verificarne l'efficacia e l'impatto ambientale.

Le tecnologie di rimozione marina del diossido di carbonio sfruttano la capacità naturale degli oceani di assorbire carbonio. Alcuni approcci si basano su processi biologici, come la stimolazione della crescita di plancton o alghe marine che assorbono CO2 durante la fotosintesi. Altri metodi utilizzano tecniche chimiche o fisiche, inclusi sistemi che estraggono direttamente il diossido di carbonio dall'acqua di mare. Una volta catturato dagli strati superficiali dell'oceano, il carbonio può essere immagazzinato in sedimenti marini profondi, sul fondale oceanico, in formazioni geologiche sottomarine, oppure incorporato in prodotti a lunga durata. Tuttavia, la complessità di questi processi presenta sfide metodologiche significative per la misurazione e la verifica dei risultati.

Helene Muri, ricercatrice senior presso l'Istituto Norvegese per la Ricerca sull'Aria (NILU) e l'Università Norvegese di Scienza e Tecnologia (NTNU), ha guidato il gruppo di esperti del Consiglio Marino Europeo che ha prodotto il rapporto. Come spiega la ricercatrice, si tratta di salvaguardare gli oceani per un bene comune. Gli oceani possono far parte della soluzione climatica, ma dobbiamo rafforzare il modo in cui li proteggiamo prima di ampliare la scala degli interventi. Il documento sottolinea che la priorità assoluta deve rimanere la riduzione delle emissioni attraverso metodi già consolidati, mentre le tecnologie di rimozione del carbonio dovrebbero essere considerate complementari, non sostitutive.

Il contesto climatico attuale rende urgente questa discussione. La temperatura terrestre sta aumentando più rapidamente di quanto previsto dagli accordi di Parigi, che miravano a mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Durante l'apertura del vertice dei leader della COP30 il 6 novembre, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato che la scienza indica come inevitabile un superamento temporaneo di questa soglia critica, probabilmente già nei primi anni 2030. Nonostante questo scenario allarmante, gli scienziati ritengono ancora possibile mantenere l'obiettivo a portata di mano, a condizione di intensificare drasticamente gli sforzi di mitigazione.

La necessità di rimuovere attivamente il carbonio dall'atmosfera deriva dalla difficoltà di decarbonizzare completamente alcuni settori economici. Mentre la transizione dai combustibili fossili verso energia solare ed eolica è tecnicamente realizzabile, alcune industrie e tecnologie rimangono difficili da rendere carbon-neutral. L'aviazione commerciale rappresenta un esempio emblematico: nonostante decenni di ricerca, il volo a emissioni zero resta un obiettivo lontano, eppure una parte del traffico aereo non può essere eliminata. Per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, come previsto dagli impegni internazionali, queste emissioni residue dovranno essere bilanciate dalla rimozione di una quantità equivalente di CO2.

Raggiungere l'obiettivo di 1,5°C richiede emissioni nette negative, con una rimozione tra 5 e 10 gigatonnellate di CO2 all'anno entro fine secolo, secondo gli scenari IPCC

Per contestualizzare queste cifre, nel 2024 le emissioni globali di CO2 hanno raggiunto 42,4 gigatonnellate, secondo il Centro di Oslo per la Ricerca Climatica Internazionale (CICERO). Gli approcci terrestri per la cattura del carbonio esistono già: il metodo più consolidato è l'afforestazione, ovvero la piantagione di nuove foreste. Un esempio di tecnologia più avanzata è l'impianto di cattura diretta dell'aria di Climeworks in Islanda, dove l'aria viene filtrata per intrappolare la CO2, che viene poi mescolata con acqua e iniettata nel substrato roccioso dove si mineralizza trasformandosi in pietra. Tuttavia, la scala necessaria per affrontare le emissioni residue richiede l'esplorazione di opzioni aggiuntive, incluse quelle marine.

Le tecnologie marine di rimozione del carbonio si trovano ancora in fase sperimentale, con numerosi progetti pilota che testano approcci diversi. Alcuni metodi ricordano gli sforzi terrestri: così come la protezione delle foreste cattura carbonio sulla terraferma, alcune strategie marine si concentrano sul ripristino e la conservazione di ecosistemi costieri come le foreste di mangrovie, che fungono da importanti serbatoi di carbonio. Altri approcci sono più interventisti, come l'aggiunta di ferro o altri nutrienti alle acque oceaniche per stimolare la crescita di fitoplancton. In teoria, questi bloom algali assorbono grandi quantità di CO2 e, quando affondano, trasportano il carbonio nelle profondità oceaniche dove può rimanere sequestrato per secoli.

La sfida principale, secondo Muri, consiste nel determinare con precisione quanto carbonio venga effettivamente rimosso e per quanto tempo rimanga isolato dall'atmosfera. Come può un'azienda dimostrare la quantità aggiuntiva di CO2 catturata dalla sua tecnologia rispetto ai processi naturali? Se il carbonio viene immagazzinato nell'oceano profondo, quali meccanismi ne garantiscono la permanenza? E considerando la complessità della governance internazionale, con numerose agenzie, trattati e protocolli coinvolti, quale organizzazione dovrebbe essere responsabile della supervisione e come dovrebbe essere gestita la verifica? Il sistema ideale, spiega la ricercatrice, prevede di monitorare lo stato di riferimento del carbonio nell'oceano, implementare il progetto di rimozione, misurare la quantità di carbonio rimosso e la durata del suo sequestro, quindi riportare i dati a un ente indipendente che verifichi l'accuratezza delle affermazioni.

La dinamicità dell'ambiente marino complica enormemente questo processo di monitoraggio. A differenza dello stoccaggio in formazioni geologiche terrestri, dove il carbonio può essere confinato in modo relativamente stabile, l'oceano non rimane fermo, come sottolinea Muri. Le correnti oceaniche, i processi di rimescolamento e i cicli biogeochimici rendono estremamente difficile tracciare il destino del carbonio una volta introdotto nell'ambiente marino. Questa incertezza diventa ancora più problematica quando si considerano i sistemi di crediti di carbonio, attraverso i quali aziende o governi potrebbero ottenere compensazioni per la CO2 rimossa.

Alcune società hanno già iniziato a muoversi in questa direzione, anticipando un futuro mercato dei crediti di carbonio marino. Tuttavia, Muri avverte che nessuno di questi metodi è sufficientemente maturo per essere utilizzato se non si possono verificare gli impatti, il destino del carbonio o la durata del suo sequestro atmosferico. Per prendere sul serio la possibilità di una rimozione marina del diossido di carbonio condotta in modo responsabile e capace di fornire contributi significativi, è necessario sviluppare sistemi di monitoraggio, rendicontazione e verifica scientificamente solidi. Inoltre, i meccanismi di credito devono essere affidabili, trasparenti e scientificamente difendibili, con una rendicontazione completa degli impatti ambientali.

Nonostante le incertezze, tutti gli scenari futuri continuano a indicare che la rimozione del diossido di carbonio sarà necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici più ambiziosi. Questa conclusione appare ripetutamente nelle valutazioni dell'IPCC, in particolare nel rapporto speciale del 2018 sul riscaldamento globale di 1,5°C. Come osserva Muri, è difficile escludere completamente queste tecnologie solo perché risultano scomode da considerare, soprattutto quando non si conoscono ancora tutte le potenziali minacce di questi metodi immaturi. Tuttavia, la ricercatrice sottolinea con forza che la rimozione marina del carbonio non rappresenta una soluzione miracolosa al cambiamento climatico. Alcune persone sperano davvero di trovare una risposta negli oceani, ma secondo la nostra valutazione, non ci siamo ancora arrivati.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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