Negli ultimi dieci anni gli Stati Uniti stanno assistendo a un fenomeno preoccupante che riguarda la salute cognitiva della popolazione: un numero crescente di adulti riferisce difficoltà di memoria, concentrazione e capacità decisionale. A destare maggiore allarme è il fatto che l'incremento più marcato si registra proprio tra i giovani sotto i quarant'anni, una fascia d'età tradizionalmente considerata meno vulnerabile a questo tipo di problematiche. I dati emergono da un'ampia ricerca pubblicata sulla rivista Neurology dell'Accademia Americana di Neurologia, che ha analizzato oltre 4,5 milioni di questionari raccolti nell'arco di un decennio.
L'indagine ha rivelato come la percentuale di adulti americani che segnala disabilità cognitive sia passata dal 5,3% al 7,4% tra il 2013 e il 2023. Ma è osservando i dati disaggregati per fasce d'età che emerge il quadro più allarmante: tra i giovani adulti dai 18 ai 39 anni i tassi sono quasi raddoppiati, passando dal 5,1% al 9,7%. Al contrario, sorprendentemente, gli ultra-settantenni hanno mostrato un lieve calo, dal 7,3% al 6,6% nello stesso periodo.
Il punto di svolta sembra collocarsi attorno al 2016, quando la curva ha iniziato a salire in modo più pronunciato. Adam de Havenon, neurologo della Yale School of Medicine e autore principale dello studio, sottolinea come queste difficoltà con memoria e pensiero siano emerse come una questione sanitaria di primo piano riferita dagli adulti statunitensi. Secondo il ricercatore, fattori sociali e strutturali giocano probabilmente un ruolo chiave in questa tendenza.
Una delle scoperte più significative riguarda il netto divario tra classi sociali ed economiche. Gli adulti con redditi inferiori ai 35.000 dollari annui hanno registrato i tassi più elevati, con un aumento dall'8,8% al 12,6% nel corso del decennio. Chi guadagna oltre 75.000 dollari all'anno ha visto invece un incremento contenuto, dall'1,8% al 3,9%. La forbice è ancora più evidente se si considera il livello d'istruzione: tra chi non ha completato le scuole superiori i problemi cognitivi autodichiarati sono passati dall'11,1% al 14,3%, mentre tra i laureati l'aumento è stato dall'2,1% al 3,6%.
Anche le disparità etniche e razziali emergono con chiarezza dall'analisi. Gli adulti nativi americani e nativi dell'Alaska presentano la prevalenza più alta in assoluto, con tassi saliti dal 7,5% all'11,2%. Seguono gli ispanici, passati dal 6,8% al 9,9%, e gli afroamericani, dall'7,3% all'8,2%. I bianchi registrano un incremento dal 4,5% al 6,3%, mentre gli asiatici mostrano l'aumento più contenuto, dal 3,9% al 4,8%. Questi dati suggeriscono che l'aumento più marcato si concentra proprio nelle popolazioni che già affrontano svantaggi strutturali significativi.
La metodologia dello studio si è basata su una domanda diretta posta ai partecipanti: "A causa di una condizione fisica, mentale o emotiva, ha serie difficoltà a concentrarsi, ricordare o prendere decisioni?". Chi rispondeva affermativamente veniva classificato come affetto da disabilità cognitiva. I ricercatori hanno escluso dall'analisi le risposte di persone che riferivano depressione e hanno omesso i dati del 2020 per l'impatto anomalo della pandemia da COVID-19.
De Havenon riconosce che lo studio presenta alcune limitazioni intrinseche. Si tratta infatti di dati autoriferiti raccolti tramite interviste telefoniche, il che significa che i partecipanti potrebbero non aver ricordato tutti i dettagli con precisione. Inoltre, la definizione ampia utilizzata per la disabilità cognitiva potrebbe catturare una gamma di esperienze piuttosto che una specifica diagnosi clinica. Nonostante queste riserve metodologiche, il neurologo insiste sul fatto che l'incremento è reale e particolarmente pronunciato tra gli under 40.
Secondo il ricercatore, sono necessari approfondimenti per comprendere cosa stia guidando questo aumento massiccio tra i giovani adulti, considerando le potenziali implicazioni a lungo termine per la salute, la produttività della forza lavoro e i sistemi sanitari. L'incremento potrebbe riflettere cambiamenti effettivi nella salute cerebrale, una maggiore consapevolezza e disponibilità a segnalare problemi, oppure altri fattori sanitari e sociali. La questione rimane aperta e richiede un'analisi più approfondita delle cause sociali ed economiche che potrebbero alimentare questa tendenza preoccupante.
Sebbene l'indagine non abbia misurato direttamente il deterioramento cognitivo clinico, l'aumento delle difficoltà autoriferite tra i giovani adulti indica chiaramente un problema emergente di salute pubblica. La necessità di comprendere e affrontare i fattori sottostanti diventa urgente, soprattutto alla luce delle disuguaglianze evidenti che caratterizzano la distribuzione di questi problemi nella popolazione americana. Le sfide cognitive non colpiscono in modo uniforme, ma seguono le linee di frattura economiche, educative ed etniche della società statunitense.