image/svg+xml
Logo Tom's Hardware
  • Hardware
  • Videogiochi
  • Mobile
  • Elettronica
  • EV
  • Scienze
  • B2B
  • Quiz
  • Tom's Hardware Logo
  • Hardware
  • Videogiochi
  • Mobile
  • Elettronica
  • EV
  • Scienze
  • B2B
  • Quiz
  • Forum
  • Sconti & Coupon
Sconti & Coupon
Accedi a Xenforo

Robot tra noi: come convivremo con le macchine intelligenti?

Robot, IA e umani: il futuro è già qui, anche se non ce ne accorgiamo. Il racconto del Laboratorio Gallino di Torino.

Advertisement

Quando acquisti tramite i link sul nostro sito, potremmo guadagnare una commissione di affiliazione. Scopri di più
Avatar di Andrea Ferrario

a cura di Andrea Ferrario

Editor in Chief

Pubblicato il 17/06/2025 alle 11:00

Quando si parla di robot, l’immaginario collettivo corre ancora subito alle figure umanoidi dei film di fantascienza: androidi con occhi a LED, pelle sintetica e movimenti meccanici che cercano di replicare i comportamenti umani. Ma nella realtà quotidiana, i robot ci circondano da decenni e hanno forme, funzioni e ruoli molto diversi da quelli che siamo abituati a immaginare. Alcuni puliscono casa senza che ce ne accorgiamo, altri alzano sbarre ai caselli autostradali, altri ancora monitorano il sonno di un paziente in ospedale o in una RSA. E nei prossimi anni sarà sempre più difficile distinguere dove finisce l’automazione e dove comincia la presenza “robotica” nelle nostre vite.

A raccontarci questa realtà meno spettacolare, ma molto più concreta e quotidiana, sono stati Renato Grimaldi, docente di Sociologia all’Università di Torino, e Sandro Brignone, assegnista di ricerca all’interno del Laboratorio di simulazione del comportamento e robotica educativa “Luciano Gallino”. Un centro di ricerca insolito nel panorama italiano, perché nato non in un dipartimento di ingegneria o informatica, ma all’interno di filosofia e scienze dell’educazione.

Immagine id 59605
“Qui non progettiamo robot, li studiamo nel loro impatto sociale e nella relazione con le persone,” racconta Grimaldi. “Ci occupiamo di capire quali reazioni, paure, aspettative o resistenze genera la tecnologia robotica nelle persone comuni e in contesti educativi, sanitari, industriali. E facciamo formazione per imparare a convivere con le macchine intelligenti senza esserne travolti o schiacciati.”

Umanoide o no? Dipende dalla funzione

Una delle prime riflessioni emerse nell'ambito della robotica sociale riguarda la questione della forma dei robot. È un dilemma che plasma il futuro della nostra interazione con le macchine: devono somigliare a noi per essere accettati o è meglio che restino dichiaratamente “macchine”? La risposta non è banale e chiama in causa meccanismi profondi della psicologia umana, diventando sempre più cruciale man mano che i robot escono dai laboratori per entrare nelle nostre case, negli ospedali e nei luoghi di lavoro.

Immagine id 59606
“Noi esseri umani tendiamo ad antropomorfizzare tutto,” spiega Brignone. “Parliamo col robot aspirapolvere, ci arrabbiamo con la stampante quando non funziona, come se avesse una volontà propria. Figuriamoci se un robot ha due occhi disegnati e una bocca che si muove: immediatamente lo percepiamo come un interlocutore, una presenza con cui relazionarci.”

Questa nostra tendenza innata è una scorciatoia evolutiva: proiettare intenzionalità e coscienza su oggetti inanimati ci ha aiutato a interpretare un mondo complesso. Nella robotica, questo istinto viene sfruttato consapevolmente. Un robot di servizio in un ospedale pediatrico, ad esempio, può ottenere una collaborazione maggiore dai piccoli pazienti se ha un aspetto amichevole e rassicurante. L'aggiunta di semplici luci LED che simulano uno sguardo o di suoni che ne comunicano lo "stato d'animo" (felice, confuso, in carica) rende l'interfaccia più intuitiva e meno intimidatoria.

Immagine id 53382

Ma la faccenda si complica quando la somiglianza diventa eccessiva. L'obiettivo di creare un compagno meccanico può trasformarsi inavvertitamente nella creazione di qualcosa di perturbante. È qui che la ricerca si scontra con una barriera psicologica tanto affascinante quanto complessa.

Immagine id 59606
“C’è il concetto di uncanny valley, la 'valle perturbante', elaborato negli anni ’70 da Masahiro Mori,” continua Brignone. “A mano a mano che un robot somiglia di più a un essere umano, la relazione diventa più naturale e immediata. Ma superata una certa soglia, se l’imitazione non è perfetta e rimane una lieve imperfezione, scatta il disagio. È la stessa inquietudine che si prova davanti a un manichino troppo realistico o a una bambola di cera che sembra viva ma non lo è.”

Le ragioni di questo fenomeno sono dibattute: potrebbe essere un meccanismo di difesa che ci allerta sulla presenza di malattie o di un cadavere, oppure la violazione delle nostre aspettative su cosa significhi essere "umani". Un piccolo difetto in un volto quasi umano – un movimento leggermente asincrono, una pelle dalla texture innaturale, uno sguardo che non mette a fuoco correttamente – viene amplificato a dismisura, trasformando la familiarità in stranezza. Per questo motivo, spiega Grimaldi, nella robotica sociale si cerca un equilibrio delicato:

Immagine id 59605
“Devono assomigliare quel tanto che basta per favorire la relazione, senza oltrepassare il limite oltre il quale diventano inquietanti o respingenti.”

La soluzione, per molti designer e ingegneri, risiede nell'astrazione. Robot come Pepper o NAO, o anche personaggi della finzione come Wall-E e R2-D2, sono esempi perfetti di questo approccio. Non tentano di replicare un essere umano, ma ne adottano i segnali comunicativi chiave: una "testa" che si inclina per mostrare curiosità, "occhi" espressivi, gesti che comunicano intenti. Mantengono una forma chiaramente meccanica, ma sono progettati per essere socialmente leggibili. In questo modo, si sfrutta la nostra tendenza ad antropomorfizzare senza cadere nella "valle perturbante", creando macchine con cui ci sentiamo a nostro agio a interagire, collaborare e, forse un giorno, persino convivere.

Robot collaborativi e tecnologia invisibile: dove i robot funzionano meglio

Se da una parte il dibattito culturale e mediatico si concentra spesso sui robot umanoidi, alimentando sogni e paure fantascientifiche, nella pratica quotidiana la rivoluzione robotica più diffusa e funzionale ha un volto completamente diverso. L'impatto più profondo della tecnologia non si misura nella somiglianza con l'uomo, ma nella sua capacità di integrarsi in modo efficiente e sicuro nei nostri ambienti di lavoro e di cura. Grimaldi e Brignone hanno raccontato l’evoluzione quasi silenziosa dei robot industriali e assistenziali.

Immagine id 59606
“Negli anni ’70 e ’80 i robot nelle fabbriche erano enormi bracci meccanici chiusi in gabbie d’acciaio per evitare incidenti. Se ti avvicinavi mentre erano in funzione, rischiavi la vita,” ricorda Grimaldi. “Oggi la situazione è cambiata radicalmente. Sono arrivati i cobot, robot collaborativi che possono lavorare fianco a fianco con gli esseri umani. Sono dotati di sensori, pelli intelligenti e sistemi di sicurezza che li fermano appena percepiscono una presenza vicino.”

Questo passaggio epocale ha trasformato la fabbrica. Il "cobot" non sostituisce l'operaio, ma ne diventa un'estensione, un partner a cui delegare i compiti più faticosi, ripetitivi o che richiedono una precisione millimetrica. L'essere umano può così dedicarsi ad attività a più alto valore aggiunto, come il controllo qualità, la programmazione e la risoluzione di problemi complessi. La collaborazione uomo-macchina diventa il nuovo paradigma produttivo, aumentando l'efficienza e riducendo drasticamente il rischio di infortuni sul lavoro.

E non è tutto. Per facilitare questa collaborazione, anche i robot più "industriali" hanno imparato a comunicare. Alcuni di questi cobot sono dotati di schermi che mostrano occhi o simboli per umanizzare l’interazione e renderla più fluida.

Immagine id 59606
“Non serve che somiglino a un essere umano. Basta che comunichino in modo rassicurante, con un volto stilizzato o un segnale luminoso”

Spiegano gli esperti. Questa interfaccia minimale ma efficace abbatte la barriera psicologica, trasformando il robot da macchinario estraneo a strumento prevedibile e affidabile.

Un discorso analogo vale per il settore sanitario, forse l'ambito dove la robotica "invisibile" sta avendo l'impatto più significativo. Anche nelle RSA, dove il personale è spesso ridotto e i costi del lavoro in aumento, i robot sono sempre più presenti, ma raramente hanno forme antropomorfe.

Immagine id 59605
“Non parliamo di badanti robotiche, ma di letti intelligenti che monitorano il sonno, di sistemi che avvisano se il paziente rischia di sviluppare piaghe da decubito o dimentica di assumere i farmaci. È robotica anche questa, funzionale, invisibile, e nessuno si scandalizza,” racconta Grimaldi.

Questa tecnologia assistenziale opera in sottofondo, migliorando la qualità della vita degli ospiti e alleggerendo il carico di lavoro del personale, che può così dedicare più tempo alla cura diretta e alla relazione umana. Si tratta di una robotica di servizio, il cui valore non sta nell'apparire, ma nel funzionare in modo impeccabile per risolvere problemi concreti. È la dimostrazione che la vera accettazione della tecnologia non passa necessariamente dall'imitazione dell'uomo, ma dalla sua comprovata utilità.

Immagine id 45376

Robot e bambini: partire dall’educazione

Uno dei filoni di ricerca più attivi del Laboratorio Gallino è la robotica educativa. “Abbiamo robot come Nao o Edo di Comau che usiamo nelle scuole elementari e medie per attività di coding, orientamento nello spazio, simulazioni di comportamento,” spiega Brignone. “Il punto è che non devono mai sostituire l’insegnante. Sono strumenti di supporto, sparring partner didattici, che stimolano il bambino e rendono più accessibili certi argomenti.”

Immagine id 45186

Il valore di queste attività va ben oltre il semplice apprendimento tecnico. “Insegnare ai bambini a interagire con un robot significa abituarli a ragionare criticamente sulla tecnologia,” sottolinea Grimaldi. “Se impari a conoscere e a usare la tecnologia, non la subisci. È il modo migliore per prevenire anche i rischi e per crescere cittadini digitali consapevoli.” E quest’educazione deve partire presto. “Non possiamo permetterci una società futura popolata da persone che accettano acriticamente tutto quello che dice un chatbot o una macchina intelligente,” aggiunge.

Bias, stereotipi e pericoli dell’IA

Un altro tema centrale emerso dall’incontro riguarda i rischi legati all’intelligenza artificiale generativa. Il laboratorio ha testato diversi generatori di immagini IA chiedendo loro di creare il volto di uno studente adolescente. “Ci restavano sempre ragazzi bianchi, magri, sorridenti, occidentali,” racconta Brignone. “Mai una persona con un difetto fisico, mai una provenienza etnica diversa. È la conferma che i dati riflettono i pregiudizi della nostra società e i sistemi li amplificano.”

Immagine id 56088

Il problema, però, non si limita alle immagini. Grimaldi ha raccontato il caso di un progetto di machine learning predittivo, realizzato insieme al CSI Piemonte, per individuare gli studenti universitari a rischio di abbandono. “Abbiamo analizzato i dati sugli esami sostenuti, sulla provenienza geografica, sul genere, e costruito un modello predittivo. Il rischio è che se non li gestisci bene, questi sistemi possano discriminare inconsapevolmente. Per questo li abbiamo sempre affiancati a interventi umani di supporto.”

Robot che leggono Alfieri: IA e patrimonio culturale

Oltre alla robotica fisica e assistenziale, il laboratorio esplora le frontiere dell'intelligenza artificiale applicata alla cultura e all'istruzione. Tra i progetti più originali c’è anche l’idea di creare un avatar di Vittorio Alfieri, alimentato da intelligenza artificiale, per far rivivere una delle figure più illustri della letteratura italiana. Un'iniziativa che fonde discipline umanistiche e informatiche per creare nuove forme di apprendimento.

Immagine id 59605
“Vogliamo permettere a studenti e visitatori di interagire con un avatar digitale di Alfieri che possa rispondere alle loro domande sulle opere e sulla vita del poeta,” racconta Grimaldi. “Lavoriamo su un dominio ristretto e controllato di conoscenze, per evitare le allucinazioni tipiche dei modelli generativi. Così la conversazione resta affidabile e utile.”

Questo approccio mostra un uso virtuoso dell'IA: uno strumento potente messo al servizio della didattica, capace di rendere la cultura interattiva e accessibile. Si aprono scenari affascinanti, in cui musei e scuole potrebbero ospitare guide virtuali o repliche digitali di scienziati e artisti, con cui dialogare per approfondire il loro pensiero in modo dinamico e coinvolgente.

Ma al di là delle singole applicazioni, l'ultimo aspetto toccato nella conversazione riguarda il nostro rapporto psicologico con la tecnologia e le profonde implicazioni etiche che ne derivano. Se un'IA può imitare un poeta, cosa succede quando inizia a imitare un amico?

Immagine id 59606
“Pensiamo alla dipendenza dagli smartphone,” riflette Brignone. “Interrompiamo qualsiasi attività per controllare una notifica. Ora immaginate cosa succederà quando quel dispositivo avrà un volto, una voce, delle espressioni. Sarà molto più difficile resistere.”

Il punto sollevato è cruciale: il nostro cervello è programmato per la connessione sociale. Un'interfaccia che simula empatia, che ricorda le nostre preferenze e ci offre conferme, attinge direttamente ai nostri bisogni primari di riconoscimento e appartenenza. Il rischio non è solo quello di una dipendenza, ma di un attaccamento emotivo a un'entità artificiale, con tutte le vulnerabilità che ne conseguono.

Immagine id 53971

Grimaldi rilancia, portando la riflessione sul piano della consapevolezza e della responsabilità individuale e collettiva.

Immagine id 59605
“Già oggi siamo fruitori passivi di tecnologie che regolano la nostra quotidianità. E più diventano simili a noi, più rischiamo di affidarci senza riflettere. È per questo che la consapevolezza è tutto. Dobbiamo insegnare a convivere con queste tecnologie in modo critico e informato. Perché saranno parte della nostra vita, che lo vogliamo o no.”

"Insegnare a convivere" diventa quindi la missione fondamentale. Significa promuovere un'alfabetizzazione digitale che non sia solo tecnica, ma anche emotiva e critica. Significa educare i giovani (e non solo) a riconoscere la differenza tra un'emozione autentica e una simulata, a gestire il proprio tempo e la propria attenzione, e a non delegare il proprio pensiero critico a un algoritmo. La sfida non è fermare l'innovazione, ma governarla, per assicurarci che queste nuove e potenti tecnologie rimangano strumenti al nostro servizio, e non il contrario.

  • Umanoide o no? Dipende dalla funzione
  • Robot collaborativi e tecnologia invisibile: dove i robot funzionano meglio
  • Robot e bambini: partire dall’educazione
  • Bias, stereotipi e pericoli dell’IA
  • Robot che leggono Alfieri: IA e patrimonio culturale
Leggi altri articoli

👋 Partecipa alla discussione! Scopri le ultime novità che abbiamo riservato per te!

0 Commenti

⚠️ Stai commentando come Ospite . Vuoi accedere?


Questa funzionalità è attualmente in beta, se trovi qualche errore segnalacelo.

Segui questa discussione
Advertisement

Non perdere gli ultimi aggiornamenti

Newsletter Telegram

I più letti di oggi


  • #1
    5 condizionatori portatili da tenere d'occhio in vista del Prime Day
  • #2
    5 ventilatori da tenere d'occhio in vista del Prime Day
  • #3
    Ora potete giocare alla PS3 su (quasi) tutti gli smartphone
  • #4
    Vendete draghi su Etsy? Potete cominciare a cambiare lavoro
  • #5
    Huawei si prepara a colpire NVIDIA dove fa più male
  • #6
    Quanto serve spendere per un robot aspirapolvere nel 2025?
Articolo 1 di 5
Vuoi scoprire l'universo? Ecco 1,5TB di dati del telescopio Webb accessibili a tutti
Straordinarie nuove immagini rivelano quasi 800.000 galassie nell'universo profondo, offrendo una visione senza precedenti del cosmo.
Immagine di Vuoi scoprire l'universo? Ecco 1,5TB di dati del telescopio Webb accessibili a tutti
Leggi questo articolo
Articolo 2 di 5
E-Tattoo: il tatuaggio tech che controlla la fatica mentale
Un team di ricercatori dell'Università del Texas ad Austin ha sviluppato un dispositivo rivoluzionario: il tatuaggio elettronico.
Immagine di E-Tattoo: il tatuaggio tech che controlla la fatica mentale
Leggi questo articolo
Articolo 3 di 5
Nuova lega di rame ultra-resistente sfida l'acciaio
La nuova lega può essere impiegata nella costruzione di aerei e veicoli spaziali più avanzati.
Immagine di Nuova lega di rame ultra-resistente sfida l'acciaio
1
Leggi questo articolo
Articolo 4 di 5
Scoperto un modo per stampare tessuti 3D direttamente nel corpo senza chirurgia
La nuova bio-stampante a ultrasuoni stampa 3D Tessuti in maniera non-invasiva, grazie a biosensori direttamente all'interno del corpo.
Immagine di Scoperto un modo per stampare tessuti 3D direttamente nel corpo senza chirurgia
Leggi questo articolo
Articolo 5 di 5
Cina e Russia si alleano per costruire sulla Luna
Russia e Cina pianificano la costruzione di una base lunare per il 2036, mentre la NASA ridimensiona i propri progetti spaziali.
Immagine di Cina e Russia si alleano per costruire sulla Luna
Leggi questo articolo
Advertisement
Advertisement

Advertisement

Footer
Tom's Hardware Logo

 
Contatti
  • Contattaci
  • Feed RSS
Legale
  • Chi siamo
  • Privacy
  • Cookie
  • Affiliazione Commerciale
Altri link
  • Forum
Il Network 3Labs Network Logo
  • Tom's Hardware
  • SpazioGames
  • CulturaPop
  • Data4Biz
  • TechRadar
  • SosHomeGarden
  • Aibay

Tom's Hardware - Testata giornalistica associata all'USPI Unione Stampa Periodica Italiana, registrata presso il Tribunale di Milano, nr. 285 del 9/9/2013 - Direttore: Andrea Ferrario

3LABS S.R.L. • Via Pietro Paleocapa 1 - Milano (MI) 20121
CF/P.IVA: 04146420965 - REA: MI - 1729249 - Capitale Sociale: 10.000 euro

© 2025 3Labs Srl. Tutti i diritti riservati.