L'iPhone 5 è prodotto da lavoratori sottopagati che devono soffrire abusi di ogni tipo negli stabilimenti Foxconn. La questione emerge ancora una volta grazie al lavoro di Wang Yu, un giornalista del Shangai Evening Post che si è spacciato per un operaio e ha passato 10 giorni nelle fabbriche dove si produce il più recente smartphone Apple.
Nel mettere in produzione il nuovo gadget, a quanto sembra, Apple e Foxconn hanno scordato mesi di polemiche e denunce. Wang infatti ha potuto vedere in anteprima l'ultimo smartphone Apple, ma anche vivere in prima persona lo stato miserevole in cui si trovano le persone che producono dispositivi elettronici – Apple è l'esempio più famoso, ma non l'unico.
Sbarre antisuicidio
Il giornalista è stato assegnato all'assemblaggio della parte posteriore dell'iPhone 5; la richiesta era di produrne circa 3.000, cinque ogni minuto in un turno di 10 ore, pagato l'equivalente di 3,3 euro circa, pochi anche per il costo della vita cinese. Ma non è certo la cosa peggiore.
Non mancano i metal detector e le perquisizioni all'ingresso, per assicurarsi che nessuno faccia trapelare informazioni riservate. Chi dirige i lavoratori poi cerca di motivarli sfruttando l'aura del prodotto: "questa è la cover posteriore dell'iPhone 5, ancora deve uscire. Dovreste essere onorati dall'avere la possibilità di produrlo", si è sentito dire Wang. Non siamo certi su quanto possa essere efficace l'argomento scelto.
"Dopo aver ripetuto l'azione per ore avevo un terribile dolore al collo e al braccio. Un nuovo assunto davanti a me era esausto e si è seduto per un momento. Il supervisore lo ha visto e l'ha punito obbligandolo a stare in piedi in un angolo per dieci minuti, come nelle scuole di una volta."
Finito l'estenuante turno di lavoro Wang si è ritrovato in dormitori sudici e sovraffollati, con lenzuola incredibilmente sporche e la costante compagnia di scarafaggi e parassiti - attirati probabilmente dai rifiuti abbandonati fuori dalle porte. Quanto a palestre, librerie, piscine e altri servizi di cui abbiamo sentito parlare, Wang racconta che sono sottodimensionati, malfunzionanti o semplicemente chiusi.
Ciliegina sulla torta, China Daily racconta di come alcune scuole sostanzialmente obblighino i propri studenti a stage lavorativi in Foxconn. Un vero e proprio ricatto, perché stando ad alcune interviste pubblicate dalla testata cinese agli studenti viene impedita la possibilità di terminare gli studi se non completano un periodo di lavoro nelle fabbriche. E questo vale anche per chi studia materie che non hanno nulla a che fare con la produzione tecnologica.
Vale la pena ricordare che questo non è un problema solo di Apple. Limitandosi alla sola Foxconn infatti parliamo di un'azienda con circa un milione di dipendenti, tra i cui clienti ci sono anche Dell, HP, Microsoft, Amazon e altri. Come se non bastasse, inoltre, tutti gli osservatori sono concordi nel dire che le condizioni presso gli stabilimenti Foxconn, per quanto terribili, sono migliori di quelle che troviamo in altre fabbriche cinesi.
Dormitori non proprio a quattro stelle
Foxconn ha risposto immediatamente al reportage (qui tradotto in inglese), e affermato che indagherà sui fatti emersi, in particolare sulle condizioni igieniche dei dormitori e sugli atteggiamenti da bulli dei supervisori.
"Foxconn non è perfetta, ma facciamo progressi ogni giorno e siamo sempre d'esempio nel dare risposte ai bisogni dei giovani lavoratori in Cina. A qualsiasi cosa che, come il reportage in questione, possa indicare che i nostri standard non trovano riscontro, farà seguito un'indagine e una soluzione".
Ben vengano gli sforzi per migliorare, ma a questo punto viene da chiedersi a che serva il lavoro della Fair Labor Association. Apple ha affidato a questa associazione il compito di controllare gli stabilimenti, con l'obiettivo di risolvere i problemi descritti, e poco più di un mese fa sembrava che le cose stessero migliorando. A quanto pare non è così, e allora non resta che decidere tra due possibilità: o gli ispettori pagati da Apple non stanno lavorando abbastanza bene, oppure stanno mentendo.
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C'è poi il ruolo del consumatore: il valore etico di ciò che consumiamo dev'essere preso in considerazione da chi compra il prodotto finale? Probabilmente sì, anche se la discussione è aperta.
Molte persone si sforzano dopotutto di comprare cibo e abiti "etici" ogni giorno, e questo ha generato un mercato piuttosto in salute. A lungo termine forse questo fenomeno potrebbe espandersi anche a oggetti con alto valore aggiunto, come i dispositivi elettronici. È una questione molto complessa, ma non per questo i consumatori dovrebbero ignorarla.
"Credo che dovrebbero prenderne coscienza, i loro telefoni portano con sé molto duro lavoro fatto da persone giovani, probabilmente più giovani di loro, che lo fanno perché non hanno alternative. Lavorano molto duro e meritano più denaro", ha affermato Geoffrey Crothall, portavoce dell'associazione China Labour Bullettin (Hong Kong).
In effetti leggere queste notizie può spingerci a criticare l'una o l'altra azienda, o ad accusare un reporter piuttosto che a santificarlo. Oppure a porci delle domande sul nostro stile di consumo e le sue implicazioni. Non comprare certi prodotti in favore di altri, cambiarli meno spesso, chiedere espressamente alle aziende di essere più etiche. Cosa possiamo fare come consumatori?