Ci sono storie memorabili che iniziano quasi per caso, finendo poi per rivoluzionare un intero settore. La peculiare storia di OnePlus, o meglio delle due menti che la concepirono, è una di queste. Non si tratta, difatti, dell’ennesima vicenda che narra la nascita di un brand divenuto poi famoso, ma uno dei, molteplici, esempi di come oltre a un buon prodotto, è indispensabile avere una visione.
Audace, a tratti folle, che si appoggia a strategie spregiudicate per farla arrivare a quante più persone possibili, facendo quanto più rumore possibile.
Una visione che, in questa storia, prende il nome di OnePlus One, lo smartphone che ha incarnato, e lanciato, la filosofia del “Never Settle”, piegando le regole di un intero settore e riuscendo a far barcollare colossi quali Apple e Samsung.
L’alba di una visione
Siamo nel 2013, durante una pausa caffè come tante altre. Pete Lau e Carl Pei, entrambi dipendenti di Oppo, osservano con un misto di curiosità e fastidio, i loro colleghi. Decine e decine di dipendenti che spendevano il loro tempo libero su degli iPhone, pur lavorando tutti per un’azienda che produceva smartphone Android. La domanda che i due si pongono fu tanto semplice quanto brutale: perché?
Pete Lau, con alle spalle il ruolo di vicepresidente in Oppo e una storia legata al mondo delle ROM personalizzate, e Carl Pei, giovane visionario con un fiuto infallibile per il marketing, trovarono in breve tempo la risposta alla loro domanda: il mercato Android, in quegli anni, presentava una lacuna enorme, ovvero l’assenza di prodotti premium a un prezzo accessibile.
I competitor Android di allora erano costosi quanto un iPhone e non riuscivano mai a offrire lo stesso appeal e la stessa coerenza di esperienza; mentre i prodotti venduti a prezzi più accessibili, non garantivano una usabilità degna di nota. Motivo per il quale, Apple dominava il mercato e brand come Samsung, li seguivano grazie a dei device di qualità, che poggiavano le loro fondamenta sulla libertà offerta da Android e che riuscirono a ritagliarsi in breve tempo una enorme fetta di mercato grazie a un marketing aggressivo e votato al denigrare le lacune della concorrenza, piuttosto che enfatizzare i propri pregi.
Non ci volle molto prima che Pete e Carl decisero di lanciarsi in un progetto folle: creare una nuova azienda, all’interno di Oppo, che avesse totale libertà creativa e la possibilità di forgiarsi un’identità propria, totalmente slegata dalle dinamiche dell’azienda madre.
Fu così che nel dicembre del 2013, in quel di Shenzhen, vide la luce OnePlus. Una start-up che al grido di “Never Settle” (non accontentarsi) si lanciò a testa bassa in un settore ricco di competitor agguerriti, con la ferrea volontà di ridefinirne le regole.
Un modello economico unico
La visione di OnePlus era totalmente folle: offrire uno smartphone top di gamma a un prezzo accessibile e che garantisse un’esperienza “premium” alla propria utenza. Un’utopia se si ripensa al mercato di quegli anni.
Ovviamente avere una visione non basta, serve anche una strategia mirata che riesca a farla arrivare al maggior numero di persone possibile. OnePlus, però, non aveva alcun tipo di budget per realizzare una campagna marketing gargantuesca, così come non aveva i fondi per fabbricare, e conseguentemente distribuire, i propri smartphone in tutti gli angoli del globo.
Motivi per i quali, Pete e Carl, optano per due soluzioni tanto rischiose quanto geniali. Per risolvere la problematica della fabbricazione, e della relativa distribuzione, i due decidono di vendere i loro smartphone esclusivamente online, senza alcun appoggio da parte di negozi fisici o store digitali.
Ogni smartphone di OnePlus doveva essere venduto tramite i loro canali ufficiali, senza eccezioni. Una soluzione che avrebbe permesso di mettere in piedi un sistema di prenotazioni che garantisse un controllo reale del venduto, garantendo la fabbricazione del numero esatto di modelli necessari per soddisfare la domanda, senza rischiare di produrre troppo andando in perdita.
Questa prima decisione, li fece ragionare su come spingere al meglio i loro prodotti senza alcuna campagna marketing attiva… e lì gli venne l’idea di costruirsi una community online che facesse il lavoro al posto l’oro.
Maturò quindi l’idea di permettere l’acquisto del primo smartphone della compagnia solamente a quegli utenti che avrebbero ricevuto un invito, rendendolo di fatto un prodotto esclusivo.
OnePlus One, il primo device dell’azienda, venne presentato come un vero e proprio “flagship killer”, ovvero uno smartphone premium, a un prezzo contenuto e che, per via del suo “street price” altamente competitivo, poteva essere prodotto, almeno inizialmente, in sole 50.000 unità, le quali sarebbero state vendute solamente su invito.
Un sistema geniale per gestire la domanda e l’offerta, ma, soprattutto, per creare quell’aura di esclusività che trasformò rapidamente il OnePlus One in un vero e proprio oggetto del desiderio.
Quello che sembrava un approccio totalmente suicida, si rivelò un successo incredibile. In breve tempo tutti parlavano del OnePlus One. Alcuni erano diffidenti sulle promesse fatte dall’azienda (specialmente in relazione al prezzo di listino), mentre altri erano entusiasti di quello che a tutti gli effetti sembrava essere il primo vero scossone al settore dai tempi dell’annuncio del primo iPhone.
Settimana dopo settimana, sempre più utenti entrarono nella community di OnePlus e quelli che all’inizio erano solo curiosi in cerca di un invito, diventarono ben presto membri di un club dove ci si confrontava, si discuteva, ci si complimentava per il progetto ma, soprattutto, si faceva un sacco di pubblicità gratuita, tramite un passaparola digitale che sembrava inarrestabile, all’azienda di Pete e Carl.
OnePlus One… il “flagship killer”
L’euforia generale, però, era principalmente dovuta alle qualità del primo smartphone presentato da OnePlus. Facciamo, quindi, un piccolo passo indietro e torniamo al 23 aprile 2014, una data che merita di essere ricordata.
Quel giorno vemme presentato ufficialmente il OnePlus One, soprannominato sin da subito “il primo, vero, flagship killer”. Un’etichetta che non era soltanto puro marketing ma che veniva dimostrata ampiamente dalle specifche tecniche del dispositivo:
- Display da 5,5 pollici Full HD, più ampio di quello del Nexus 5.
- Snapdragon 801, uno tra i chip più potenti sul mercato.
- Fotocamera Sony da 13 MP, capace di registrare video in 4K.
- Batteria generosa da 3100 mAh, che offriva un’autonomia superiore a molti rivali.
- 3 GB di RAM, un vero lusso per l’epoca.
Fu il prezzo, però, il vero colpo d’accetta all’intera industria: 300 dollari per la versione base con 3 GB di RAM, e 16 GB di memoria interna, e 350 dollari per la variante da 64 GB. Una cifra ridicola se confrontata con i concorrenti dell’epoca. Il Samsung Galaxy S5, ad esempio, partiva da 650 dollari per soli 16 GB di spazio d’archiviazione; mentre il Nexus 5 di Google, pensato come dispositivo “economico”, costava più del OnePlus One e offriva meno memoria, oltre a essere meno performante.
OnePlus, però, voleva fare al-in, motivo per il quale propose non solo un device con una scheda tecnica stellare, a un prezzo ridicolo, ma curò meticolosamente anche il design. Lo smartphone aveva linee eleganti, un design minimalista e veniva arricchito da una serie di cover posteriori, chiamate StyleSwap, disponibili in materiali insoliti come bambù, denim o kevlar.
Insomma, tutto pensato per fare fede al motto dell’azienda, quel “Never Settle” che, in una manicata di minuti, riuscì a far tremare i colossi del settore.
Fra marketing controverso e OS problematici
Nonostante l’hardware stellare, il prezzo bassissimo e un costante passaparola, il debutto di OnePlus non fu tutto rose e fiori, visto che l’azienda compì un paio di scivoloni dovuti proprio dalla loro eccessiva esuberanza in termini di marketing.
La prima controversia nacque in seguito alla campagna “Smash the Past”, la quale invitava gli utenti a iscriversi a un programma che avrebbe selezionato 100 utenti che avrebbero dovuto, una volta scelti, registrare un video dove dovevano distruggere il proprio vecchio smartphone per ricevere un OnePlus One a un dollaro.
La risposta della community fu incredibile e disastrosa allo stesso tempo. Migliaia di utenti si iscrissero al programma e molti di essi presero l’invito dell’azienda fin troppo sul serio, distruggendo i dispositivi senza neppure avere la certezza di vincere.
La risposta esagerata da parte della community portò anche a numerose critiche, che additarono l’azienda di dover proporre gesti più nobili, quali il donare in beneficienza gli smartphone dismessi invece che distruggerli.
OnePlus modificò rapidamente i termini della promozione, richiedendo ai partecipanti innanzitutto di aspettare di essere selezionati e poi di scegliere se registrare un video dove distruggevano il proprio smartphone o optare per donarlo in beneficienza alla Medic Mobile Charity.
Ancora più discutibile fu l’iniziativa “Ladies First”, che chiedeva alle partecipanti di sesso femminile di caricare una propria foto con il logo OnePlus per poter vincere un invito gratuito. Il problema fu che per ottenere l’agognato smartphone, le immagini inviate dovevano essere votate dagli utenti del forum di OnePlus e quelle con maggiori apprezzamenti avrebbero vinto. Una campagna percepita immediatamente come sessista e chiusa in poche ore tra le critiche feroci della community di OnePlus.
Un altra problematica non indifferente fu il sistema operativo del OnePlus One, ovvero Cyanogen OS, la versione commerciale della celebre ROM CyanogenMod. Per gli appassionati era un sogno: Android puro, altamente personalizzabile, con tutte quelle funzioni avanzate che i telefoni mainstream non offrivano ancora.
Tutto filò liscio, almeno fino all’arrivo del OnePlus One in India. Qui Cyanogen annunciò un accordo di esclusiva con Yu, brand locale di Micromax, informando OnePlus che non potevano vendere i loro device con Cyanogen OS su quel territorio.
Il risultato fu una montagna russa di cambiamenti in volata: un tribunale bloccò temporaneamente le vendite di OnePlus One in India, motivo per il quale l’azienda interruppe la collaborazione con Cyanogen e si rimboccò le maniche per creare rapidamente il proprio OS. Fu così che nacquero OxygenOS (per i mercati globali) e HydrogenOS (esclusivamente per la Cina).
All’inizio i nuovi OS risultarono particolarmente acerbi, generando critiche nei clienti, ma col tempo diventarono le colonne portanti dell’esperienza offerta da OnePlus. Paradossalmente, la crisi con Cyanogen segnò anche il declino della stessa azienda americana, che senza partner forti come OnePlus, perse lo slancio acquisito e si ritrovò a chiudere qualche anno più tardi.
Da 50.000 a 1,5 milioni
Al netto di critiche, euforia e dubbi, OnePlus ottenne un successo perfino superiore alle loro iniziali aspettative. L’azienda, difatti, si aspettava di vendere 50.000 unità del loro primo smartphone, ma entro la fine del 2014 ne vendettero quasi 1 milione e nel giro di un anno e mezzo, le vendite salirono a 1,5 milioni di dispositivi.
In soli due anni, OnePlus aveva già generato un miliardo di dollari di vendite, che per una startup nata da pochi mesi, era un risultato colossale e capace di scuotere le fondamenta dell’intero settore.
Guardando al passato, il successo di OnePlus One non era così ovvio da pronosticare. Si trattava di un ottimo smartphone indubbiamente, ma il fatto di venire rilasciato esclusivamente online, senza la possibilità di toccarlo con mano, in un periodo decisamente diverso da quello attuale, fu un rischio davvero coraggioso per la neonata azienda.
Alla fine, però, le ottime qualità del device, unite a un passaparola sempre più rumoroso, ne decretarono non solo il successo globale, ma definirono anche un modello di business che l’azienda perpetrò negli anni a venire (generando anche tutta una serie di emuli che preferiamo dimenticare).
Oggi OnePlus è un marchio consolidato, con un catalogo che spazia fra decine di prodotti diversi e orfana di uno dei suoi fondatori (quel Carl Pei che, perpetrando la sua visione, ha fondato Nothing nel 2020 con l’idea di smuovere nuovamente il settore). Ha più di 2.700 dipendenti ed é presente in decine di Paesi, un successo nato da una semplice domanda, posta quasi per caso, durante una banale pausa caffè e che creò un vero e proprio manifesto capace di far capire al pubblico che accontentarsi non era un’opzione e costringendo i grandi marchi a rivedere completamente le proprie strategie.