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Perché cambiamo smartphone anche se funziona?

Marketing, FOMO e status sociale: perché compriamo nuovi gadget tech se quelli vecchi funzionano ancora benissimo?

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a cura di Andrea Ferrario

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A cavallo tra gli anni '90 e il 2000, ci siamo trovati in un'epoca che potremmo definire d'oro per lo sviluppo tecnologico. Chi c'era in quegli anni ricorderà che, nonostante il livello tecnologico fosse molto lontano rispetto a quello attuale, i prodotti che si susseguivano presentavano caratteristiche tecniche molto differenti di anno in anno.

Erano gli anni in cui i cellulari passavano dagli schermi monocromatici a quelli a colori, dalle suonerie a bip alla possibilità di inserire vere e proprie canzoni. Il mondo dei PC vedeva salti generazionali enormi in pochissimo tempo, con almeno una nuova generazione di schede grafiche e processori ogni anno, a volte addirittura due.

In altre parole, cambiare lo smartphone una volta all'anno, aggiornare il PC o acquistare un nuovo elettrodomestico valeva la pena. Si poteva veramente accedere a tecnologie che cambiavano il modo in cui si viveva o percepiva quel prodotto.

Oggi, invece, viviamo in un'epoca paradossale. Gli smartphone durano facilmente 5 o più anni. I computer portatili superano i 7 anni di vita utile. I televisori e gli elettrodomestici possono funzionare tranquillamente per oltre un decennio mantenendo prestazioni adeguate.

La domanda, quindi, sorge spontanea: se la tecnologia è già così "abbastanza buona" oggi, perché continuiamo a comprare? Come siamo passati dall'obsolescenza tecnica all'obsolescenza psicologica? Quali sono le strategie che le aziende usano per spingerci a sostituire prodotti ancora perfettamente funzionanti?

La fine dell'obsolescenza tecnica 

Gli smartphone, che in passato avevano un ciclo di vita di uno, massimo due anni, oggi possono tranquillamente superare il doppio, arrivando a 5-6 anni senza problemi. Questa estensione della vita utile è il risultato di una combinazione di fattori: processori incredibilmente potenti ed efficienti, batterie migliorate e materiali di costruzione più resistenti, soprattutto per gli schermi.

Dal punto di vista prestazionale, si è raggiunto un punto in cui la potenza dei chip è così elevata che spesso le differenze sono rilevabili solo tramite benchmark specifici. Nell'uso quotidiano, praticamente non si nota alcun cambiamento tra un processore e l'altro. Parallelamente, l'introduzione di piattaforme software condivise come Android e iOS ha facilitato ed esteso il supporto software. Android garantisce aggiornamenti per oltre 5 anni (anche di più sui dispositivi premium), mentre iOS supporta gli iPhone per almeno 6 anni. Anche dopo questo periodo, è spesso ancora possibile utilizzarli, magari con piccole limitazioni.

Il fenomeno è ancora più evidente nel settore dei computer. Secondo Consumer Reports, il 63% dei portatili premium supera i 7 anni di utilizzo. I MacBook prodotti dal 2016 in poi mantengono prestazioni accettabili per la maggior parte degli utenti anche dopo 6 o 7 anni. Io stesso utilizzo ancora un MacBook Air di 13 anni per attività basilari e un iMac di 8 anni che funziona ancora bene per tutto. Analogamente, i televisori moderni sono progettati per durare oltre 100.000 ore, equivalenti a 11 anni di visione per 8 ore al giorno, un periodo che può estendersi ulteriormente. Persino gli elettrodomestici più complessi, come lavatrici, frigoriferi e lavastoviglie, mantengono le funzionalità di base per almeno 10-15 anni, con componenti spesso facilmente sostituibili in caso di guasto.

Questo drastico miglioramento nella longevità dei prodotti ha creato un paradosso per i produttori: i loro prodotti durano troppo rispetto alle esigenze di vendita per la crescita aziendale. Il caso più emblematico è quello di Apple, multata per oltre mezzo miliardo di dollari per il cosiddetto rallentamento deliberato via software degli iPhone più vecchi. La giustificazione ufficiale era la protezione delle batterie invecchiate, ma molti analisti l'hanno interpretata come un chiaro tentativo di spingere gli utenti a cambiare smartphone.

Questo episodio, insieme ad altri, segna simbolicamente il passaggio dall'obsolescenza tecnica programmata, la scelta deliberata del produttore di creare oggetti con componenti o specifiche che durano solo un certo tempo prima di diventare tecnicamente obsoleti, all'obsolescenza psicologica, metodi che creano negli utenti il desiderio di sostituire prodotti ancora perfettamente funzionanti, anche senza motivazioni tecniche o d'uso reale.

Cambiano le scelte d’acquisto

Secondo un rapporto di Confcommercio del 2004 sugli acquisti elettronici, le vendite di smartphone nella fascia economica (sotto i 300€) sono aumentate del 37% negli ultimi 5 anni. Parallelamente, il mercato dei dispositivi ricondizionati ha raggiunto 8,3 miliardi di euro nella sola Unione Europea, con una crescita del 152% rispetto al 2020. Questo riflette una crescente consapevolezza tra i consumatori che i dispositivi di fascia media o economica sono sufficientemente buoni per la maggior parte delle esigenze quotidiane.

Va però ricordato che questa consapevolezza è stata in parte "artificialmente spinta" dal fatto che i redditi medi non sono rimasti al passo con i rincari tecnologici. Considerando gli ultimi 20 anni, il reddito lordo pro capite si è addirittura ridotto del 7% (al netto dell'inflazione). Questo, unito al raddoppiamento o più dei prezzi di alcuni beni, implica che molte scelte d'acquisto oggi siano poco negoziabili. Basti pensare che il primo iPhone costava 499€, mentre oggi l'iPhone 16 più economico parte da 729€ e il Pro da 1239€. Per fortuna, esistono smartphone da 250€ che offrono prestazioni adeguate per le attività che occupano oltre l'80% del tempo di utilizzo medio: web, social media, streaming video, fotografia.

Gli smartphone premium, con prezzi tre, quattro o più volte superiori, offrono solo miglioramenti incrementali, significativi unicamente per utenti specializzati o professionisti. Un dato demografico rilevante è che il 47% degli utenti under 35 preferisce l'acquisto di dispositivi usati o ricondizionati, citando motivazioni sia economiche sia ecologiche. Piattaforme come Swappie, Backmarket e Rerurbed hanno registrato tassi di crescita annuali superiori al 70% solo in Italia.

Certo, esiste una fascia d'utenza che, nonostante le oggettive difficoltà economiche, continua a spendere molto per i modelli di punta. Perché? Perché si lascia catturare da strategie di marketing mirate, come la segmentazione artificiale sulla fascia alta di mercato. Questa tecnica consiste nell'introdurre numerose varianti dello stesso prodotto con differenze marginali ma prezzi significativamente diversi (varianti Plus, Max, Pro, Ultra, ecc...). Spesso, queste varianti gonfiano i prezzi di centinaia di euro a fronte di differenziazioni tecniche molto limitate: schermo leggermente più grande, materiali "premium", alcune funzioni fotografiche, mentre l'architettura base rimane per il 90% la stessa. Queste differenze portano a un decremento esponenziale del rapporto prezzo-prestazioni. Come in quasi ogni settore, il valore maggiore si trova nei prodotti di fascia media, mentre sui premium i guadagni delle aziende sono molto maggiori rispetto al guadagno dell'utente in termini di esperienza.

Questa biforcazione del mercato riflette due approcci al consumo tecnologico. Da un lato, una fascia crescente di consumatori più pragmatici cerca il miglior rapporto qualità-prezzo e prolunga l'utilizzo dei dispositivi. Dall'altro, il segmento premium, stabile, continua ad aggiornare regolarmente, guidato da motivazioni che trascendono la pura funzionalità o qualità.

Non si innova più

Rispetto al passato, l'innovazione tecnologica è diventata sempre più incrementale e meno percepibile per l'utente medio nell'uso quotidiano. Oggi è difficile notare differenze sostanziali tra due smartphone della stessa fascia di prezzo di due generazioni differenti. L'esperienza d'uso è pressoché la stessa. 

"Un tempo i lanci di nuovi modelli catalizzavano l'attenzione globale, oggi suscitano reazioni più tiepide"

Le innovazioni pubblicizzate riguardano miglioramenti marginali: sensori fotografici leggermente più grandi, processori con incrementi prestazionali minimi (misurabili solo con benchmark), schermi con frequenze di aggiornamento o risoluzioni un po' più alte che all'occhio nudo non si distinguono. La maggior parte di questi miglioramenti è apprezzabile solo in condizioni specifiche, in situazioni di benchmark o da utenti specializzati.

Il fenomeno è amplificato dal fatto che solo una minima parte degli utenti (alcuni studi citano percentuali inferiori al 15%) sfrutta oltre la metà delle funzioni disponibili sul proprio dispositivo. Al contrario, la quasi totalità degli utenti sfrutta solo le funzioni base, non traendo vantaggio dalle novità tecniche apportate nei cambi generazionali.

Un altro dato interessante è che almeno tre quarti delle sostituzioni di prodotti tecnologici derivano da danni fisici (schermi rotti, batterie esaurite) o da obsolescenza del software (quando non sono più disponibili aggiornamenti). Non sono motivate da limitazioni di prestazioni insufficienti o insoddisfazione generale legata all'età del prodotto.

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anziana smartphone

Pensiamo, ad esempio, al passaggio dal 4G al 5G: questa transizione ha richiesto oltre 7 anni e ha portato vantaggi tangibili solo in specifici casi d'uso come hotspot o cloud gaming. Nelle attività quotidiane, la maggior parte degli utenti non nota alcuna differenza, cosa che invece accadde con il passaggio dal 2G al 3G o anche dal 3G al 4G (sebbene quest'ultimo con differenza inferiore).

Questo rallentamento dell'innovazione percepita ha costretto i produttori a spostare la comunicazione marketing dalle specifiche tecniche all'esperienza d'uso, dalle prestazioni alle emozioni, dalle funzionalità allo status sociale. Un cambiamento che rivela come l'obsolescenza sia diventata più una questione psicologica che tecnica.

Le nuove strategie delle aziende

Come è possibile far fronte a questo rallentamento del mercato? Cosa possono fare le aziende per convincervi a comprare? La risposta sta unicamente nella strategia commerciale, spostando il focus su meccanismi più sottili. Quattro sono gli approcci principali che caratterizzano l'era attuale:

  1. Marketing emozionale: Le campagne pubblicitarie si concentrano meno sulle specifiche tecniche e più su emozioni e identità. Apple non vende più un iPhone, vende uno stile di vita, anche attraverso collaborazioni con marchi di lifestyle come Nike. Questa strategia ha mostrato un incremento del 28% nella fidelizzazione dei clienti rispetto alle comunicazioni basate solo sulle specifiche. La narrazione si focalizza su come il prodotto migliora la vita, rende i ricordi più vividi (fotocamera), mantiene connessi (messaggistica) o potenzia la creatività (video/editing). Samsung, con Galaxy AI, vende la promessa di una vita più semplice tramite l'intelligenza artificiale.
  2. Ecosistemi locked-in: I produttori hanno capito che legare gli utenti a un ecosistema integrato è più redditizio. Apple One, Amazon Prime, Google One sono esempi di servizi in abbonamento che funzionano ottimamente solo rimanendo all'interno dello stesso ambiente. Questo approccio ha ridotto il tasso di abbandono del brand del 45% secondo varie analisi. La perfetta sincronizzazione tra iPhone, Mac, iPad e Apple Watch crea un effetto "blocco" che rende psicologicamente costoso passare a un altro ecosistema. Similmente, l'integrazione di Microsoft 365 con i dispositivi Surface ha permesso a Microsoft di conquistare il 78% degli utenti in abbonamento, mentre Adobe Creative Cloud raggiunge il 93% di adozione tra i professionisti creativi.
  3. Segmentazione artificiale: Già citata, mira a spingere i consumatori verso la fascia alta moltiplicando le varianti con differenze marginali ma prezzi significativamente diversi. Le strategie Pro, Ultra, Max permettono di aumentare i margini senza affrontare costi produttivi proporzionalmente maggiori. Questa proliferazione crea una scala psicologica che spinge l'utente a considerare modelli più costosi per evitare il "rimorso dell'acquirente".
  4. Obsolescenza soft: Meno evidente ma efficace, impone limiti software piuttosto che hardware. La fine del supporto Android dopo 3 anni su molti dispositivi di fascia media, l'incompatibilità di nuove funzioni con hardware capace di supportarle, o la riduzione delle prestazioni via software creano un ciclo di sostituzione medio di circa 3 anni, anche se l'hardware durerebbe di più.

Queste strategie, spesso combinate, costituiscono un arsenale psicologico che permette alle aziende di mantenere cicli di sostituzione brevi nonostante la crescente longevità tecnica. Il risultato è un mercato dove l'obsolescenza percepita supera di gran lunga quella reale.

Psicologia e FOMO: ansia da aggiornamento

Uno dei motori più potenti che spinge all'acquisto compulsivo è la FOMO, acronimo di Fear Of Missing Out. È la paura e l'ansia sociale di essere esclusi, o più semplicemente, la paura di essere tagliati fuori. Questa paura è alimentata costantemente dai produttori tramite notifiche push, promemoria che sottolineano l'esistenza di versioni migliori del proprio prodotto, e il confronto sociale. Sui social, influencer e testate tech promuovono i nuovi dispositivi, amplificando il senso di inadeguatezza tecnologica tramite il confronto. Le strategie di lancio scalari con preview esclusive rafforzano la percezione che essere tra i primi ad adottare una nuova tecnologia conferisca uno status sociale superiore.

È stato rilevato che oltre il 40% di un campione di consumatori ha ammesso di cambiare smartphone per vergogna di esibirlo pubblicamente, magari per difetti estetici come graffi o schermo rotto. Questo è più pronunciato in situazioni sociali o professionali dove il dispositivo è sempre visibile agli altri (lavoro, riunioni, contesti sociali dove lo status è importante).

Siamo di fronte a un meccanismo psicologico complesso. Non è tanto il desiderio di una nuova funzione, quanto il bisogno di mantenere o migliorare il proprio status sociale percepito. La FOMO tecnologica è amplificata dal design delle interfacce digitali: gli store di app promuovono app ottimizzate per l'ultimo hardware, i sistemi operativi evidenziano funzioni solo sui nuovi modelli e le notifiche di aggiornamento creano un senso persistente di inadeguatezza nell'usare il vecchio smartphone. Questo complesso di ansia sociale è evidente nei contesti lavorativi, dove la metà dei professionisti ha riportato disagio nell'usare tecnologie percepite come datate durante presentazioni, indipendentemente dalla loro funzionalità.

Le aziende tecnologiche hanno perfezionato l'arte di sfruttare questa vulnerabilità psicologica, creando cicli artificiali di desiderio, acquisto, delusione, nuovo desiderio che mantengono il mercato in movimento nonostante l'allungamento della vita tecnica dei prodotti.

La situazione può cambiare?

È probabile che questa situazione cambi? A mio parere, probabilmente no. Anzi, potrebbe peggiorare.

Pensiamo all'evoluzione dell'Intelligenza Artificiale: se in futuro i modelli di IA gireranno in locale sui dispositivi, potrebbe crearsi una nuova stratificazione, in quanto essi saranno gestibili solo dai processori più potenti. Molto probabilmente, però, il futuro dell'IA rimarrà nel cloud. Se molte attività verranno delegate all'IA, essa non farà altro che appiattire ulteriormente il divario tecnologico.

Questo trend non cambierà

Questo vale per la maggior parte dei prodotti. Per gli smartphone, la fotografia ha raggiunto un "muro". Se l'obiettivo è fare belle foto/video, non ci sarà nulla che migliorerà significativamente il risultato rispetto a oggi. Sugli schermi potranno esserci novità (pieghevoli, arrotolabili) ma non cambieranno radicalmente l'ergonomia, perché ciò che c'è funziona bene. Le prestazioni saranno sempre meno importanti, anche dove oggi contano di più come nei videogiochi, grazie ad algoritmi di upscaling che riducono la necessità di potenza grezza.

Le aziende cercheranno sempre più modi per farvi desiderare un nuovo prodotto. E quando non ci riusciranno più, quando sempre più gente si renderà conto che non ha senso cambiare i prodotti così spesso? Forse vedremo un abbassamento dei prezzi o prodotti lanciati a maggiore distanza l'uno dall'altro? Probabilmente no.

Quando arriveremo a quel punto, semplicemente cambierà l'economia, e in più settori si attiverà l'economia dell'abbonamento. Continuerete a spendere soldi, ma sembrerà più accettabile avere tante piccole rate mensili piuttosto che acquistare un prodotto da 1000€, 2000€, 3000€.

La scelta, ovviamente, sta a voi: continuare a farvi controllare da queste dinamiche o "ribellarvi" e fare scelte più calcolate.

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1 Commenti

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Per quanto mi riguarda il problema principale è la batteria e la sua durata.
Tendo comunque ad utilizzare uno telefono minimo 3 anni e poi eventualmente a passarlo ad esempio a mia madre che lo utilizza almeno altri 2-3 anni senza problemi.
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Per le lavatrici in particolare, una volta duravano 15 anni e più.. ora vedo che tende a rompersi entro 5 anni se va bene, ed il costo della riparazione è talmente alto che conviene prenderla nuova..
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Buongiorno. Molto interessante questo articolo. Ben scritto ed argomentato. Personalmente, ho sofferto di FOMO anch'io. A volte ho delle crisi. Di solito tenevo uno smartphone circa 2 anni, poi lo cambiavo, non per necessità, ma per desiderio di novità, per qualche miglioramento software o hardware. Nel 2022 ho comprato un super top di gamma Galaxy S22 Ultra. Super felice, contavo di tenerlo per tutti i 5 anni promessi di aggiornamento. E invece, dopo 38 mesi è morta la scheda madre, come a parecchi altri esemplari della serie, leggendone sul forum di supporto. Allora sono giunto alla conclusione che, come dice l'articolo, non vale la pena spendere più di 500 euro. Ora ho un telefono medio di gamma, col quale faccio tutto quello che facevo con l'altro, a parte il pennino, vero valore aggiunto del mio precedente telefono per il mio utilizzo. Spero che almeno questo duri per gli anni di supporto.
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Alcune persone hanno l'ossessione per il nuovo senza stare a farsi problemi sul risparmio.
Anche se non c'è alcuna necessità, compreranno lo stesso.
Il consumismo ringrazia.
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