A dieci anni dal lancio della sua prima campagna presidenziale, l'impero di Donald Trump si lancia in una nuova avventura imprenditoriale: la telefonia mobile. Con il nome di Trump Mobile, la Trump Organization ha presentato un nuovo operatore e un nuovo smartphone, puntando tutto su una narrazione nazionalista e su un servizio definito "All-American". Tuttavia, dietro lo sfarzo della presentazione e le promesse di una produzione interamente statunitense, si nasconde una realtà ben diversa, che smonta pezzo per pezzo la retorica patriottica.
Il fulcro dell'offerta è lo smartphone T1, un dispositivo che, nelle parole di Eric Trump, segna il ritorno della produzione tecnologica in America: "Avrete telefoni fatti proprio qui, negli Stati Uniti d'America". Presentato con una scocca dorata e il motto "Make America Great Again", il T1 viene descritto come un'alternativa patriottica ai giganti del settore come Apple, spesso criticata da Trump per la sua produzione delocalizzata in Asia. Il comunicato stampa ufficiale è perentorio: il T1 è "orgogliosamente progettato e costruito negli Stati Uniti".
Bastano però poche ore agli analisti del settore per smascherare l'operazione. Come rivelato sui social media, il Trump T1 non è altro che un rebranding del T-Mobile REVVL 7 Pro 5G. Le specifiche tecniche coincidono quasi perfettamente: un display AMOLED da 6,8 pollici, una fotocamera principale da 50MP affiancata da inutili sensori secondari da 2MP, e una generosa batteria da 5.000mAh. Il REVVL 7 Pro 5G è un dispositivo prodotto in Cina da Wingtech, un'azienda di proprietà della cinese Luxshare.
La differenza sostanziale sta nel prezzo e nel marketing. Mentre il modello originale di T-Mobile ha un prezzo di listino di circa 250 dollari, e si può trovare in offerta su Amazon a 169 dollari, il Trump T1 viene proposto in pre-ordine a ben 499 dollari. In sostanza, si tratta dello stesso telefono, con una scocca diversa e un logo più vistoso, venduto a un prezzo quasi triplicato.
Questa strategia ricorda da vicino il caso italiano dello Stonex One, promosso da Francesco Facchinetti nel 2015 con un'intensa campagna mediatica basata sull'orgoglio italiano, per poi rivelarsi un prodotto cinese personalizzato solo esteticamente. Anche in quel caso, le promesse di un prodotto "italiano" si scontrarono con la realtà di una filiera produttiva interamente asiatica, generando polemiche e delusione.
L'intera operazione Trump Mobile appare più come una manovra per capitalizzare sul brand politico del Presidente che un serio tentativo di entrare nel competitivo mercato delle telecomunicazioni.
L'impossibilità pratica di realizzare la promessa del "Made in USA" è evidente. Come molte testate hanno più volte sottolineato, persino per un gigante come Apple spostare la produzione dell'iPhone negli Stati Uniti comporterebbe costi esorbitanti e anni di pianificazione logistica. La filiera dei componenti per smartphone è globale e dominata da aziende asiatiche. I processori, anche se progettati da aziende americane come Qualcomm, sono fabbricati a Taiwan da TSMC. Non esistono produttori di massa di schermi AMOLED negli Stati Uniti, e lo stesso vale per i moduli delle fotocamere e le batterie.
Assemblare uno smartphone negli USA è tecnicamente possibile su piccola scala, come fanno aziende di nicchia come Purism, ma questo processo si limita a montare componenti importati da tutto il mondo. Un'operazione del genere, se condotta secondo le regole e pagando i dazi di importazione (molti dei quali introdotti proprio dall'amministrazione Trump), renderebbe impossibile ottenere un profitto vendendo il dispositivo a 499 dollari.