Ci risiamo. È arrivato quel momento dell'anno, puntuale come il cambio di stagione e, apparentemente, come le polemiche che lo accompagnano. Geoff Keighley ha appena svelato al mondo le nomination per i The Game Awards 2025 e, mentre l'industria celebra giustamente un'annata videoludica ricca e vibrante, io mi ritrovo qui, davanti allo schermo, a scuotere la testa con un misto di incredulità e frustrazione professionale.
Per la prima volta, l'onore e l'onere di far parte della giuria internazionale che vota queste categorie, rappresentando con orgoglio SpazioGames e l'Italia. È un ruolo che prendo terribilmente sul serio, compilando le mie schede con cura maniacale, analizzando ogni titolo, ogni sfumatura tecnica, ogni merito artistico.
Eppure, quando poi vengono aggregati i voti di tutte le testate mondiali e viene fuori la lista finale, non posso fare a meno di chiedermi: ma stiamo tutti giocando agli stessi videogiochi? O forse, stiamo tutti interpretando le stesse categorie in modi radicalmente diversi?
Quest'anno, guardando la lista dei finalisti, la sensazione di smarrimento è più forte del solito. Non fraintendetemi: vedere nomi come Hollow Knight: Silksong (finalmente!), Hades II, Clair Obscur: Expedition 33 o Death Stranding 2: On The Beach in lizza va più che bene. Sono titoli eccezionali che meritano ogni riflettore puntato su di loro. Ma il diavolo, come sempre, si nasconde nei dettagli, o meglio, nella categorizzazione. E quest'anno, alcune scelte sembrano sfidare non solo la logica, ma la stessa definizione dei generi videoludici.
Quando l'indie non è più indie
Partiamo da Clair Obscur: Expedition 33. Il titolo di Sandfall Interactive ha fatto la storia, incassando ben 12 nomination, più di qualsiasi altro gioco. È un risultato straordinario per un team al debutto e, sia chiaro, il gioco è un gioiello visivo e ludico che merita di competere per il GOTY.
Il problema sorge quando lo vedo troneggiare nella categoria Best Independent Game e Best Debut Indie Game. Qui c'è un cortocircuito concettuale che non possiamo più ignorare. Clair Obscur è pubblicato e supportato da Kepler Interactive. Non stiamo parlando di un collettivo di tre amici in un garage che si autofinanziano su Kickstarter. Parliamo di una produzione con valori produttivi da "doppia A" spinto, se non addirittura da tripla A in certi frangenti, supportata da una macchina marketing e distributiva potente.
Inserire un prodotto con le quei valori tecnici ed economici come Expedition 33 nella stessa categoria di Ball x Pit o Blue Prince falsa la competizione. È come far correre una Formula 2 in una gara di go-kart amatoriali. Se continuiamo ad allargare la definizione di "Indie" fino a includere produzioni con budget milionari e publisher strutturati, finiamo per togliere spazio a chi "indipendente" lo è davvero, nel senso più puro e letterale del termine.
Clair Obscur meritava le sue nomination per la regia, l'art direction e la narrativa, assolutamente. Ma vederlo concorrere come miglior indie è un'ingiustizia verso il sottobosco creativo che quella categoria dovrebbe proteggere ed esaltare.
L'identità perduta del gioco di ruolo
Se la categoria Indie soffre di gigantismo, la categoria Best RPG soffre di una crisi d'identità profonda. Tra i nominati troviamo Monster Hunter Wilds. Ora, io ho amato Monster Hunter: Wilds. Capcom ha creato un action game ottimo, con un loop di gameplay equilibrato e un ecosistema vivo. Ma definirlo un RPG nel 2025 è una forzatura che fa male allo stesso genere.
Avere delle statistiche sull'armatura e un sistema di crafting non trasforma un gioco d'azione in un Gioco di Ruolo. Manca la componente narrativa ramificata, manca la costruzione del personaggio intesa come interpretazione, mancano le strutture tipiche del genere. Decisamente molto più sensati The Outer Worlds 2, Avowed e Kingdom Come Deliverance 2.
La beffa è doppia quando si nota chi è rimasto fuori per far posto a un gioco come Monster Hunter. L'assenza di Trails in the Sky (con il suo magnifico ritorno) è un colpo al cuore per chi ama il genere. Parliamo di un titolo che è l'essenza stessa del JRPG: scrittura densa, world-building maniacale, gestione tattica del party. Estromettere un rappresentante puro del genere per inserire un action game con numeri a schermo è sintomo di una giuria che, a livello aggregato, tende a premiare la popolarità trasversale piuttosto che l'aderenza e l'eccellenza specifica della categoria.
È il solito problema: i giochi più venduti cannibalizzano le categorie tecniche e di genere, oscurando chi in quelle nicchie eccelle davvero.
Il libro dei sogni vs la realtà
Passiamo poi alla categoria che ogni anno mi fa sorridere amaramente: Most Anticipated Game. Lo scopo di questo premio dovrebbe essere quello di generare hype per l'anno solare (o fiscale) successivo. Dovrebbe dirci: "Ecco cosa non vediamo l'ora di giocare nel 2026".
E invece, tra i nominati, trovo The Witcher IV. CD Projekt RED è stata chiara sui tempi di sviluppo. Sappiamo che è in lavorazione, ma sappiamo anche che realisticamente non lo vedremo prima del 2028/2029, se siamo fortunati. Nominare un titolo che è poco più di un logo e una promessa, a discapito di giochi concreti, tangibili e in dirittura d'arrivo, è un esercizio di stile inutile.
Dove sono Fable e Gears of War: E-Day? Parliamo di giochi che hanno finestre di lancio più credibili, che rappresentano il futuro immediato del gaming in generale. Escluderli per votare sulla fiducia il nome di Ciri (o chi per lei) trasforma questa categoria in una "wishlist" di Natale scollegata dalla realtà produttiva. Premiare l'hype cieco invece della concretezza è un messaggio sbagliato da mandare al mercato. Almeno secondo me.
L'orecchio sordo della critica
Infine, permettetemi di toccare un tasto dolente per chi, come me, ritiene che il sonoro sia il 50% dell'esperienza videoludica: il Best Audio Design.
Tra i nominati figura Ghost of Yōtei. Sucker Punch è maestra nel creare atmosfere, e sono certo che il vento di Hokkaido suonerà magnificamente. Ma è una scelta "sicura", quasi automatica. È il blockbuster Sony, quindi deve suonare bene.
Eppure, il 2025 ci ha regalato Cronos: The New Dawn di Bloober Team. Chiunque lo abbia giocato (o anche solo provato in anteprima) sa che il lavoro svolto sul sound design in quel titolo è qualcosa di viscerale, strutturale, fondamentale.
In un survival horror, l'audio non è contorno, è gameplay. È tensione, è narrativa ambientale, è terrore puro veicolato attraverso frequenze e spazialità. L'esclusione di Cronos da questa cinquina è forse l'errore tecnico più grave di queste nomination. Dimostra una tendenza a votare "a pacchetto": se un gioco è piaciuto molto (come Yōtei), ci si sente quasi in dovere di candidarlo in ogni categoria tecnica, ignorando opere che magari, proprio in quella specifica disciplina, hanno osato di più e raggiunto vette più alte.
Un sistema da rifondare
Non è la prima volta che sono critico nei confronti del modo di valutare i giochi nei TGA e quest'anno lo sono ancora di più, essendo parte della giuria. In passato criticai l'assenza (inspiegabile ancora oggi) di Forza Horizon 5 nei GOTY per favorire titoli come Ratchet & Clank Rift Apart.
Guardando queste nomination, la sensazione che mi pervade non è ovviamente rabbia, ma una pacata rassegnazione. I The Game Awards sono diventati una macchina enorme, necessaria per l'industria, un palcoscenico scintillante che celebra il nostro medium. E va bene così.
Ma come giurato, non posso fare a meno di notare che il sistema di voto, basato sulla maggioranza di centinaia di testate generaliste e specializzate, tende inevitabilmente ad appiattire i risultati verso il "popolare". I giochi più famosi, quelli con i budget marketing più alti, tendono ad assorbire come buchi neri anche le categorie dove non dovrebbero stare, o dove ci sono alternative migliori ma meno note.
Vedere Clair Obscur bullizzare i veri indie, Monster Hunter spacciarsi per RPG puro, e The Witcher 4 vincere premi per la sua semplice esistenza futura, mentre perle come Trails in the Sky o il sound design di Cronos vengono dimenticati, è un peccato. Così come è assurdo non vedere Dispatch nella miglior narrativa.
Il mio voto, quello di SpazioGames, c'è stato e continuerà ad esserci, cercando sempre di premiare il merito specifico e la coerenza delle categorie. Ma forse è arrivato il momento, per Geoff Keighley e per noi della giuria, di fare una riflessione seria sui criteri di ammissione e sulle definizioni dei generi. Perché celebrare i videogiochi è bellissimo, ma farlo con cognizione di causa sarebbe ancora meglio.
Ci vediamo la notte della premiazione. Sarò lì a tifare per i vincitori, ovviamente, ma con la consapevolezza che, anche quest'anno, alcune delle vere vittorie morali sono rimaste fuori dalla busta.