Il fallimento di Anthem rappresenta molto più di un semplice flop videoludico: è il caso di studio perfetto di come anche i giganti dell'industria possano perdere la propria identità inseguendo chimere di mercato. La software house canadese BioWare, celebrata per decenni come la regina della narrazione interattiva grazie a capolavori come Mass Effect e Dragon Age, si è trovata a scommettere tutto su una trasformazione che ha messo in discussione la propria essenza creativa. Le rivelazioni di Mark Darrah, ex produttore esecutivo dello studio che ha lasciato l'azienda nel 2021, gettano luce sui meccanismi che hanno portato uno dei nomi più rispettati del gaming a uno dei suoi capitoli più bui.
La seduzione dei numeri di FIFA
Al cuore del disastro c'era una visione che sulla carta sembrava geniale. Casey Hudson, veterano dello studio e mente creativa della saga Mass Effect, aveva immaginato qualcosa di rivoluzionario: mantenere l'eccellenza narrativa che aveva reso famosa BioWare, ma trasferendola in un modello economico completamente diverso. L'obiettivo era ambizioso: creare un'esperienza che combinasse la qualità storytelling dello studio con i ricavi stratosferici dei giochi live service.
Come racconta Darrah, il pitch presentato a Electronic Arts suonava irresistibile per qualsiasi dirigente: "E se fosse un gioco BioWare ma capace di generare i numeri di FIFA?". La proposta non riguardava semplicemente lo sviluppo di un nuovo titolo, ma una metamorfosi filosofica completa dell'azienda verso il modello dei servizi online continui.
Il video che divise lo studio
Per vendere questa visione alla dirigenza, il team di Hudson produsse un filmato promozionale interno dall'alta qualità cinematografica. Il video, realizzato con lo stile patinato delle presentazioni delle big tech, conteneva però un messaggio che si sarebbe rivelato profondamente divisivo: sosteneva che gran parte del lavoro passato di BioWare fosse ormai obsoleto.
Mentre i dirigenti di EA rimanevano affascinati da questa narrazione del cambiamento, all'interno di BioWare si crearono tensioni palpabili. I team ancora impegnati sui franchise tradizionali si trovarono di fronte a una leadership che dichiarava superato il loro approccio creativo.
L'abbandono della nave
Il colpo di grazia arrivò quando Hudson decise di lasciare BioWare proprio durante lo sviluppo di Anthem, creando un vuoto di leadership nel momento più critico. La "rivoluzione narrativa" tanto decantata rimase improvvisamente orfana, trasformandosi in uno slogan privo di sostanza che nessuno sapeva più come interpretare.
"Il progetto aveva dichiarato di essere il futuro della narrativa, ma nessuno sapeva davvero cosa significasse", ammette Darrah. Non era nemmeno chiaro se lo stesso Hudson avesse un'idea precisa di come realizzare concretamente questa visione rivoluzionaria.
Il rifiuto che cambiò tutto
Un altro momento cruciale si verificò quando Electronic Arts respinse la proposta strategica di Darrah. Il produttore aveva suggerito di invertire le priorità: completare prima Dragon Age 4 e posticipare Anthem, dando al progetto live service uno o due anni aggiuntivi di sviluppo per maturare adeguatamente.
Questa decisione si rivelò particolarmente miope considerando che Dragon Age 4 fu successivamente riavviato più volte, inclusa una fase in cui venne temporaneamente trasformato anch'esso in un gioco live service. La scelta di mantenere la tabella di marcia originale privò entrambi i progetti del tempo necessario per una crescita organica.
Il caso Anthem dimostra come anche gli studi più talentuosi possano smarrire la strada quando abbandonano le proprie competenze distintive per inseguire trend di mercato. La lezione è chiara: nel tentativo di diventare tutto per tutti, si rischia di perdere ciò che ci rende unici.