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Pro
- Lo shooting è sempre soddisfacente
- Il multiplayer riesce sempre a tenere incollati
- Seppur non perfetta, la modalità zombie divertente tantissimo
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Contro
- La campagna è un disastro
- Tantissime mappe provengono da restyling degli altri Black Ops
- C'è un riutilizzo eccessivo di asset passati
Il verdetto di Tom's Hardware
Informazioni sul prodotto
L'autunno porta con sé il cadere delle foglie, il primo freddo e, puntuale come un orologio svizzero tarato sulle logiche del mercato globale, il nuovo capitolo di Call of Duty. La strategia di Activision è ormai una marcia inarrestabile, un rullo compressore mediatico e produttivo che non conosce sosta: una pubblicazione annuale che, pur sapendo spesso di "già visto" e riciclando formule collaudate, continua a dominare imperterrita le classifiche di vendita mondiali. È un rito laico per milioni di giocatori, una certezza rassicurante in un'industria sempre più volatile.
Quest'anno il testimone passa a Call of Duty: Black Ops 7, un progetto mastodontico e corale guidato dalla veterana Raven Software e dai maestri di Treyarch, supportati da una legione di studi satellite dell'ecosistema Activision. Questo capitolo si pone l'ambizioso obiettivo di essere un sequel diretto dell'amato Black Ops 2, riprendendo le fila narrative lasciate in sospeso anni fa.
Tornano figure iconiche come David Mason e l'ombra lunga della caccia a Raul Menendez, ma la vera incognita, quella che aleggia su ogni installazione annuale, resta sempre la stessa: questo ennesimo tour of duty merita il nostro tempo, la nostra dedizione e il nostro denaro? O siamo di fronte all'ennesima iterazione di una formula che inizia a mostrare segni di stanchezza strutturale? Analizziamo nel dettaglio ogni componente di questa immensa offerta ludica.
Una campagna senza senso
La componente per giocatore singolo (o meglio, cooperativa, come vedremo) è stata spesso il fiore all'occhiello della sottoserie Black Ops, nota per le sue trame psicologiche, i colpi di scena alla "Manchurian Candidate" e una certa audacia narrativa. La grande novità di quest'anno è il ritorno in pompa magna della campagna cooperativa a quattro giocatori, una feature assente dai tempi di Black Ops 3 (2015) e che cambia radicalmente l'approccio al level design e al ritmo di gioco.
Pad alla mano, l'esperienza si rivela fin dai primi istanti pura adrenalina, un luna park di distruzione che abbandona qualsiasi velleità di realismo militare crudo per abbracciare uno stile quasi da "supereroi" tattici. I giocatori hanno accesso a un arsenale di abilità e gadget che trasformano il campo di battaglia in un parco giochi: scudi energetici a bolla che garantiscono immunità temporanea, cannoni portatili dal potenziale devastante capaci di disintegrare i nemici corazzati, e moduli di occultamento ottico per approcci stealth coordinati.
L'introduzione di strumenti di mobilità avanzata, come il rampino tattico e il salto potenziato, ha permesso agli sviluppatori di disegnare livelli molto più aperti e verticali, dicendo finalmente addio ai classici "corridoi" lineari e scriptati che hanno caratterizzato il franchise per un decennio. C'è una sensazione di libertà inebriante nel coordinarsi con tre amici, decidendo chi sfonda la porta principale con uno scudo antisommossa e chi si arrampica su un cornicione per fornire copertura dall'alto.
Tuttavia, grattando sotto la superficie di questa spettacolarità visiva, emerge un vuoto narrativo preoccupante. La campagna è una fiammata intensa, accecante, ma brevissima: in circa 4 ore e mezza si arriva ai titoli di coda, una durata esigua anche per gli standard di Call of Duty.
Se il gameplay diverte grazie alla sua frenesia arcade, la scrittura delude su quasi tutti i fronti. La trama appare banale, priva di quel sottotesto politico e psicologico che aveva reso grandi i primi capitoli. I personaggi sembrano caricature di sé stessi, macchiette che recitano frasi fatte, e l'antagonista di turno non riesce mai a incutere quel timore reverenziale o quel rispetto che un villain come Raul Menendez sapeva comandare con la sola presenza scenica.
Non mancano momenti di alto impatto visivo, incluse alcune boss fight memorabili (tra cui spicca, anche per un pizzico di involontaria comicità e autoironia, lo scontro con una versione gigante dell'attore Michael Rooker) e una direzione artistica che a tratti sfocia nel visionario e nel sovrannaturale.
Purtroppo, l'esperienza scivola via senza lasciare il segno, aggravata da scelte di design disastrose come l'assenza di checkpoint intermedi durante le missioni in cooperativa, che costringe a sessioni di gioco ininterrotte o a frustranti riavvii in caso di disconnessione o fallimento. È un divertimento "mordi e fuggi", perfetto per una serata chiassosa con gli amici, ma destinato a dissolversi nella memoria non appena spenta la console.
Terminata la breve parentesi della storia, il gioco tenta di trattenere l'utente con la modalità Endgame, ambientata nella vasta e dettagliata mappa di Avalon. Sulla carta, l'idea di un mondo aperto esplorabile, dove accumulare risorse, completare contratti e salire di livello in un ambiente persistente, è intrigante e sembra voler strizzare l'occhio al genere degli extraction shooter che tanto sta spopolando negli ultimi anni.
Nella pratica, però, l'esecuzione si rivela un mezzo passo falso. Il problema principale risiede nell'assenza di una vera componente PvP (Player vs Player) e di un sistema di rischio/ricompensa tangibile. Manca quella tensione palpabile, quel terrore di perdere tutto l'equipaggiamento guadagnato con fatica, che è il cuore pulsante di titoli come Escape from Tarkov o la modalità DMZ di Modern Warfare 2. In Endgame, il rischio è basso, la penalità per il fallimento è trascurabile e la ripetitività subentra molto presto.
Avalon è divisa in zone di difficoltà crescente, e sebbene avventurarsi nelle aree ad alto rischio richieda un equipaggiamento migliore, la sensazione di progressione è debole. Il loot che si ottiene raramente offre quel senso di gratificazione necessario a spingere il giocatore a tornare "ancora una volta".
Girare per la mappa con gli amici, coordinandosi per abbattere boss o ripulire roccaforti, ha indubbiamente il suo fascino nelle prime ore, ma difficilmente questa modalità riuscirà a rubare la scena al Multiplayer classico o a Zombies sul lungo periodo. Sembra un "work in progress", un'idea lanciata sul mercato troppo presto, che avrebbe necessitato di una struttura più profonda e punitiva per brillare davvero.
La roccia su cui si fonda il franchise
Come da tradizione ventennale, è il comparto multigiocatore competitivo a tenere in piedi l'intera produzione e a giustificare l'acquisto per la maggior parte dell'utenza. In questo ambito, Black Ops 7 gioca sul sicuro, evitando rivoluzioni copernicane ma raffinando una formula ormai cristallina. Il gioco mescola sapientemente la nostalgia con la novità, offrendo una rotazione di mappe che include vecchie glorie rimasterizzate come Hijacked, Raid ed Express (il cui ritorno è sempre accolto con giubilo dai veterani) accanto a nuove arene visivamente ispirate.
Il lavoro di Treyarch sul level design si conferma di alto livello. Homestead, con le sue atmosfere artiche e i giochi di luce delle aurore boreali, offre non solo uno spettacolo visivo ma anche linee di tiro pulite e zone di scontro ben definite. Toshine, ambientata in una città giapponese futuristica, sfrutta la verticalità e i neon per creare un ambiente frenetico e leggibile. L'unica vera nota dolente nel pacchetto mappe è Exposure, un'arena dal layout confuso e anonimo che, purtroppo, spezza spesso il ritmo del matchmaking e che molti giocatori sperano di non vedere mai votata nella lobby.
Le nuove modalità introdotte tentano di portare una ventata di freschezza. Overload si presenta come una variante tattica e frenetica di "Cattura la Bandiera", dove il portatore dell'obiettivo viene rivelato a tutti, costringendo la squadra a una difesa mobile e aggressiva. Skirmish, invece, prova a portare il caos su larga scala con battaglie 20 contro 20 che includono veicoli e l'uso della tuta alare. È una modalità ambiziosa, che cerca di scimmiottare la grandiosità di Battlefield, ma che spesso degenera in un caos ingestibile se non si dispone di un team coordinato, risultando a tratti frustrante per il giocatore solitario.
Il "gunplay" e il feedback dei colpi rimane solido, veloce e appagante, marchio di fabbrica della serie. Il Time to Kill (TTK) sembra ben bilanciato, né troppo punitivo né troppo spugnoso, premiando la precisione ma lasciando spazio di reazione. Un punto a favore di questa iterazione sembra essere un algoritmo di matchmaking basato sull'abilità (SBMM) leggermente meno oppressivo rispetto al passato recente, che garantisce un'esperienza più variegata e meno "sudata" nelle playlist casual, favorendo il divertimento a lungo termine.
Zombies e arcade
Se il multiplayer è la mente razionale di Call of Duty, la modalità Zombies ne è il cuore pulsante e folle. Quest'anno, la componente PvE si presenta forse come la parte più riuscita e curata dell'intero pacchetto. La nuova mappa principale, Ashes of the Damned, è un gioiello di design e atmosfera, che rompe la staticità tipica delle mappe passate introducendo una meccanica di movimento inedita: il camion "Tessie". Questo veicolo permette alla squadra di spostarsi rapidamente tra le diverse zone della mappa, trasformando l'esplorazione in un road trip infernale e aggiungendo un nuovo strato strategico alla gestione delle ondate.
La formula classica "round-based", tanto richiesta dai fan dopo le sperimentazioni open-world degli ultimi anni, torna in tutto il suo splendore. Il ritmo è quello serrato di sempre: accumulare punti, sbloccare porte, attivare la corrente, bere le bibite Perk-a-Cola e potenziare le armi al Pack-A-Punch. Ma c'è di più: la modalità Survival, pur limitata al lancio, promette ore di svago puro, eliminando la complessità degli Easter Egg narrativi per concentrarsi sulla pura sopravvivenza. L'atmosfera cupa, il design grottesco dei non-morti e la profondità delle meccaniche di crafting rendono questa iterazione di Zombies una delle più solide degli ultimi anni.
A completare l'offerta arcade c'è il gradito ritorno di Dead Ops Arcade 4. Questo twin-stick shooter (che può essere giocato anche in prima persona) offre un diversivo frenetico e colorato, perfetto per staccare dalla tensione delle partite classificate. Non è nulla di rivoluzionario, ma la sua presenza è la testimonianza di un pacchetto che cerca di offrire quanti più contenuti possibili, strizzando l'occhio ai fan storici che ricordano le origini di questa modalità segreta.
Luci e ombre
Dal punto di vista tecnico, Black Ops 7 mostra i muscoli ma anche qualche smagliatura. Il motore grafico, ormai collaudato, garantisce i granitici 60 frame al secondo su console, essenziali per un titolo di questa velocità. I modelli delle armi sono realizzati con cura maniacale, e gli effetti particellari (esplosioni, fumo, scintille) sono tra i migliori della categoria. L'audio design è, come sempre, di prim'ordine: il rombo delle armi è potente e distinto, e il posizionamento audio dei passi nemici è preciso, fondamentale per il gioco competitivo.
Tuttavia, si nota una certa disparità nella qualità delle texture e degli ambienti. Mentre mappe come Homestead brillano per dettaglio, altre zone (specialmente nella modalità Endgame su Avalon) appaiono più spoglie e meno rifinite, tradendo forse la natura cross-gen del progetto o i limiti di un motore che inizia a sentire il peso degli anni e della necessità di gestire mappe così vaste. Anche le animazioni facciali nella campagna, pur buone, non raggiungono le vette di fotorealismo viste in altre produzioni contemporanee, lasciando quella sensazione di "uncanny valley" in alcune scene d'intermezzo.