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Dusk | Recensione

Dusk è una lettera d'amore ai grandi classici del genere FPS, ai DOOM, ai Quake e a tutte quelle produzioni nelle quali sparare è all'ordine del giorno.

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Avatar di Fabio Canonico

a cura di Fabio Canonico

@Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 03/11/2021 alle 14:00 - Aggiornato il 04/11/2021 alle 10:10
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  • Pro
    • - Si spara e ci si muove con una rapidità travolgente
    • - L'estetica retrò è molto evocativa e impreziosita da efficaci accorgimenti tecnici
  • Contro
    • - Il level design e la progressione sono piuttosto basilari
    • - I boss non sono particolarmente ispirati

Il verdetto di Tom's Hardware

8.5

Per tutta la decina di ore necessarie per completare le tre campagne dalle quali è composto Dusk tiene sempre alto il livello di un'azione velocissima e fluida, senza nemmeno un passaggio a vuoto. Sforacchiare gli orrendi e inquietanti nemici, producendo copiosi fiotti di sangue pixelato, è già di per sé godurioso, il farlo attraverso ambientazioni evocative e inquietanti, con l'accompagnamento di una colonna sonora pronta a esplodere durante i combattimenti, rende l'esperienza ancora più avvolgente e intensa. Non è solo un revival degli FPS di una volta, e nemmeno solo un omaggio, ma ne è la loro più puntuale ed efficace attualizzazione.

Informazioni sul prodotto

Dusk è una lettera d'amore ai grandi classici del genere FPS, ai DOOM, ai Quake e a tutte quelle produzioni nelle quali sparare, sparare e ancora sparare (e saltare ogni tanto, al massimo). È una lettera scritta con il piombo, come è ovvio attendersi, ma anche con il sangue, anzi soprattutto, perché la produzione di New Blood Interactive trova una sua identità proprio nella dimensione dell'orrore e della violenza, della quale il viscoso liquido è chiaramente il simbolo.

Vi ricorrono echi di inquietudini e angosce familiari ma non per questo meno attanaglianti, provenienti da immaginari cinematografici e letterari noti, ma la cui rielaborazione e reinterpretazione permette di distaccarsi in maniera convincente dal materiale d'ispirazione. Ci sono l'horror rurale à la The Texas Chain Saw Massacre, l'esoterismo e l'insondabile delle opere di H.P. Lovecraft e tanto altro ancora, in una miscela che serve a dare un contesto del tutto apprezzabile a un'azione squisitamente sparacchina.

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È nel primissimo momento del gioco, quello nel quale nei panni di un protagonista del quale non si conosce nulla (e mai se ne scoprirà alcunché) ci si riesce a liberare dai ganci che lo tenevano appeso e sanguinante in uno scantinato fatiscente, prossimo sacrificio a chissà quale orrore demoniaco o cosmico, che si rivela la cifra ludica di Dusk, improntata a una velocità dell'azione istantanea, scattante, frenetica, furiosa.

Anche il solo movimento è trascinante, nella sua rapidità, propedeutico alla frenesia di un massacro in costante divenire e accumulo. Si impugnano due falci e s'inizia a sminuzzare cultisti, cercando la via per la salvezza, e nonostante sia ben evidente come si tratti di una combo di armi decisamente basilare e piuttosto debole si ricava immediato godimento dallo squartamento, grazie al modo in cui l'estrema velocità di esecuzione esalta l'azione.

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Con quei “zack zack zack” feroci e sanguinolenti Dusk detta subito le sue regole e mostra genuinamente la sua natura, quella di un gioco nel quale non solo assecondare, ma abbandonarsi proprio, a un'esperienza dalla ludica piuttosto moderna, a fronte di un'estetica, invece, squisitamente retrò.

Chiaramente è quando si prendono in mano le prime bocche da fuoco, e non ci vuole molto, perché a renderne direttissima e sincopata la fruizione contribuisce anche una certa brevità dei singoli livelli (completabili mediamente in dieci, quindici minuti), che il livello dell'azione si setta su livelli già piuttosto alti, per non abbassarsi praticamente mai.

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Dalle due falci si passa alle due pistole, che in maniera piuttosto sorprendente possono rendersi utili anche nelle fasi più avanzate dell'avventura, poi al fucile a pompa, anche a due insieme, in uno sfoggio di violenza e sboronismo, e ancora a tutto quanto prevedono i classici arsenali da FPS: fucile d'assalto, fucile a doppia canna, carabina, lanciagrante, balestra e, tocco di originalità, una spararivetti che funziona esattamente come un lanciarazzi.

Sì, in Dusk i rivetti esplodono all'impatto, non ci è dato sapere il perché ma non ce ne frega assolutamente nulla, va benissimo così. Questi sono gli strumenti di morte e distruzione che servono per farsi strada tra nemici di vario tipo, che hanno nell'essere molto inquietanti uno spiccato punto in comune, ma dall'apprezzabile varietà sia estetica che ludica.

Lugubri individui ammantati, robusti redneck armati di motosega, soldati posseduti, spaventapasseri dotati di fucile a pompa sono solo alcune delle creature vomitate fuori da un immaginario orrorifico; tra quelle di maggior impatto, fosse anche solo per il suo angosciantissimo verso, c'è una sorta di cervo o caprone scheletrico. Invisibile, fino al primo colpo che gli si infligge, lo si può individuare dallo scalpiccio dei suoi passi e dalle impronte sanguinolente che lascia.

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Il modo in cui attraverso questi tutti utilissimi dispensatori di morte ci si libera del campionario di orrori appena descritto è quanto colloca Dusk in una dimensione ben più moderna rispetto a quella dei videogiochi ai quali si ispira. Tutto è al servizio di una ludica frenetica, il cui tasso di goduria si eleva a potenza quando si abbattono nemici su nemici con le classiche movenze circolari e i tradizionali saltelli laterali e sfruttando la soddisfacente varietà delle armi.

I ritmi dei classici ispiratori erano molto più compassati, qui, pur non mancando i momenti nei quali tirare il fiato, funzionali soprattutto al confezionamento dell'angoscia e dell'inquietudine, è tutto più frenetico e intenso. Anche al netto di una progressione quella sì, decisamente vecchio stile (e un po' stantìa), regolata dall'ottenimento delle classiche chiavi di vario colore, che aprono porte abbinate, la coinvolgente azione del gioco è attualissima.

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Più che ai bei cari vecchi FPS di una volta quindi Dusk assomiglia al ricordo che se ne ha, un discorso che dalla ludica è trasferibile anche all'estetica, per quanto con uno stacco minore. Quanto si vede su schermo sembra provenire da vent'anni fa, quando i poligoni erano pochi e le texture sgranate.

Poi si presta una maggiore attenzione a elementi come gli effetti di luce e particellari, i modelli dei nemici e il loro numero su schermo, i dettagli delle texture e ci si accorge del sapiente e raffinatissimo lavoro fatto per infondere anche nella tecnica un tocco di modernità. Funziona benissimo, ci sono momenti nei quali persino ci si ferma ad ammirare scorci evocativi e di grande impatto: questione di direzione artistica, soprattutto, intelligente nello sfruttare e dosare quelle tecnologie in più per dare una maggiore efficacia a panorami che altrimenti sembrerebbero spenti e vetusti.

Per un'esperienza visiva ancora più retrò poi è possibile selezionare palette cromatiche di diverso tipo e, soprattutto, applicare un filtro dall'intensità regolabile che rende l'immagine pixelosa. Trovare il settaggio più affine ai propri gusti è un gioco nel gioco, quasi, spendendo minuti su minuti.

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