Immortal Legacy: The Jade Cipher, la recensione del titolo figlio del China Hero Project

All'interno del progetto China Hero Project, Immortal Legacy è un tentativo non di grande successo, ma che prova ad aprire la strada alle produzioni cinesi.

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a cura di Mario Petillo

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Nel 2016 Sony ha dato vita al China Hero Project, un'iniziativa che puntava al dare supporto e anche visibilità ai migliori progetti videoludici realizzati in Cina, tra cui anche Immortal Legacy. Un mercato sempre più in espansione e in crescita che, come logiche di mercato suggeriscono, inizia a guardare oltre i titoli massivi, come per esempio i simil LOL, perseguendo qualità non solo narrativa, ma anche strutturale. Il mercato cinese, d'altronde, porta un'utenza di proporzioni impareggiabili rispetto a tutti gli altri, e poter esportare i loro prodotti in Occidente rappresenta un'ottima occasione per Sony.

Immortal Legacy: The Jade Cipher è uno dei progetti rientranti in questa iniziativa di Sony, che tra l'altro va a unire in sé una duplice funzione, oltre a quella di dare visibilità al mercato cinese: potenziare le release per PlayStation VR, supporto che continua ad avere grande attenzione da parte di Sony, nonostante i risultati abbastanza altalenanti nella qualità del software, fino a ora. Il titolo sviluppato da Viva Games non richiederà soltanto il VR, ma anche i due controller Move, altro supporto abbastanza caduto in disuso ultimamente, soprattutto per il loro costo ingiustificatamente alto.

Una storia senza mordente

Ci ritroviamo a vestire i panni di un eroe di nome Tyre, doppiato da Doug Cockle, già voce di Geralt di Rivia in The Witcher: in viaggio insieme con una sua collega, entrambi a bordo di un elicottero, la destinazione del tandem è un'isola avolta dal mistero, sulla quale sarà possibile ritrovare una persona che sta cercando di scoprire quali sono i segreti dell'immortalità, uno degli obiettivi perennemente dichiarati dell'archeologia. Il veivolo, però, viene improvvisamente distrutto da un mostro proveniente dall'isola, costringendo la coppia a un atterraggio per niente di fortuna: Tyre, che si risveglia incatenato dopo l'accaduto, viene aiutato a liberarsi da uno youtuber, lì sull'isola con l'unico obiettivo di poter fotografare i mostri che ospita l'siola, tra cui i draghi.

La narrazione di Immortal Legacy: The Jade Cipher è, come d'altronde la stessa premessa racconta, di una banalità davvero esasperata. Tra l'altro l'intero cast del gioco sparisce dopo appena venti minuti di gioco, per poi riemergere nella cutscene finale: non avviene praticamente nulla per l'intera esperienza, che non dura moltissimo, ma l'intera struttura narrativa sempre più un teaser per qualcosa che verrà più avanti e non per un titolo davvero fatto e finito. Al di là di questo aspetto, che quindi non ci lascia nemmeno troppo spazio per una valutazione più approfondita, ci ritroviamo quasi subito dinanzi a un sistema di controlli non ottimali. La gestione delle gunfight, infatti, è macchinosa e legnosa: l'isola sulla quale ci troviamo è stracolma di mercenari e mostri che andranno abbattuti usando tutti i proiettili a vostra disposizione: la vostra fortuna è che l'intelligenza artificiale di tutto ciò che non rappresenta il vostro personaggio è decisamente livellata verso il basso, andando a ripetere dei pattern che dopo pochi minuti imparerete a memoria e come schivare.

La legnosità di Immortal Legacy

Il sistema di movimento, che si affida ai due Move - scelta abbastanza discutibile - richiede di premere dei tasti per poter procedere in avanti e l'inclinazione del visore per effettuare delle deviazioni sul mercato: per ruotare la visuale, invece, bisognerà usare i pulsanti centrali dei Move, che serviranno anche per indietreggiare e aprire gli inventari a vostra disposizione, che sono posizionati sulla mano sinistra e sulla mano destra. È abbastanza facile capire che con un DualShock tra le nostre mani sarebbe stato tutto molto più semplice e immediato, senza doverci necessariamente complicare la vita con i due Move tra le nostre mani. Sicuramente comodo, invece, l'utilizzo dei grilletti per sparare con l'arma equipaggiata, ma bisognerà comunque entrare al meglio nel sistema di mira: una volta compreso il meccanismo potrete giovarne abbastanza, ma inizialmente potreste trovare abbastanza frustrante sprecare una buona dose di proiettili. A vostra disposizione c'è anche un mirino laser, che vi aiuta a capire più facilmente dove state per sparare, così da aiutarvi con gli headshot. Il perché del non supporto, in aggiunta, al PlayStation Aim è un altro quesito irrisolto.

Proseguire per l'intera avventura in ogni caso non è molto difficile: il titolo non riesce a trasmettere nessun tipo di urgenza, né fa sentire effettivamente la vostra vita in gioco. L'elemento horror non è mai così presente come ci si potrebbe aspettare, ma in alcuni casi si fa indubbiamente sentire, aumentando l'immersione nelle ambientazioni a volte anguste dell'isola tutta da scoprire: ritrovarsi quindi in alcune grotte con una pistola in una mano e una torcia nell'altra renderà il tutto molto coinvolgente. Certo è che la realizzazione tecnica non è di altissimo livello, nonostante l'impegno sia riscontrabile: molti avversari, però, si presentano in maniera molto dozzinale, così come gli stessi ambienti finiranno per risultare monotoni e ripetitivi, senza troppa inventiva. L'atmosfera non è così evocativa come ci saremmo aspettati, insomma.