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Pro
- Un buon lavoro di ammodernamento
- Il gameplay è ancora godibilissimo
- Riesce a divertire sia i nuovi arrivati che i veterani della serie
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Contro
- Per quanto sia un ottimo action, non tiene il passo con i titoli moderni
- Mancano dei reali motivi (ovvero dei contenuti aggiuntivi) per rigiocarlo
Il verdetto di Tom's Hardware
A quasi un anno dal rilancio della saga e a oltre sei anni dalla riedizione del primo episodio, Capcom ripropone al pubblico Onimusha 2: Samurai's Destiny, secondo capitolo di una serie che è riuscita a conservare intatta la sua identità, affascinando una nicchia fedele di appassionati che ancora oggi ricorda con affetto la trilogia originale...
Fatto sta che, dopo aver completato il gioco, è giunto il momento di raccontarvi nel dettaglio cosa ha da offrire questa remastered, ma vi informiamo subito che in generale siamo dinanzi a una remastered tutto sommato godibile, non esente da difetti, ma convincente.
Un seguito atipico, ma efficace
C'era una fiducia quasi sfacciata nella genesi di Onimusha 2. In un'epoca in cui le strategie di mercato non erano ancora dominate dalla cautela odierna, Capcom non si limitò a suggerire un seguito: lo aveva già messo in cantiere prima ancora di testare il successo del capostipite. I titoli di coda di Warlords non erano una promessa, ma un annuncio imminente, un gesto di sicurezza che oggi, nel 2025, apparirebbe quasi arrogante.
Il successo commerciale del primo capitolo, poi, non fece che cementare quella formula unica: un ibrido affascinante dove il Giappone feudale incontra il folklore demoniaco e schegge di tecnologia anacronistica. Una ricetta che, anche a distanza di decenni, conserva una sua rara peculiarità, quasi per assenza di veri concorrenti.
Eppure, rivisto oggi, il castello di carte narrativo di Onimusha 2 mostra tutte le sue fragilità. La scrittura è l'elemento che più di ogni altro tradisce l'età del prodotto: superficiale, quasi pretestuosa, non riesce mai a incidere con la profondità tematica o il peso emotivo che ci aspetteremmo da un'avventura simile.
Paradossalmente, è proprio nell'estetica che il gioco trova la sua voce più forte. Pur ereditando l'atmosfera opprimente del suo predecessore, osa spingendosi verso un bestiario quasi da Grand Guignol, con nemici grotteschi e volutamente sopra le righe. È uno stile esasperato, quasi barocco nella sua violenza visiva, che conferisce al titolo una personalità distintiva e ancora oggi riconoscibile. Questa sua leggerezza narrativa, tuttavia, si rivela un'arma a doppio taglio: se da un lato l'indipendenza dalla trama di Warlords lo rende un punto d'ingresso perfetto per i neofiti, dall'altro ne sottolinea la natura di capitolo quasi episodico, facilmente fruibile ma altrettanto facilmente dimenticabile.
Un lavoro di qualità sopraffina
Pur sorgendo dalle fondamenta gettate da Warlords, Onimusha 2: Samurai's Destiny ne tradisce e al contempo ne evolve la formula. Il cambio di regia, una costante per la saga principale, si manifesta in un'identità ludica ben definita, che pur riproponendo scenari familiari e il ritorno del medesimo antagonista, sceglie di approfondire il gameplay anziché limitarsi a replicarlo.
L'introduzione di Jubei Yagyu, un protagonista destinato a entrare nell'immaginario collettivo dell'era PlayStation 2, è il pretesto per innestare una maggiore profondità strategica. Il sistema di assorbimento delle anime nemiche non è più solo un meccanismo di cura, ma diviene il fulcro di una progressione quasi ruolistica, che permette al giocatore di plasmare le abilità del personaggio secondo il proprio stile, privilegiando la forza bruta o l'agilità fulminea.
A questo si aggiunge un controllo diretto sulla potente trasformazione in Oni, non più un evento semi-casuale ma una risorsa tattica da schierare al momento opportuno, aggiungendo un ulteriore strato di calcolo a un sistema di combattimento che, ancora oggi, si dimostra reattivo e appagante grazie alla precisione di parate e contrattacchi. Ma la vera rottura con il passato risiede nell'introduzione di un inedito sistema di relazioni sociali.
L'avventura di Jubei non è un percorso solitario; è un viaggio condiviso con quattro comprimari con cui è possibile interagire e costruire legami attraverso un sistema di doni. Questa meccanica, sorprendentemente moderna per l'epoca, non è fine a se stessa: dischiude linee di dialogo nascoste e sblocca abilità opzionali, arricchendo la narrazione e offrendo una finestra più ampia e sfaccettata sul mondo di gioco. Pur nella sua leggerezza, la vicenda di Jubei, con le sue quasi cento scene sbloccabili,
Invecchiato bene come il vino
L'intervento più importante di questa remastered risiede nell'abbandono definitivo dei controlli "tank", un retaggio dell'epoca che cede il passo a un sistema di movimento analogico decisamente più moderno e reattivo.
Questa scelta, pur non alterando le dimensioni contenute delle arene di combattimento, trasforma la giocabilità, rendendola più fluida e immediata. Il bilanciamento tra la manovrabilità del personaggio e la varietà dell'arsenale ne esce rinvigorito, allineando l'esperienza agli standard odierni.
Tale spinta verso la modernità si riflette anche nella gestione della difficoltà: da un lato, l'inclusione di una modalità facile fin da subito abbatte le barriere d'ingresso; dall'altro, i puristi della sfida troveranno pane per i loro denti nell'inedita modalità Inferno, una prova di nervi e precisione dove ogni singolo errore è fatale.
L'operazione di ammodernamento prosegue con una serie di migliorie "quality of life" che, pur sembrando dettagli, ridefiniscono il ritmo del gioco. La possibilità di cambiare arma in tempo reale durante gli scontri, senza interrompere l'azione per navigare in menù macchinosi, è forse la più impattante, preservando l'intensità dei combattimenti.
A questa si affiancano il salvataggio automatico e l'opzione per saltare le sequenze filmate, accorgimenti essenziali per chi desidera godere di un'esperienza meno frammentata. Il pacchetto è arricchito da contenuti che celebrano l'eredità artistica del titolo, come una galleria di bozzetti dal fascino immutato e un jukebox per la colonna sonora. Nel complesso, è un lavoro di restauro mirato e intelligente, che pecca solo nel non offrire contenuti inediti capaci di dare ai veterani una ragione concreta, al di là della nostalgia, per tornare a combattere.
Un futuro... passato
L'operazione di restauro di Onimusha 2 si dimostra solida e rispettosa dell'opera originale. Il passaggio al RE Engine è stato gestito con perizia, riuscendo nell'intento di non tradire l'estetica d'epoca e, anzi, di valorizzare sorprendentemente i fondali pre-renderizzati. La pulizia in alta definizione mette in luce la notevole cura artistica che Capcom impiegò già sulla piattaforma PlayStation 2.
I benefici di questo aggiornamento tecnologico sono tangibili, primo fra tutti un framerate ancorato ai 60 fps che dona nuova fluidità ai combattimenti, rendendoli più reattivi senza snaturarne il ritmo compassato e strategico. L'intensità degli scontri, di conseguenza, rimane un punto di forza, capace ancora oggi di generare una tensione rara nel panorama action contemporaneo.
Tuttavia, è proprio sul fronte del gameplay che emergono i limiti di questa riedizione. Sebbene il sistema di combattimento si difenda egregiamente, è innegabile che il peso degli anni si faccia sentire nelle sue meccaniche di fondo, soprattutto se messe a confronto con la complessità degli action moderni. Proposto a un prezzo di trenta euro, assolutamente onesto, e forte di intelligenti migliorie alla "quality of life", il gioco rimane un'esperienza valida.
Il problema risiede nella sua natura prettamente conservativa: l'assenza di contenuti inediti non offre ai giocatori storici un reale incentivo per rituffarsi nell'avventura di Jubei, se non la nostalgia. Al contempo, questa mancanza di audacia rischia di non essere un'esca sufficientemente appetibile per un pubblico moderno, che potrebbe esitare di fronte a una formula ludica vecchia di due decenni.