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Perché alcuni titoli non hanno proprio bisogno di un sequel

Videogiochi e sequel: un binomio che non sempre funziona, e che se forzato può portare a danni non da poco. Vediamo qualche esempio insieme!

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Avatar di Michele Pintaudi

a cura di Michele Pintaudi

Editor

Pubblicato il 27/01/2023 alle 10:00
L’industria del videogioc
o è tra quelle che, negli ultimi decenni, ha affrontato un percorso di crescita costante e apparentemente inarrestabile. I numeri del resto parlano molto chiaro, e ci restituiscono uno scenario che fino a pochi anni fa avremmo definito quantomeno sorprendente: il mercato dei videogiochi andrà infatti a superare, nel 2023, i 200 miliardi di dollari di valore. Non male, vero?

Stiamo parlando di un settore capace ormai di trascendere la “semplice” dimensione dell’intrattenimento, affermandosi come esperienza crossmediale ricca di elementi tutti da scoprire. In un contesto del genere è facile trovare, a conti fatti, un prodotto per ogni singola esigenza: tutti, insomma, abbiamo a disposizione quel gioco che sembra nato apposta per noi. Questa abbondanza in termini di produzione ha però anche dei lati negativi, che spesso e volentieri vanno a toccare la qualità del videogioco in quanto tale.

Pensiamo alle tantissime saghe che sono nate e che abbiamo imparato ad amare nel corso degli anni: da Uncharted a Final Fantasy passando per Metal Gear Solid, Xenoverse e chi più ne ha più ne metta. Tanta scelta per tutti, ma spesso accade che la rilevanza di un franchise porti molte case di produzione a voler fare… Sempre di più, ancora e ancora. Il risultato può essere un prodotto non sempre all’altezza dei predecessori, e che quindi il pubblico si sarebbe risparmiato più che volentieri. Quel che vogliamo fare oggi è molto semplice: iniziando da un’occhiata al passato, andremo ad analizzare e comprendere tutte le ragioni per cui no, alcuni titoli non hanno proprio bisogno di un sequel.

Sequel? No, grazie

Il modo migliore per spiegare e raccontare la tesi appena riportata è senza dubbio quello di ricorrere a degli esempi: dei casi concreti che rendano davvero l’idea di quello che è lo scenario generale, anche e soprattutto al netto dei mille cambiamenti di un’industria che non possiamo che definire unica. Buttando un occhio alle saghe nominate in precedenza, quella di Uncharted è con tutta probabilità tra le più celebri nell’intera storia dei videogiochi.

Le cifre parlano di più di 40 milioni di unità vendute in tutto il mondo, che rendono Nathan Drake uno dei protagonisti certamente più popolari all’interno di questo medium così particolare. Se il primo capitolo della serie - uscito ormai nel lontano 2007 - fu una sorta di test in vista di ciò che sarebbe arrivato, con Uncharted 2 Naughty Dog ha raggiunto vette qualitative davvero elevate. Continuare sembrava quasi un azzardo, ma con L’Inganno di Drake prima e soprattutto con il quarto episodio della saga si andò a chiudere un cerchio praticamente perfetto.

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La realizzazione di uno spinoff (Uncharted: L’eredità perduta, datato 2017), apparve ad alcuni come una sorta di forzatura: il franchise non aveva più molto da raccontare, e i fan davvero affezionati non sentivano la necessità di una nuova avventura ambientata in quell’universo così unico e spettacolare. Un universo che è giusto rimanga tale proprio perché la storia, autoconclusiva e avvincente dall’inizio alla fine, non ha bisogno né merita di essere cambiata. In nessun modo.

Metal Gear Solid rappresenta un altro caso particolare, dove troppo spesso un “braccio di ferro” tra il suo creatore e Konami ha portato a sfiorare l’eccesso senza mai (fortunatamente) raggiungerlo davvero. Il successo della saga ha infatti spinto il colosso nipponico a chiedere a più riprese a Hideo Kojima… Di produrre, ancora e ancora. Dal canto suo l’autore non ha mai disdegnato la possibilità di mettere in scena le sue innumerevoli idee, ma forse spesso e volentieri avrebbe preferito dedicare più tempo e risorse a progetti di altra identità.

Non fraintendeteci: Metal Gear è un franchise dal valore inestimabile, con una serie di elementi che lo rendono insuperato e insuperabile sotto molti punti di vista. Viene però spontaneo chiedersi come sarebbero andate le cose se a Kojima, nei limiti del possibile, si fosse permesso di esprimere la propria arte nei tempi e nei modi a lui più congeniali. Chissà…

Una menzione d’onore va fatta senza ombra di dubbio a Resident Evil, proprio perché rappresenta un caso più unico che raro all’interno della storia dei videogiochi. Stiamo infatti parlando di un brand che non ha certamente bisogno di presentazioni ma che, dopo aver colpito il mondo con i primi indimenticabili capitoli, si è trovato ad affrontare una triste parabola discendente fatta di troppi, troppi titoli più che dimenticabili.

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Resident Evil sembrava destinato a una fine triste e immeritata, ma fortunatamente qualcosa è cambiato giusto in tempo. Grazie a un grande atto di coraggio quale un cambiamento pressoché totale a livello di struttura, Resident Evil 7 è riuscito a risollevare le sorti di una saga che tutti davano ormai per spacciata. Un processo che ha poco alla volta coinvolto i seguenti titoli della serie Capcom, da remake a prodotti completamente originali, e che rappresenta una pagina molto importante della storia di questo medium. Da una situazione di troppo, insomma, si può anche tornare indietro correggendo il tiro nel modo giusto.

Videogiochi e sequel: non sempre sono una buona idea!

Molto spesso nel mondo dei videogiochi, così come in quello di tante altre forme di intrattenimento, la produzione di sequel è per forza di cose spinta da forti ragioni di natura economica: se un prodotto ha funzionato, insomma, dare vita a un seguito può essere un’opportunità per monetizzare in maniera ancora più importante sul successo ottenuto. Una visione forse un po’ troppo cruda, ma che buona parte delle volte corrisponde semplicemente alla realtà.

Non va comunque tralasciato l’aspetto soggettivo, e anche qui non mancherebbero decine di esempi di dibattiti sulla questione. Prendiamo ad esempio The Last of Us: altro titolo Naughty Dog col quale lo studio ha realizzato una storia unica, che peraltro non vediamo l’ora di ammirare anche sul piccolo schermo. Il primo capitolo è forse una delle esperienze più emozionanti che un videogioco sia mai stato in grado di regalare, con un finale altrettanto perfetto e dall’impatto ancora oggi devastante.

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Un’opera del genere, con una conclusione degna di questo nome, non aveva bisogno di un secondo atto. O forse sì? I fan hanno dibattuto a lungo sull’argomento, e l’avvento del secondo capitolo non ha fatto che alimentare le tante inevitabili discussioni. Se The Last of Us Part II sia o meno un sequel necessario può essere soggettivo, proprio perché stiamo parlando di un prodotto che a tutti gli effetti va ad aggiungere molti tasselli a una trama già di per sé ricca e sfaccettata.

E di esempi simili, come abbiamo detto, ce ne sono davvero tanti: pensiamo a Max Payne, Devil May Cry, Silent Hill o God of War. Tutte opere prime perfette nelle quali, per motivi differenti, un sequel non sembrava necessario ma alla fine ha avuto senso di esistere. Sta di fatto che il mondo dei videogiochi è bello proprio perché vario, e perché ognuno di noi ha la possibilità di approcciarsi a produzioni del genere nella maniera che predilige.

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Non è necessario essere diffidenti a priori, così come è bene mantenere comunque un occhio critico e attento verso quelli che possono essere standard qualitativi a livello puramente personale. Nel momento in cui un gioco riesce a regalarmi ore di piacevole intrattenimento, dunque, è bene che esista. Indipendentemente da quella che è la sua natura.

Il tutto ovviamente con i dovuti accorgimenti del caso: superare una soglia di accettabilità solo per ragioni di produzione è un errore da non commettere, mai. Il rischio è di compromettere e, addirittura, di rovinare ricordi e sensazioni legate a brand o franchise che hanno scritto la storia di questo medium. La parola passa ora a voi giocatori: vi invitiamo a dirci la vostra sull’argomento, raccontandoci se siete d’accordo con l’idea che, tante volte, il troppo può davvero essere troppo.

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