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Silent Hill f | Recensione - Un horror che convince

Dopo un silenzio quasi assordante, durato anni e interrotto solo da sussurri e speranze deluse, la saga di Silent Hill è tornata con Silent Hill f.

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Avatar di Andrea Riviera

a cura di Andrea Riviera

Managing Editor

Pubblicato il 22/09/2025 alle 09:00
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  • Pro
    • Ambientazione affascinante
    • Narrazione matura e profonda
    • Comparto tecnico solido
  • Contro
    • Otherworld poteva essere migliore
    • Colonna sonora sottotono

Il verdetto di Tom's Hardware

8
Silent Hill f è un'opera imperfetta ma che era fondamentale per la crescita del franchise. È il capitolo del coraggio, quello che serviva per riportare la saga alle sue radici culturali giapponesi, liberandola dalle influenze occidentali che l'avevano snaturata. Nonostante un gameplay a tratti mal calibrato e un Otherworld che poteva dare di più, la forza della sua narrazione, l'unicità della sua atmosfera e la profondità dei suoi temi lo rendono un incubo che merita di essere vissuto. È un Silent Hill diverso, a volte scomodo, ma profondamente onesto, che traccia una nuova, promettente via per il futuro della serie.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Silent Hill f

Silent Hill f

Silent Hill f è il nuovo capitolo della leggendaria serie horror di Konami.
€ 65.9 su Amazon

Dopo un silenzio quasi assordante, durato anni e interrotto solo da sussurri e speranze deluse, Konami sceglie di rompere gli indugi non con un ritorno al passato, ma con un coraggioso salto nell'ignoto. La decisione di rivitalizzare la sua saga horror più celebre, Silent Hill, si concretizza infatti con una mossa necessaria: voltare le spalle alla nebbia familiare dell'America e traslare l'incubo in un contesto completamente nuovo. Significa abbandonare la familiare desolazione industriale delle cittadine del Maine, la ruggine che si mescola al sangue e il lamento assordante delle sirene, per immergersi in un orrore più antico e sottile, radicato nel folklore e nei paesaggi del Giappone rurale.

Silent Hill f è la manifestazione di questa volontà di rottura, una potente dichiarazione d'intenti che fin dal titolo suggerisce una nuova direzione. L'opera abbandona il terrore urlato e frontale per abbracciare un'angoscia che germoglia lentamente, insinuandosi sotto la pelle come un seme velenoso piantato in un giardino all'apparenza "tranquillo". Abbiamo quindi un orrore che non è più mera decadenza, ma una perversa fioritura; una bellezza naturale che si contorce fino a diventare mostruosa. È un incubo che non si nasconde nel buio dei vicoli, ma nella luce abbagliante del giorno, tra i petali di ciliegio e il silenzio inquietante che avvolge antiche tradizioni.

Una storia di oppressione e follia

L'ambientazione di Silent Hill f è certamente una delle sue scelte più coraggiose e riuscite: ci trasporta nel Giappone rurale degli anni '60, un periodo storico importante, sospeso tra il peso di tradizioni millenarie e le violente spinte della modernizzazione post-bellica. È in questo contesto di profonda tensione sociale che si svolge la vicenda di Hinako Shimizu, una giovane donna intrappolata in un villaggio isolato che, dietro una facciata di idilliaca bellezza naturale, nasconde un'inquietudine strisciante, un marciume pronto a venire a galla.

La storia di Hinako è un doloroso viaggio nella sua psiche. Non è una semplice protagonista, ma l'epicentro di un conflitto culturale e generazionale. Si sente un'anima fuori posto, schiacciata dalle rigide aspettative familiari e sociali che le impongono un destino già scritto, un ruolo da cui non può fuggire. Il gioco esplora magistralmente questa lotta interiore, trasformando temi classici della saga come il peso della colpa e la frammentazione dell'identità in un'esperienza culturalmente specifica e universale al tempo stesso. L'angoscia di Hinako diventa la nostra, alimentata da dialoghi ambigui e dalle pagine del suo diario, che rivelano una mente sull'orlo del baratro.

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Dimenticatevi, quindi, i capannoni industriali, l'acciaio arrugginito e il clangore assordante delle sirene che hanno definito l'estetica della serie. Qui l'orrore è organico, subdolo, una malattia che germoglia. Si manifesta in fenomeni tanto affascinanti quanto terrificanti: grotteschi boccioli scarlatti che si fanno strada attraverso l'epidermide, radici che avvolgono gli arti come catene, una bellezza naturale che si contorce fino a diventare una minaccia grottesca.

Il villaggio stesso cessa di essere un semplice sfondo per diventare un personaggio attivo, un antagonista silenzioso. I suoi sentieri tra le risaie e le sue antiche case di legno non sono solo luoghi da esplorare, ma un labirinto soffocante di tradizioni e sguardi indiscreti. La nebbia, elemento iconico della saga, assume qui un nuovo significato: non cela solo creature deformi, ma anche i segreti inconfessabili di una comunità e il peso di un trauma collettivo.

In questa esplorazione, la tensione è ben presente, dimostrando che l'essenza di Silent Hill non risiede in un luogo, ma in uno stato mentale, capace di prosperare e terrorizzare anche lontano dalle sue origini americane.

Qui l'orrore è organico, subdolo, una malattia che germoglia.

Tuttavia, quando l'incubo dovrebbe raggiungere il suo apice, Silent Hill f mostra il fianco a diverse criticità. L'Otherworld, da sempre culmine della discesa nella follia, è qui rappresentato da un tempio labirintico che, pur avendo un forte valore simbolico per la storia di Hinako, risulta essere la componente ludicamente più debole. Questa sezione tradisce l'anima contemplativa e ansiogena della saga, costringendo il giocatore a una fuga quasi costante. La scelta di rendere i nemici invincibili per gran parte di queste fasi (possono solo essere storditi temporaneamente) genera più frustrazione che paura, trasformando l'esplorazione in una corsa contro il tempo per risolvere enigmi e trovare una via d'uscita.

Luci e ombre nel gameplay

Sul fronte del gameplay, Silent Hill f si muove su un terreno insidioso, presentando un sistema con luci e ombre piuttosto evidenti. Il team ha infatti deciso di abbandonare completamente le armi da fuoco. Una scelta di design radicale ma profondamente coerente con l'atmosfera del gioco. Hinako non è una combattente dopotutto, ma una ragazza comune catapultata in un incubo. La sua difesa è affidata a oggetti improvvisati e armi bianche rudimentali (tubi, assi di legno, attrezzi agricoli) che si degradano visibilmente con l'uso. Questo sistema di danneggiamento delle armi non è ovviamente un semplice orpello, ma un elemento centrale pensato per alimentare la tensione: ogni colpo inferto ha un costo, ogni scontro consuma risorse preziose, costringendoci a valutare costantemente se combattere o fuggire.

Questa filosofia si riflette anche nel modo in cui Hinako si muove e combatte. I suoi movimenti sono volutamente goffi, pesanti e carichi di inerzia. Ogni fendente è uno sforzo, ogni schivata è una reazione disperata più che un'azione atletica.

Se da un lato questa scelta è notevole nel rafforzare l'immedesimazione e il senso di vulnerabilità del personaggio, dall'altro mostra il fianco a una realizzazione tecnica non impeccabile. Il problema non risiede nella lentezza in sé, quanto nella mancanza di animazioni di raccordo fluide; il passaggio dalla corsa a una posizione di quiete è innaturale e brusco, e certe manovre difensive appaiono troppo scattanti e artificiose rispetto al peso del corpo. Questa "legnosità artificiale", quindi, rischia a tratti di rompere la sospensione dell'incredulità.

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Anche il sistema di combattimento, basato su un tempismo preciso per schivate perfette e contrattacchi, risulta sì funzionale e offre un minimo di profondità strategica, ma non riesce mai a brillare veramente. La sua semplicità di fondo diventa un problema più serio quando il gioco stesso tradisce la sua filosofia di base. In diverse sezioni, infatti, vengono introdotte delle "arene" chiuse, aree da cui è impossibile fuggire finché non si eliminano tutte le minacce presenti.

Questa imposizione stona profondamente con l'anima di un franchise dove il combattimento è sempre stato concepito come una risorsa estrema, un'opzione da evitare, non un obbligo. Quindi, dove sta il problema penserete voi. Il problema è che trasformare la sopravvivenza in una serie di scontri forzati depotenzia l'ansia e la libertà di approccio che hanno sempre caratterizzato la serie.

Quantomeno gli enigmi sono intelligenti, stratificati e mai banali, perfettamente integrati nel contesto narrativo e ambientale. Per risolverli non basta trovare l'oggetto giusto da usare nel punto giusto; è necessario immergersi nel mondo di gioco, raccogliere indizi sparsi, leggere attentamente le pagine del diario di Hinako e collegare informazioni che provengono da fonti diverse. Richiedono logica, intuizione e capacità di osservazione, rappresentando senza dubbio una delle vette più alte dell'intera produzione e un motivo di grande soddisfazione per i veterani della serie.

Tra genio e discrezione

Dal punto di vista puramente tecnico, Silent Hill f si presenta come un prodotto estremamente curato, almeno nella versione da noi testata su PC (testato con una RTX 3070Ti, ho mantenuto i 60fps in 2K senza grosse difficoltà). L'impatto visivo è notevole, soprattutto nella resa degli ambienti naturali del villaggio: la qualità delle texture, l'illuminazione volumetrica che filtra attraverso il fogliame e la nebbia, e i dettagli minuti della flora marcescente contribuiscono a creare un'atmosfera palpabile, a metà tra il bucolico e il putrido. È evidente uno sforzo produttivo di alto livello, volto a garantire che l'esperienza non venga mai minata da sbavature tecniche.

Tuttavia, è spostando l'analisi sul comparto artistico che il giudizio si fa più stratificato e complesso. La colonna sonora, che vede il graditissimo ritorno del leggendario Akira Yamaoka, questa volta affiancato da Kensuke Inage, si discosta in modo significativo dai lavori che hanno reso celebre il maestro. Se vi aspettate un ritorno dei martellanti suoni industriali, del trip-hop disturbante o del noise ambientale che definivano l'orrore della Silent Hill americana, qui troverete un approccio diverso.

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La musica di Silent Hill f è suggestiva, malinconica e spesso di una bellezza struggente, ma è anche sorprendentemente discreta. Accompagna l'avventura con delicatezza, puntando a creare un'inquietudine serpeggiante piuttosto che un'aggressione sonora. Manca quasi del tutto quella "nota stridente", quel caos cacofonico capace di far accapponare la pelle e di segnare il passaggio all'Otherworld. Pur essendo un lavoro di pregevole fattura e perfettamente adatto al contesto rurale giapponese, potrebbe lasciare insoddisfatti coloro che cercano quel terrore viscerale e uditivo che solo Yamaoka sapeva creare.

Un discorso analogo va fatto per il monster design. Il nuovo designer, kera, opta per una via differente rispetto al genio di Masahiro Ito . Le creature di Silent Hill f sono innegabilmente legate alla narrazione e al simbolismo della flora e della decomposizione; sono opere d'arte macabre, a volte persino eleganti nella loro mostruosità.

Il problema è che, nel loro essere concettualmente raffinate, raramente raggiungono le vette di puro genio disturbante di Ito. Manca quella componente primordiale, quella capacità di colpire lo stomaco del giocatore ancor prima che il cervello. Mentre le creature di Ito erano un pugno nello stomaco, quelle di Silent Hill f sono più simili a un bisturi che incide con precisione ma con meno impeto. 

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