Apple nella bufera per garanzia e pubblicità furbetta

Apple è accusata dalle associazioni dei consumatori di continuare ad applicare erroneamente la garanzia e di promuovere scorrettamente la funzione AirPlay. Entrando nel merito della questione si scopre che non è tutto così scontato.

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a cura di Dario D'Elia

Apple e i suoi rivenditori continuano ad attirare le critiche delle associazioni dei consumatori per presunte pratiche commerciali scorrette. Il Centro ricerca tutela consumatori utenti (Crtcu) di Trento e Altroconsumo sono sul piede di guerra per due vicende distinte: una riguarda la querelle sulla garanzia applicata ai computer Mac, iPhone e iPad, l'altra invece il messaggio pubblicitario "ingannevole" della funzione Apple AirPlay.

"Diverse persone continuano a segnalarci che i distributori di prodotti Apple non rispettano la legge europea e italiana sulle garanzie riconoscendo solo un anno di copertura", si legge nel comunicato Crtcu di Trento. "Tutto ciò è in palese violazione degli articoli 132 e 133 del Codice del consumo che prevedono una durata legale di due anni".

Incendio in casa Apple

L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha già avviato una pratica al riguardo (Antitrust indaga Comet sulla garanzia legale Apple), ma purtroppo il tema centrale è ben più complesso. Se da una parte il Garante e le associazioni ricordano che "la garanzia è di due anni", dall'altra non è ben chiaro per quale motivo non entrino nei dettagli. Come hanno spiegato più volte i nostri consulenti legali IT dello Studio Fioriglio-Croari, il caso Apple ha a che fare non solo con la condotta dei commessi e le comunicazioni poco trasparenti, ma anche gli effettivi diritti riconosciuti dalle garanzie.

La legge stabilisce l'obbligo per tutti i prodotti di una garanzia commerciale (o convenzionale) e di una garanzia legale. La prima viene solitamente garantita dal produttore del bene, che s'impegna direttamente con la riparazione o la sostituzione completa o di componenti purché i difetti non siano stati causati dalla condotta dell'acquirente. Questa dura minimo 12 mesi, e sempre più spesso può essere estesa a pagamento – vedi il caso dell'Apple Care. La seconda, ovvero la garanzia legale, dura 24 mesi ma di fatto protegge esclusivamente dai cosiddetti difetti di conformità.

Il difetto di conformità che riguarda un problema antecedente all'acquisto, quindi dovuto a produzione o progettazione, però è difficilissimo da dimostrare e richiede una documentazione. In pratica un comune consumatore nella maggior parte dei casi può solo affidarsi alla bontà del venditore.

Apple, i commessi dei suoi store e delle altre catene forse hanno mancato di trasparenza (ce lo dirà l'Antitrust), ma è anche vero che non bisogna fare troppo affidamento sulla garanzia legale dei 24 mesi – almeno com'è stata formulata dai legislatori. 

I rivenditori trentini non a caso difendono l'operato del colosso di Cupertino. "Apple non viola le norme. Queste, infatti, prevedono che nel primo anno dopo l'acquisto le riparazioni spettino al produttore, mentre dal secondo anno, per danni di conformità, al rivenditore", hanno risposto a La Repubblica.

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"Non ha importanza se il rivenditore coincide con il produttore o meno (quindi se l'acquisto è avvenuto in un Apple Store o in un grande magazzino, NdR.). Una volta che l'utente acquista il dispositivo in Italia, quel dispositivo deve essere garantito per due anni. Sarà poi un problema del rivenditore, se diverso dal produttore, stabilire un accordo con quest'ultimo. Ma non è certo una questione che può ricadere sulle spalle del consumatore", sostiene invece il Garante.

Per quanto riguarda invece il caso AirPlay, forse possiamo fornire una chiave di interpretazione della vicenda. Altroconsumo qualche giorno fa ha presentato un ricorso all'Antitrust "per segnalare lo spot che promuove la funzione AirPlay, trasmesso con una certa frequenza sui canali televisivi nazionali e visibile anche in Rete". 

La pubblicità dice esplicitamente: "[...] se non hai iPhone, non hai AirPlay, il modo semplice di ascoltare la musica che hai sul telefono anche sul tuo stereo. O guardare le foto che hai scattato sulla tua tv, e se vuoi condividere il tuo film preferito anche questo è possibile [...]". 

"Messaggio a nostro avviso ingannevole, dal momento che la funzione AirPlay è utilizzabile soltanto se si è in possesso di una Apple Tv (di seconda generazione), di altoparlanti o ricevitori AirPlay. Nessuna possibilità di utilizzo, invece, da parte dei consumatori che posseggono supporti stereo e tv di differenti case produttrici: tutto ciò non è specificato dalla pubblicità, in cui si parla genericamente di televisori e stereo. Un'omissione che, come abbiamo segnalato all'Antitrust, può indurre il consumatore a prendere una decisione di acquisto che non avrebbe altrimenti preso", sostiene Altroconsumo.

Schermata finale dello spot USA di AirPlay

Ora, è evidente che lo spot manca di chiarezza e qualche dettaglio sostanziale, ma abbiamo scoperto che cosa non ha funzionato. In Italia lo spot va in onda in partnership con TIM, e alla fine si può leggere la scritta "Usa Wi-Fi, HDTV e hardware aggiuntivi. Sequenze abbreviate". Nessun elemento quindi che lasci intendere l'esigenza di periferiche o dispositivi particolari.

La versione statunitense dello spot invece si conclude con la scritta: "Sequences shortened. Uses Wi-Fi & AirPlay enabled devices". Insomma, oltreoceano hanno fatto lo sforzo di ricordare che il servizio funziona solo con dispositivi compatibili.

Di chi sarà la colpa? Di Apple o dei copywriter nostrani che hanno voluto semplificare un po' troppo?

A mio parere questa vicenda è emblematica poiché svela le falle del sistema normativo Antitrust italiano. La prima considerazione è che esiste una continua disinformazione nei confronti della garanzia legale e quella commerciale. Spesso le associazioni dei consumatori (e lo dico da associato a una di esse) e le istituzioni spiegano con dovizia di particolari ogni diritto, ma quando un'azienda cade in fallo tendono a tralasciare qualche dettaglio fondamentale. Non ha senso affermare in maniera grossolana che i consumatori hanno diritto a due anni di garanzia.

Se la legge consente alle aziende, nel secondo anno di garanzia, di chiedere ai consumatori la prova di difetto di conformità tramite perizia di un esperto, di cosa stiamo parlando realmente? Di azioni truffaldine o di una falla nel meccanismo di salvaguardia dei diritti? 

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È senza ombra di dubbio vero che le aziende spesso approfittano di queste inesattezze e magari formano con poca attenzione i propri rivenditori. Ma quel che è certo è che anche le leggerezze commesse nelle campagne pubblicitarie sono favorite da un sistema sanzionatorio ridicolo. È il legislatore a stabilire i confini e i margini di manovra delle attività commerciali. Le regole possono essere anche migliorate ma senza pene adeguate il tutto è inutile. Tesi per altro confermatami telefonicamente da Crtcu.

L'AGCM dovrà decidere se accogliere il ricorso di Altroconsumo e in caso positivo avviare un'istruttoria su AirPlay. Se Apple dovesse essere ritenuta responsabile di pubblicità ingannevole, nella peggiore delle ipotesi verrebbe condannata al pagamento di 500mila euro.

Gli operatori TLC italiani conoscono bene questa soglia e i bollettini mensili dell'Antitrust confermano quanto siano contenti di pagare queste cifre. Come affrontare quindi il problema? Facile. Basterebbe estendere alle violazioni della normativa a tutela del consumatore la stessa pena massima prevista per quelle in materia di concorrenza: il 10% del fatturato.

Apple sarebbe chiamata a pagare qualche miliardo di euro.