Bambini estraggono cobalto in Congo, hi-tech sotto accusa

Il cobalto, un minerale cruciale per l'industria hi-tech e in particolare per le batterie, è fonte di sfruttamento minorile nelle miniere del Congo. Amnesty International e Afrewatch puntano il dito contro le aziende tecnologiche, ree di non controllare la propria filiera dei fornitori.

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a cura di Manolo De Agostini

Il cobalto è un elemento prezioso per realizzare le batterie agli ioni di litio dei dispositivi elettronici e per questo i principali produttori hi-tech ne hanno bisogno in grandi quantità.

Purtroppo secondo le non profit Amnesty International e Afrewatch il cobalto proviene spesso da luoghi, come la Repubblica Democratica del Congo (secondo i dati il principale paese estrattore e con il 50% circa delle riserve mondiali), dove nell'estrazione sono impiegati minori.

Un report delle due organizzazioni punta il dito contro Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE, accusandole di avere poco controllo sulla catena dei fornitori. Se l'uso di bambini in ambito lavorativo non è più permesso da decenni in Occidente, in altre parti del mondo non è così (o semplicemente non sono rispettate le leggi).

L'estrazione del cobalto non solo è un lavoro duro e sottopagato (i bambini intervistati parlano di 1-2 dollari per 12 ore di lavoro. L'UNICEF ritiene che siano 40mila i bambini impiegati nelle miniere del Congo), ma può essere rischioso per la salute in assenza di mascherine contro l'esposizione alle polveri.

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Il documento si concentra in particolare su Congo Dongfang Mining International (CDM), una sussidiaria di Huayou Cobalt, azienda con cui le aziende del settore hi-tech hanno relazioni indirette. "Operante in Congo dal 2006, CDM acquista cobalto dai commercianti, che lo comprano direttamente dai minatori. CDM poi fonde il materiale nei suoi impianti in Congo prima di esportarlo in Cina. Lì, Huayou Cobalt raffina e vende ulteriormente il cobalto processato ai produttori di componenti di batterie in Cina e Corea del Sud. A loro volta queste aziende vendono i componenti a chi realizza le batterie, che poi sono vendute a marchi ben noti".

In passato si è fatto molto parlare di minerali provenienti da zone di conflitto come oro, tantalio, stagno e tungsteno. C'è chi, come Intel, ha preso posizione pubblicamente. Del cobalto però finora non si era parlato e il report solleva quindi un problema serio che i colossi dell'hi-tech dovranno affrontare se non vorranno perdere la faccia.

Amnesty International e Afrewatch chiedono che alle aziende coinvolte nella filiera di fare una cosiddetta "due diligence", ossia di fare un approfondimento meticoloso riguardo l'uso di cobalto e di pubblicare informazioni sui loro fornitori, diretti e non. In calce al documento pubblicato online sono disponibili alcune domande fatte alle aziende hi-tech, con relative risposte. Apple, ad esempio, dice che sta indagando sulla presenza di cobalto del Congo nei propri prodotti e afferma di essere in prima linea contro il lavoro minorile e l'acquisizione di minerali da zone di guerra. La casa di Cupertino è da tempo sotto la lente d'ingradimento degli esperti per l'uso di minori nelle fabbriche dei suoi partner in Cina per la produzione di computer, smartphone e tablet.

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Per quanto riguarda l'uso del cobalto, l'azienda di Cupertino afferma di essere impegnata nella valutazione di "dozzine di materiali differenti, incluso il cobalto, al fine d'identificare rischi ambientali e lavorativi così come l'opportunità di portare a un cambiamento reale, scalabile e sostenibile. Con una maggiore comprensione delle sfide associate al cobalto crediamo che il nostro lavoro nella regione dei Grandi Laghi africani e in Indonesia servirà da importante guida per creare soluzioni a lungo termine".

Microsoft ha dichiarato che "tracciare metalli come il cobalto lungo i diversi livelli della filiera è estremamente complesso. Rintracciare l'origine del cobalto nei differenti composti usati nei prodotti Microsoft al fine di risalire a una precisa area è molto difficile. A causa della complessità della nostra filiera e la commistione di materiali provenienti dalla regione non possiamo dire con assoluta certezza che tutte o nessuna delle nostre fonti di cobalto siano riconducibili a minerali estratti nella regione del Katanga. Creare un tale meccanismo di tracciatura richiederebbe un grado elevato di collaborazione verticale e all'interno dell'industria".

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Delle 16 multinazionali contattate da Amnesty International una ha ammesso legami con Huayou Cobalt e quattro non hanno saputo dire con certezza se il cobalto usato provenisse dal Congo o più precisamente da Huayou Cobalt. Sei aziende hanno affermato che stanno indagando su quanto evidenziato dal report, mentre cinque hanno negato di ottenere cobalto da Huayou Cobalt, anche se l'azienda figura come cliente nei documenti dei produttori di batterie. Due multinazionali hanno affermato di non approvviggionarsi di cobalto dal Congo. Nessuna azienda ha tuttavia fornito dettagli sufficienti per verificare in modo indipendente da dove proviene il cobalto nei loro prodotti.

Amnesty International sottolinea tuttavia un'altra stortura: il mercato globale del cobalto non è in alcun modo regolato e negli Stati Uniti il minerale non rientra nelle regole sui "minerali da conflitto" che invece coprono oro, tantalio, tungsteno e stagno in Congo.

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