Basta copyright e brevetti, per il progresso dell'umanità

Il copyright non è necessariamente il miglior metodo di proteggere creatività e innovazione. Ce lo ricorda un esperto svedese, che ci racconta tanti esempi in cui è vero l'esatto contrario.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Brevetti, copyright e monopoli sono un ostacolo alla creatività e all'innovazione. Servono solo a mantenere lo status quo e la posizione di dominio di alcune aziende, che a loro volta sono diventate ciò che sono proprio perché nate in un'epoca con meno vincoli - quando violare un brevetto era più facile e meno rischioso.

Lo afferma Rick Falkvinge sull'ormai famoso Torrent Freak. L'autore è un editorialista abituale della testata, e anche il fondatore del Partito Pirata svedese, il primo che vide la luce circa tre anni fa. E per spiegarlo parte da lontano, cioè da quando nel XVI secolo la Gran Bretagna introdusse il concetto di diritto di autore e le etichette Made in XYZ.

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Secondo l'autore da quel momento la Germania guadagnò un duraturo vantaggio nelle competenze ingegneristiche, perché il sapere e la conoscenza potevano circolare più liberamente. Falkvinge prosegue poi citando le case farmaceutiche - nate e cresciute in assenza di regole - e si chiede "se i monopoli intellettuali sono così necessari per il successo, perché i giganti farmaceutici odierni furono fondati nella loro totale assenza?".

E poi c'è Ericsson, che fondò i propri affari infrangendo un brevetto della tedesca Siemens, e che poi fu a sua volta derubata. O Samuel Slater, che nel 1789 memorizzò tecnologie inglesi e le importò "illegalmente" a New York: oggi è considerato un eroe nazionale, non un criminale.

Persino le major di Hollywood, strenue paladine del copyright, nacquero violando i brevetti di Tomas Edison; dovettero fuggire da New York alla California, in un sobborgo di Los Angeles chiamato Hollywood. E c'è il mondo della tecnologia, affollato di geni creativi inseguiti da avvocati.

Non è sempre stato così. Anzi, se vent'anni fa avessimo avuto gli stessi problemi di brevetti e denunce, tutta l'innovazione si sarebbe bloccata o quasi; lo disse nientemeno che Bill Gates nel 1991. E chissà dov'è finito lo spirito iconoclasta, quello de "i grandi artisti rubano" con cui Apple si dipingeva nel famoso spot del 1984.

E così Falkvinge afferma senza mezzi termini che "i monopoli sul copyright e sui brevetti non incoraggiano né l'innovazione né la creatività, piuttosto il contrario", e poi ancora che "il sistema è che le persone che sono arrivate al vertice vogliono i monopoli per garantire la propria posizione dominante, ed evitare che gente che fa qualcosa di meglio possa rimpiazzarli. È un gioco di potere".

E allora il sistema di copyright com'è oggi non funziona e dev'essere sostituito. Contro questa idea (innovativa?) ci sono i giganti del software, i produttori di musica e film, le case farmaceutiche e tanti altri. A favore tutti quelli che hanno delle idee, e di chi crede che la conoscenza debba essere un bene universale e di facile accesso, non un bene di cui fare mercato.

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Un nuovo copyright non dev'essere sinonimo di "tutto gratis": piuttosto di rendere le conoscenze accessibili, di impedire che una grande idea sia irrealizzabile solo perché non si possono riciclare quelle altrui. Non è così che siamo arrivati dove siamo oggi, e non è così che possiamo continuare a progredire.

Le aziende moderne hanno diritto a difendere le proprie invenzioni, ma forse non è poi così ovvio pensare che se si permettono violazioni allora decadono tutte le motivazioni ad essere creativi, a innovare. Dopotutto l'essere umano ha sempre avuto un istinto naturale verso la conoscenza e l'invenzione, possibile che oggi servano leggi discutibili per stimolarci?