Basta falsa proprietà, il tasto "compra" è ingannevole

Molte persone comprano beni digitali, dai videogiochi ai film, fino al software delle automobili. Un acquisto che non presuppone proprietà nel senso tradizionale del termine, ma la maggior parte dei consumatori non ne è consapevole. Lo dimostra una ricerca di recente pubblicazione.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Comprare qualcosa non significa possederlo, o almeno non più. Per quanto la parola sia sempre quella, infatti, come abbiamo già affermato diverse volte negli ultimi anni il concetto di proprietà è cambiato profondamente. Soprattutto se si parla di beni digitali, il tasto "compra" significa piuttosto noleggio a lungo termine, perché quello che si acquista è una licenza d'uso.

È un fatto noto ad alcuni, sicuramente a molti lettori di Tom's Hardware. Ma la maggior parte delle persone non ne è consapevole, ed è questo il problema evidenziato in una ricerca realizzata presso l'Università della Pennsylvania. Qui Aaron Perzanowski e Chris Jay Hoofnagle hanno fatto un esperimento per comprendere cosa capiscono le persone quando comprano libri, giochi o film in formato digitale. Uno studio che non è conclusivo, ma dovrebbe invitarci a riflettere.

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Per farlo hanno invitato circa 1.300 persone a fare spese in un negozio virtuale creato ad hoc, e poi hanno domandato ai clienti che cosa credevano di aver ottenuto in cambio del loro denaro. Gli intervistati avevano le idee piuttosto chiare quando si trattava di oggetti concreti, ma con quelli virtuali c'era una netta differenza tra la percezione del compratore e la realtà dei fatti. Molti clienti ritenevano di poter rivendere o regalare i beni acquistati.

Il problema è tutto semantico, e sta nel termine "compra". Una parola che inevitabilmente ci fa pensare di essere diventati proprietari di un bene, perché è così da sempre. Sarebbe preferibile che le aziende usassero un'altra parola, qualcosa del tipo "noleggia a vita", per rendere la comunicazione più chiara. Ovviamente però una scelta del genere farebbe calare le vendite, anche sensibilmente.

I ricercatori hanno verificato anche tale ipotesi, proponendo ai consumatori un diverso tasto con scritto License Now, oppure una breve notifica che spiegava come stavano effettivamente le cose. Due piccole soluzioni che hanno effettivamente aumentato la consapevolezza dei clienti.

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Si tratta di una questione che le autorità dovrebbero affrontare quanto prima, perché il nuovo concetto di proprietà – ma forse dovremmo parlare di falsa proprietà – si sta espandendo molto velocemente. Vale per gli eBook o per un film comprato con la PlayStation, certo, ma anche con oggetti veri e propri. Come per esempio le automobili, o più precisamente il loro software. Vale per gli smartphone o i software per computer, e domani varrà anche per lavatrici, frigoriferi e tante altre cose.  

La questione può apparire complessa, ma non deve esserlo per forza. È abbastanza semplice, per esempio, affermare che un'azienda come Apple (o Fiat Chrysler Auto) ha tutto il diritto di concedere prodotti in licenza invece di venderli. Ed è altrettanto semplice che in tal caso non dovrebbero usare il termine "compra".

Come consumatori siamo perfettamente in grado di usare un'auto che non è veramente nostra, se lo vogliamo; ma è importante che ci venga detto in modo chiaro dal primo momento. Ciò che non è accettabile, invece, è che ci "vendano" qualcosa tenendosi una parte, senza avvisarci.

Gli autori della ricerca si spingono a definire quest'uso della lingua come pratica commerciale scorretta, o pubblicità ingannevole, e suggeriscono che le autorità intervengano obbligando le società a cambiare strategia.

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Vengono citati diversi casi in cui è successo, come quando nel 2014 la FTC (Federal Trade Commission) abbia lottato e vinto con Apple ed Amazon. Le due aziende usavano il termine "gratis" per le applicazioni sui rispettivi negozi online – ma spesso c'erano acquisti in-app, a volte necessari per avere l'applicazione completa. La FTC disse che non era accettabile, e da allora sull'App Store di Apple non c'è più scritto "gratis" ma "ottieni".

Ricordano inoltre (pag. 52) una conferenza del 2009, durante la quale un rappresentante della FTC disse che i materiali di marketing devono sempre essere trasparenti e informare con chiarezza il consumatore.

"Non basta dare informazioni con scritte in piccolo, in un lungo accordo di licenza online", disse il rappresentante della FTC, "se il vostro marketing ha dato e la vostra EULA ha preso, non sorprendetevi se la FTC viene a bussare".

La ricerca di Perzanowski e Hoofnagle, in ultima analisi, vuole dimostrare che esiste un problema di comunicazione tra clienti e venditori, in favore di questi ultimi. Auspicano quindi che le autorità intervengano affinché il messaggio sia più chiaro, così che il consumatore possa prendere una decisione informata e consapevole.