Boccia e Gasparri esattori di Apple e Google

Boccia e Gasparri condividono la stessa opinione sulla Web tax e l'elusione fiscale dei colossi come Apple e Google. Dopo l'accusa di Bruxelles nei confronti dell'Irlanda per i due politici PD e FI è tempo di agire.

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a cura di Dario D'Elia

Gli onorevoli Boccia e Gasparri la pensano allo stesso modo su Google, Apple e gli altri over-the-top: vanno tassati, non ci sono più alibi, non c'è più tempo da perdere. Dopo l'accusa della Commissione UE nei confronti dell'Irlanda, rea di aver agevolato fiscalmente Apple, Starbucks e FIAT, ecco esplodere nuovamente la bolla della Web tax in Italia.

"L'Antitrust Ue deve agire in maniera decisa contro le multinazionali che godono di regimi fiscali di favore e violano le regole. Ci sono paesi come l'Irlanda, il Lussemburgo e l'Olanda che, concedendo agevolazioni solo ad alcuni, di fatto infrangono anche le norme Ue che vietano gli aiuti illegittimi di Stato. E addio libero mercato e concorrenza", dice il senatore Maurizio Gasparri (FI).

Boccia e Gasparri, la strana coppia

"L'elusione fiscale dei big della rete non è più tollerabile. L'Europa, e l’Italia in particolare che in questo semestre ha la presidenza dell'Unione, ha il dovere di non rimandare più ad oltranza quella che è semplicemente una scelta di equità fiscale", ha rincarato il deputato Francesco Boccia (PD).

Uniti nella battaglia Gasparri e Boccia marciano serrati contro Roma. L'esponente di Forza Italia si rivolge direttamente a Renzi accusandolo di pronazione e debolezza. "Perché? Piuttosto che consentire di difenderci da un saccheggio quotidiano Renzi spreme gli italiani con nuove tasse. Di chi fa gli interessi?", si domanda il senatore.

Com'è risaputo la Web Tax firmata da Boccia è stata cancellata dal presidente del consiglio. È rimasta come delega fiscale ma senza i decreti attuativi è come fosse lettera morta. I temi "della Web tax vanno posti in Europa", disse Renzi a dicembre, altrimenti "rischiamo di dare l'immagine di un paese che rifiuta l'innovazione".

Apple

Adesso che Bruxelles inizia a muoversi sostenendo che le agevolazioni fiscali irlandesi sono aiuto di Stato, la polemica sulla Web tax si incendia. Eppure lo stesso documento UE dell'altro giorno ha svelato che i meccanismi attuati dai colossi statunitensi non possono essere disinnescati localmente.

Ad esempio in Germania l'acquisto di un iPhone viene registrato da Apple Retail Germany GmbH, che per l'anno fiscale concluso nel settembre 2012 ha dichiarato un fatturato di 268 milioni di euro. Il problema è che la filiale tedesca ha registrato sempre nello stesso anno un acquisto di beni pari a 205 milioni di euro e complessivamente una perdita (per altri costi e staff) di 18 milioni di euro. In pratica il grosso del fatturato finisce (tramite transfer pricing) nelle casse di Apple Sales International (ASI) che acquista ogni prodotto dai fornitori cinesi e lei rivende alle varie filiali, sempre secondo la lettera redatta dalla Commissione UE.

L'indagine del senato statunitense ha confermato che nel 2012 ASI ha fatturato 63,9 miliardi di dollari nel 2012, praticamente 50 miliardi di euro. La sua iscrizione in Irlanda le ha consentito di dichiarare ricavi tassabili tra i 40 e i 50 milioni di euro e pagare meno di 10 milioni al fisco locale.

Com'è possibile? Semplicemente Apple Sales International non è considerate residente, ma un'azienda estera che per le sue attività ha il privilegio di stabilire specifici accordi con il fisco. Lo stesso che ovviamente hanno fatto altre multinazionali con sede a Cork o altri città dell'isola. Si pensi ad esempio a Google che dichiara un fatturato di 15,23 miliardi di euro a Dublino, poi paga in royalty 8,55 miliardi di euro a una filiale olandese che poi a sua volta rigira la metà a una filiale delle Bermuda – noto paradiso offshore.

Insomma, Boccia e Gasparri all'attacco. A bussar portoni in giro per il mondo. "Buongiorno vorremmo vedere gli scontrini fiscali".