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a cura di Marco Giuliani

Scrivere una lettera di diffida ad un utente internet sottolineando che le sue attività possono costargli centinaia di migliaia di dollari e invitandolo a pagarne una piccola parte per evitare di finire nel mezzo di un procedimento giudiziario è una tattica criminale.

Questa è la tesi sollevata da una donna del New Jersey finita tra le centinaia di utenti americani denunciati dalle major della discografia associate nella RIAA .

Stando agli avvocati assunti da Michelle Scimeca, questo il nome dell'utente, la proposta delle major di un "accomodamento extragiudiziale", che arriva dopo una denuncia e che riguarda responsabilità nell'ordine dei centinaia di migliaia di dollari, assomiglia in tutto e per tutto alle avances del racket, dei gangster, del crimine organizzato. Si parla esplicitamente di ricatto.

"Queste tattiche intimidatorie - ha scritto un legale della donna - hanno portato a numerosi accordi firmati da individui che temevano di combattere una istituzione così potente e che si sono sentite vittime di queste azioni e forzati a sborsare i fondi necessari a chiudere le azioni legali anziché opporvisi. Questo tipo di tattiche intimidatorie non sono legali e rappresentano una forma di estorsione ".

Come noto, nelle sue lettere agli utenti la RIAA avverte di poter chiedere a ciascuno di loro una somma enorme per ognuno dei brani musicali condivisi sulle reti del peer-to-peer, somme che però, spiegano le major, possono essere ampiamente ridimensionate con un mea culpa e il pagamento di una "transazione amichevole".

Difficile dire come andrà la vicenda di Scimeca che, certo, non avrà vita facile nel dimostrare una equipollenza tra le procedure della malavita organizzata e quelle dell'industria organizzata. Ma va detto che Scimeca non è la sola a tentare di combattere l'offensiva della RIAA.

Le stesse major hanno infatti ammesso che diversi utenti finiti nella lista di quelli denunciati hanno sporto contro-denunce utilizzando strategie diverse. C'è chi sostiene di non essere la persona ricercata o di non avere mai usato il computer. C'è anche chi associa il proprio utilizzo del peer-to-peer a forme di "fair use", cioè ad usi "leciti", come quelli di certa musica a fini didattici. Altri, come il celebre caso di "Nycfashiongirl" di cui si è occupata anche la Electronic Frontier Foundation , hanno contestato le procedure usate dalla RIAA per "smascherare" gli utenti.

Da parte loro le major si sono limitate a dichiarare che ognuno ha il diritto di agire come crede e che, in tribunale, la RIAA porterà tutto il peso delle proprie tesi. Grazie anche, non c'è dubbio, a schiere di avvocati di primo piano.