DARPA progetta gli scali spaziali per astronavi, gestiti da soli robot

La DARPA progetta le stazioni spaziali in cui faranno rifornimento le astronavi, e non solo. L'idea prende spunto dai porti delle grandi città marittime.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Si parla sempre di più di esplorazione spaziale e di colonizzazione di altri pianeti, ma alla base di viaggi molto lunghi nello Spazio c'è la necessità di istituire "scali" per le astronavi. In altre parole il futuro del volo spaziale sottintende alla costruzione di "hub" nello Spazio per il rifornimento e altre attività relative ai veicoli spaziali.

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Almeno è quello che reputano i funzionari militari degli Stati Uniti. Ed è proprio per questo che la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) sta sviluppando un braccio robotico progettato appositamente per un Hub spaziale che potrebbe essere realizzato in un "futuro relativamente prossimo", come ha sottolineato l'ex astronauta della NASA Pam Melroy, attualmente vice direttore del Tactical Technology Office della DARPA.

Quello a cui si pensa non è un singolo satellite, ma un solido ecosistema utile per il trasporto, la riparazione, il rifornimento di carburante, l'aggiornamento e persino la costruzione in situ di astronavi. Melroy ne ha parlato qualche giorno fa all'evento "Wait, What? A Future Technology Forum" organizzato da DARPA.

A quanto pare l'ispirazione arriva dalle "grandi città portuali marinare del mondo", dove ovviamente ci sono moli di attracco, cantieri navali e tutti i servizi per le imbarcazioni. La differenza è che "il porto di scalo sarebbe a 36.000 chilometri". Una distanza che equivale a quella – rispetto alla Terra – a cui ci sono i satelliti in orbita geostazionaria (GEO), compresi la maggior parte di quelli per le telecomunicazioni.

Melroy ha spiegato che secondo i calcoli degli esperti ha molto più senso costruire un hub spaziale a quell'altezza piuttosto che nella bassa orbita terrestre (LEO, dove c'è la ISS per intenderci), che si trova ad un'altitudine compresa fra 300 e 600 km. Il primo motivo è che la velocità orbitale GEO è più bassa, il che riduce il rischio di collisioni con i detriti spaziali.

Inoltre GEO è anche un'orbita molto più stabile. Un hub in orbita LEO cadrebbe sulla Terra in circa 25 anni a meno che non vengano eseguite manovre di correzione per ampliare l'orbita, mentre gli oggetti in orbita GEO possono restare al loro posto per un massimo di 1 milione di anni senza bisogno di fare nulla.

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Il braccio robotico della ISS

Sugli hub spaziali però non potrebbero lavorare gli astronauti, perché i livelli di radiazioni in orbita geostazionaria sono troppo elevati per essere tollerabili a lungo senza correre rischi. Ecco perché l'impianto dovrebbe essere interamente gestito da robot, come ha sottolineato Melroy.

È a questo punto che entra in gioco la robotica spaziale, e in particolare "bracci robotici molto simili a quello che è stato utilizzato per costruire la Stazione Spaziale Internazionale, ma con maggiori livelli di automazione e sicurezza" spiega Melroy. Siamo davvero all'alba di una nuova era spaziale?

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