Ghost In The Shell, le tecnologie che ci renderanno cyborg

Ghost In The Shell è arrivato al cinema, ma quel futuro non è più così lontano. Ecco alcune tecnologie che ci traghetteranno verso il post-umanesimo.

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a cura di Alessandro Crea

Quando nel 1995 esordì l'anime Ghost In The Shell, capolavoro di Mamoru Oshii, il futuro di cui ci parlava sembrava remoto anche se già credibile e per questo sottilmente inquietante. Oggi, 22 anni dopo, il live action del film con Scarlett Johansson è appena arrivato nelle sale ma nel frattempo quel futuro ipotizzato è divenuto molto più concreto e vicino a noi.

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Il film è tutto incentrato su un problema solo apparentemente filosofico ma invece molto concreto, che la nostra evoluzione tecnologica presto porrà direttamente a ciascuno di noi in quanto membri della specie umana. Cosa ci definirà umani quando avremo scisso intelligenza e corpo e quando quest'ultimo non sarà diventato che un semplice macchinario i cui pezzi sono sostituibili e prodotti in serie? Ghost In The Shell mette in discussione tutte le definizioni su base biologica fino a ieri accettate come naturali: il sesso, l'identità, la natura stessa dei ricordi e dell'intelligenza e prefigura un futuro post umano in cui la fusione con le macchine sarà totale e la nostra essenza ridefinita in modo più ampio.

Quel futuro è già qui, in molti casi si può già toccare con mano, in altri prenderà presto concretezza. Noi abbiamo raccolto alcune delle tecnologie più suggestive in via di sviluppo, che contribuiranno domani a renderci dei cyborg.

Cervello

Non possiamo non partire dal cervello, tradizionalmente ritenuto sede del pensiero e della personalità e uno degli organi che più ci caratterizzano come specie umana. La prospettiva di un cervello cibernetico connesso al Web e protetto da firewall prospettato in Ghost In The Shell è ancora lontana, ma il vulcanico Elon Musk ha appena fondato una nuova startup, Neutralink, allo scopo di inserire degli elettrodi nel nostro cervello per connetterci al computer.

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Lo scopo a breve termine è quello di riuscire a curare alcune malattie come il Parkinson o la depressione, regolando tramite degli elettrodi l'attività elettrica del cervello. In futuro però potrebbe anche essere possibile effettuare un "backup" della nostra memoria o quantomeno della nostra struttura neurale, per replicarla altrove. Una promessa di vita eterna?

Occhi

Dal cervello scendiamo fino a incontrare un altro organo fondamentale per noi come specie, gli occhi. Sulla vista infatti abbiamo fondato la nostra evoluzione e molta della nostra cultura contemporanea è sempre più visuale. Un'evoluzione di quest'organo con innesti tecnologici dunque non potrà che avvicinarci allo stato di cyborg, come nel caso di Batou o Broma (Ghost In The Shell) o più prosaicamente della serie TV L'Uomo Da Sei Milioni Di Dollari.

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Qui le ricerche sono tante, noi vogliamo ricordarne soprattutto due. Quella di Google che prevede un dispositivo da iniettare nell'occhio in forma liquida e che poi, solidificandosi, è in grado di correggere i difetti della vista. Oppure il recente studio portato avanti dall'Università del Michigan e reso noto dalla rivista Nature Nanothechnology. Si tratta di particolari lenti a contatto fatte di grafene, un materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio, duro quanto il diamante ma flessibile, biocompatibile e soprattutto a basso costo. Il loro scopo è quello di rendere semplice il rilevamento delle fonti di calore, senza la necessità di complessi strumenti di raffreddamento, consentendoci così di ottenere una sorta di vista a infrarossi.

 Udito

Se la vista era la caratteristica dell'Uomo Da Sei Milioni Di Dollari, l'udito era il tratto distintivo de La Donna Bionica. Già quattro anni fa però alcuni ricercatori statunitensi hanno realizzato un orecchio artificiale che include un'antenna radio e pone quindi le basi per una nuova generazione di protesi, che uniscono elettronica e tessuti biologici. Nel 2013 il prototipo non era granché esteticamente, ma l'idea era interessante.

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Si trattava in pratica di sostituire la coclea con un'antenna realizzata in nanoparticelle d'argento. Al momento connettere il tutto con i nervi non è ancora possibile, ma la soluzione è interessante perché per la prima volta ha dimostrato la possibilità di stampare degli organi in 3D e di unire tessuti artificiali ed elettronica, grazie alle nanotecnologie.

Mani

Ovviamente non sarà necessario poter sostituire soltanto alcuni organi, ma anche gli arti. In questi anni di protesi da utilizzare la posto delle mani ne sono state sviluppate molte, non solo come prototipi, basti pensare a quelle avanzatissime utilizzate dalla schermitrice Bebe Vio, programmabili tramite app.

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Se però avete in mente qualcosa di più tecnologico, che vi faccia somigliare a Ratz, il barista del Chatsubo di Neuromante o ad Adam Jensen di Deus Ex c'è la soluzione che fa per voi. La protesi, realizzata dalla startup Open Bionics, con la collaborazione di Eidos-Montréal, Intel e Razer si ispira proprio a quella del videogioco ed è stata realizzata più che altro per fare da traino al lancio di Deus Ex, Mankind Divided. Però in futuro chissà.

Esoscheletro

Per chi ha perso l'uso delle gambe però attualmente c'è ancora poco che si possa fare e protesi davvero funzionali che ricordino i nostri arti naturali sono ancora lontane. Per fortuna però esistono gli esoscheletri, ormai avanzatissimi, benché altrettanto costosi. Ekso ad esempio, una soluzione in dotazione alla Clinica Villa Beretta di Costa Masnaga, Lecco, ha un prezzo di ben 180mila euro.

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Dotato di due set di batterie al litio, Ekso integra 16 sensori in grado di "comprendere" in tempo reale le intenzioni dell'utente, che utilizzerà la forza di cui dispone, mentre l'esoscheletro supplirà compensando il resto. Si tratta di una soluzione concreta che funziona davvero. Proprio oggi infatti Il Corriere della Sera ha riportato l'esperienza positiva di un uomo che, grazie all'esoscheletro e a tanto allenamento, è riuscito a riguadagnare la posizione eretta e a deambulare in maniera indipendente.

Muscoli

Un altro ambito fondamentale per la realizzazione di arti e protesi dal funzionamento e dall'aspetto più naturale e meno meccanico è riuscire a replicare il funzionamento dei nostri muscoli, da sostituire ai pistoni o ad altri tipi di attuatori.

In questo ambito c'è l'imbarazzo della scelta. Una delle soluzioni più "vecchie" in quanto messe a punto già 10 anni fa, prevedeva l'utilizzo di filamenti di nanotubi in carbonio, in grado di trasformare energia elettrica o chimica in meccanica. La soluzione è apparsa subito promettente ma la difficoltà maggiore è riuscire a realizzare strutture macroscopiche partendo dal singolo filamento.

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I muscoli in fibre polimeriche

Più recentemente, nel 2014, su Science è apparso un articolo che illustrava una ricerca sull'impiego di fibre polimeriche, in pratica le stesse utilizzate per realizzare le lenze da pesca. Creando con esse dei fasci in grado di intrecciarsi e contrarsi si potrebbero realizzare vere strutture muscolari, attivabili tramite variazioni di temperatura che possono essere prodotte elettricamente, dalla reazione chimica di combustibili o sfruttando l'energia solare. Un fascio di queste fibre spesso dieci volte un capello umano è in grado di sollevare otto chili, mentre intrecciando un centinaio di essi si solleva agevolmente una tonnellata. Niente male no?

Quest'anno poi ricercatori dell'università di Linkoping, in Svezia, hanno realizzato dei muscoli "tessili" utilizzando lo stesso meccanismo che si usa per cucire e ricoprendo poi queste fibre tessili con materiale elettrico. A quanto pare il loro comportamento sarebbe molto simile a quello dei nostri muscoli. Il tessuto di questo tipo potrebbe quindi essere filato per realizzare investiti e indumenti dall'aspetto normale, che potrebbero però funzionare da protesi e aiutare le persone a ritrovare la motilità persa.

Pelle

Come ci insegna Terminator però un cyborg non è tale se tutti questi impianti non potranno essere ricoperti da una pelle sintetica credibile. Il risultato è ancora lontano, ma nel frattempo, sempre grazie al grafene, ingegneri dell'Università di Glasgow hanno creato una pelle sintetica per protesi in grado di usare i raggi del sole come fonte di energia, in modo da restituire il senso del tatto a chi ha perso un arto.

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"La pelle umana è un sistema incredibilmente complesso capace di rilevare pressione, temperatura e struttura tramite un insieme di sensori neurali che trasportano segnali dalla pelle al cervello", ha spiegato Dahiya. "Io e i miei colleghi abbiamo già fatto passi avanti significativi nella creazione di prototipi di protesi che integrano pelle sintetica e sono in grado di misurare la pressione con elevata sensibilità. Tali misurazioni fanno sì che la mano protesica sia in grado di svolgere compiti impegnativi come afferrare correttamente materiali morbidi, un problema per altre protesi. Inoltre stiamo usando innovative strategie di stampa 3D per costruire protesi sensibili a buon mercato".