Google e Samsung, accordo sui brevetti contro i patent troll

Google e Samsung hanno annunciato un accordo sui brevetti esistenti e futuri della durata di 10 anni. L'obiettivo è far fronte comune per migliorare i rispettivi prodotti e proteggersi da aggressioni esterne.

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a cura di Manolo De Agostini

Samsung Electronics e Google hanno dato ulteriore lustro alla propria collaborazione siglando un accordo sul rispettivo uso di brevetti tecnologici. L'intesa copre brevetti già esistenti e altre proprietà intellettuali che saranno depositate nel corso dei prossimi 10 anni. Si parla quindi potenzialmente di decine di migliaia di brevetti, la cui rilevanza è al momento sconosciuta.

"Siamo felici di aver siglato un accordo di cross-license con il nostro partner Samsung", ha affermato Allen Lo, a capo del dipartimento proprietà intellettuali di Google. "Lavorando insieme su patti come questi, le aziende possono limitare l'insorgere di potenziali cause e focalizzarsi sull'innovazione".

Google e Samsung unite non più solo da Android

Con questo accordo Samsung e Google ottengono accesso reciproco al rispetto portfolio brevetti, gettando le basi per una collaborazione più profonda nella ricerca e sviluppo di prodotti e tecnologie attuali e future. "Questo accordo con Google è di grande importanza per l'industria tecnologica", ha affermato il Dr. Seungho Ahn, capo dell'Intellectual Property Center dell'azienda sudcoreana. "Samsung e Google stanno mostrando al resto dell'industria che ci sono più vantaggi nel cooperare piuttosto che impegnarsi in dispute inutili sui brevetti".

Non è la prima volta che Samsung stipula un accordo sui brevetti di un certo peso. L'azienda, nel 2011, aveva siglato un'intesa simile con Microsoft. L'obietto di queste grandi intese è proteggersi a vicenda, non solo dall'attacco di aziende concorrenti - vedi Apple - ma anche respingere l'assalto dei cosiddetti patent troll o delle "shell companies", aziende fittizie sprovviste di asset ma dotate di un portfolio di brevetti, create con l'unico scopo di succhiare soldi a chi fa vera innovazione.

Tale pratica è detta "privateering" e come ricorda un portavoce di Google "permette a un'azienda di suddividere il proprio portfolio di brevetti in piccole unità impilate l'una sull'altra, aumentando il numero di entità con cui un'azienda deve negoziare e moltiplicando i costi di licenza. Questo comportamento aumenta ingiustamente i costi, facendo lievitare i prezzi ai consumatori".