Il lato negativo della fibra broadband: manutentori a casa

Le società di manutenzione che lavorano per Telecom Italia sono a rischio: il settore in 10 anni ha perso 12mila posti di lavoro. Le piccole cooperative strappano gli appalti ai big e la fibra ha bisogno di sempre meno addetti rispetto al rame.

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a cura di Dario D'Elia

Lo sviluppo della rete broadband di Telecom Italia miete le prime vittime: i professionisti della manutenzione. I vertici nazionali dei sindacati metalmeccanici ieri hanno fatto presente al Ministro per lo Sviluppo economico che a dicembre è previsto il rinnovo dei contratti per i servizi di manutenzione e valorizzazione della rete. Si rischia il bagno di sangue poiché sono in bilico non meno di 6mila posti di lavoro in tutto il paese.

Centrale telefonica

Al centro della questione i contratti di manutenzione che con le gare al massimo ribasso finiscono sempre più spesso nelle mani delle imprese minori. Le società di punta come Sini, Valtellina, Sielte, Mazzoni, Ceit, Ciet, leot e Site sembrano non essere più in grado di competere adeguatamente poiché sentono il peso economico delle garanzie dei contratti nazionali. Insomma, è evidente che si sta consumando uno scontro tra le piccole cooperative e le grandi realtà. Nel recinto della legalità sarebbe giusto chiamarla competizione, ma la sensazione è che qualcuno non giochi pulito. Ovviamente guai a puntare grossolanamente il dito contro tutto il mondo delle cooperative: sarebbe un danno per l'intero paese.

Resta il fatto che player di maggiori dimensioni devono l'80% del loro fatturato a Telecom Italia. E il passaggio alla fibra non aiuta, perché quello che nessuno ha mai avuto il coraggio di ammettere è che senza il rame di mezzo i tassi di rottura crollano vertiginosamente. Il destino del settore è segnato. Sini non a caso ha dichiarato mille esuberi sui suoi 4mila addetti, Mazzoni e Sielte sfruttano gli ammortizzatori sociali, Ciet e leot navigano a vista.

I sindacati quindi hanno proposto che negli appalti Telecom Italia possa essere inserita la cosiddetta "clausola sociale" che obbligherebbe i vincitori a riassumere il personale delle aziende uscenti.

"Il settore in 10 anni ha perso 12mila posti di lavoro. Dalle privatizzazioni in poi i lavoratori sono stati costretti a stringere la cinghia. Non possiamo permettere che logiche di risparmio di Telecom portino a un'ulteriore macelleria sociale", ha commentato Enrico Azzaro, segretario nazionaledi Uilm. "Chiediamo con forza la clausola sociale ma vorremmo che le aziende di settore cogliessero anche l'opportunità della diversificazione: agenda digitale, smart city e avanzamento delle reti non solo telefoniche rappresentano delle chance che nessuno può permettersi di ignorare".