Instagram è il paradiso del falso di marca

Una ricerca coordinata da Andrea Stroppa mette in luce le dimensioni del commercio online di prodotti contraffatti, con perdite miliardarie per le aziende del settore. Un quinto dei beni di lusso taggati su Instagram sono falsi.

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a cura di Giancarlo Calzetta

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Quanto rende il mercato del falso? Tanto. Tantissimo: stando alle valutazioni più recenti, il giro d’affari sarebbe di 1.800 miliardi di dollari. Una buona fetta di questo riguarda i beni di lusso (borse, abiti e scarpe firmati) che avrebbero trovato in Internet e nei social network uno strumento efficacissimo per la loro vendita.

Il legame tra contraffazione e social media è l’oggetto di uno studio coordinato da Andrea Stroppa e pubblicato in questi giorni, che mette in luce le dimensioni del fenomeno e punta il dito, in particolare, contro Instagram.

Nello studio, il team di ricercatori ha analizzato post e account Instagram, a caccia di account falsi e bot utilizzati per la vendita online di prodotti di lusso contraffatti, utilizzando un algoritmo in grado di individuare gli account sospetti in base ad alcune caratteristiche ricorrenti.

Il quadro che ne esce è impressionante: su oltre 150.000 post analizzati che facevano riferimento a prodotti di lusso (#LouisVuitton, #Prada, #Fendi, #Gucci, #Chanel) almeno un quinto riguardava prodotti falsi.

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La percentuale di prodotti falsi tra quelli taggati con nomi di famosi produttori è impressionante.

Il commercio viene fatto alla luce del sole, attraverso siti Web del tutto simili a quelli dei reali produttori e una campagna pubblicitaria sul Web e sui social network che ha dimensioni impressionanti, soprattutto su Instagram.

Nella maggior parte dei casi gli account sono gestiti automaticamente da bot, il che permette l’invio di post 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Nello studio, però, non si esclude che alcuni degli account siano gestiti da più persone che si danno il cambio per coprire la giornata.

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Non solo moda: anche la cosmetica è tra i settori presi di mira dal mercato del falso.

La dinamica del commercio di prodotti contraffatti sfrutta il social network come strumento di primo contatto e prosegue poi attraverso comunicazioni tramite servizi di Istant Messaging (meglio se crittografati) come Whatsapp o Telegram.

I pagamenti poi vengono fatti con servizi online che permettono il trasferimento di denaro tra privati, come PayPal. I prodotti vengono poi spediti all’acquirente tramite corriere.

I paesi di provenienza dei prodotti contraffatti è varia ma, come ci si può aspettare, a farla da padrona è la Cina, cui sembrano collegati la maggior parte degli account incriminati. E questo nonostante il governo cinese abbia recentemente avviato una campagna per contrastare il commercio illegale di prodotti contraffatti, arrivando a chiudere anche 7.000 account del popolare servizio di Instant Messaging WeChat collegati a questo tipo di attività.

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Borse Bulgari in mano a “testimonial” orientali. Solo che la Cina non è il mercato a cui punta l’inserzione, ma il luogo di produzione.

Contrastare il fenomeno, però, non è facile. Non appena una rete di account viene esclusa, chi la gestisce è in grado di rimetterla in piedi nel giro di poche ore.  

Stando ai dati riportati nello studio il costo per i produttori, in termini di vendite, sarebbe del 9,7% con mancati guadagni per 17 miliardi. Impressionanti anche le ripercussioni sull’occupazione: l’impatto del mercato del falso provocherebbe una perdita di 363.000 posti di lavoro nel settore e più di 500.000 nell’indotto.