La diffamazione online è un reato con aggravante?

Il Garante della Privacy svedese vorrebbe che la diffamazione online fosse condannata più duramente. In Italia intanto tiene banco la sentenza del tribunale di Livorno che ha valutato le ingiurie su Facebook come quelle a mezzo stampa.

Avatar di Dario D'Elia

a cura di Dario D'Elia

Il Garante della Privacy svedese (Datainspektionen) vorrebbe che i commenti diffamatori  online rientrassero nella categoria dei reati gravi. Si tratta di una presa di posizione piuttosto forte, che risponde di fatto alla domanda posta un anno fa dal comitato parlamentare che si sta occupando dell'emendamento costituzionale sulla libertà di parola e stampa in relazione a Internet.

Il dibattito è acceso: da una parte chi sostiene che l'attuale architettura costituzionale sia adeguata, dall'altra chi pensa che il Web vada regolato diversamente. Oggi ad esempio quotidiani e siti web godono di una speciale protezione costituzionale che favorisce la libertà di espressione. "Considerate le testimonianze delle persone con cui siamo entrati in contatto, si sente l'esigenza di una maggiore protezione contro la grave calunnia", ha commentato Hans-Olof Lindblom, capo del consiglio legale di Datainspektionen. Tanto più che si sta già pensando all'introduzione di uno strumento online per frenare gli abusi.

Noooo, quelle foto noooooo

"Ci sono errori e negligenze, ma non sono del calibro e del carattere che rientra nel grave", sostiene Nils Funcke, segretario del Freedom of Expression Committee svedese.

Il tema è di grande attualità anche in Italia. Recentemente il tribunale di Livorno ha condannato una ragazza di 26 anni per le ingiurie pubblicate su Facebook a carico dell'ex datore di lavoro. La novità è che i pareri espressi sulla sua pagina Facebook sono stati considerati "un delitto di diffamazione aggravato" per "aver arrecato l'offesa con un mezzo di pubblicità". Insomma il giudice ha equiparato il social network "sotto il profilo sanzionatorio alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa".

Scrivere su Facebook, come riporta la sentenza, implica una "comunicazione con più persone alla luce dell'accennato carattere pubblico dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la Conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione".