La pirateria online è cattiva e l'industria musicale è buona

Confindustria Cultura Italia sostiene che la pirateria online sottragga all'audiovisivo italiano circa 500 milioni di euro l'anno. Inoltre il fenomeno illecito avrebbe portato al taglio di 22mila posti di lavoro. Intanto dagli Stati Uniti arrivano due indagini che sconfessano due miti dell'industria sugli utenti pirata.

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a cura di Dario D'Elia

La pirateria online ruba alle casse dell'audiovisivo italiano circa 500 milioni di euro all'anno. Questo il dato rilevato da IPSOS nella sua ultima indagine. Confindustria Cultura Italia sostiene non a caso che il mercato illegale dei contenuti digitali sia responsabile del taglio di almeno 22mila posti di lavoro.

"Oggi, e con un trend esponenziale, assistiamo alla proliferazione di piattaforme transfrontaliere con server all’estero che incassano risorse attraverso i banner pubblicitari, sfruttando la disponibilità di opere dell’ingegno illecitamente caricate", si legge nella nota dell'organizzazione industriale. "Si tratta di siti off shore che non collaborano in quanto nati col preciso scopo di diffondere abusivamente contenuti protetti senza autorizzazione".

Effettivamente, com'è risaputo, i primi 10 siti illegali generano circa il 90% del traffico pirata online e i trend confermano un aumento delle condivisioni. IPSOS ha scoperto che l’incidenza della pirateria in Italia è del 37% mentre uno studio elaborato da Tera Consultants stima in 300 milioni di euro il mancato fatturato per il comparto.

Il pirata italiano

"Per quanto riguarda il nascente mercato degli ebook, si osserva come la messa a disposizione in formato pirata di un libro avviene pochissimi giorni dopo la pubblicazione del contenuto legale, e questo rende chiaramente indispensabile l’allestimento di misure atte a prevenire e contrastare il fenomeno", continua la nota di Confindustria Cultura Italia.

È evidente l'esigenza di porre un argine all'illegalità ma il fenomeno è ben più complesso di quanto possa sembrare. La sensazione è che l'industria ragioni a senso unico dimenticando qualche sostanziale dettaglio. Il primo è stato confermato nuovamente da una ricerca della Columbia University: gli utenti P2P pirata statunitensi spendono di più in musica rispetto agli altri.

Probabilmente sono maggiormente appassionati o forse sfruttano la pirateria per valutare gli acquisti, ma in ogni caso sono i clienti di riferimento. In secondo luogo secondo un'altra indagine della Northeastern University e di French Eurécom la maggioranza degli sharer non pratica il file hosting illegale (stile Megaupload) per profitto.  

"Da un punto di vista globale, il ricavo è concentrato su pochi uploader. Ad esempio, i primi 4 guadagnano più del 30% del ricavo complessivo. I top 50 ricevono l'80% e forniscono il 70% dei link", si legge nel documento

In sintesi la maggioranza degli utenti pirata non guadagna da questa attività e di solito è buon acquirente di contenuti. Il killeraggio forse dovrebbe essere una delle ultime soluzioni per far fronte al problema. In verità prima bisognerebbe almeno azzeccarne una, invece di proseguire con le campagne fallimentari. E invece no, a sentire il presidente di Confindustria Cultura Italia, Marco Polillo, bisogna perseverare. "Il Governo e l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni traggano le dovute conseguenze su un fenomeno che, al di là dello strumentale dibattito sulla rete libera, ha già messo in ginocchio un'eccellenza del nostro Paese: la cultura e la creatività italiana, che sono il cuore del Made in Italy".

Appuntamento alla prossima Caporetto.