L'elettronica scalda? Sabbia quantistica per raffreddarla

Il PC e lo smartphone diventano caldi quando li stiamo usando, e ci sono applicazioni industriali e militari dove il calore è un problema enorme. Questa ricerca suggerisce una soluzione mai vista prima basata sulla fisica quantistica.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Dove c'è corrente elettrica c'è calore da dissipare, come sa chiunque possieda uno smartphone, un PC o qualsiasi altro oggetto con dentro dei componenti elettronici. Questo calore rappresenta da sempre un problema da affrontare per chi progetta gli oggetti, perché bisogna trovare un modo di tenerlo sotto controllo ed evitare che diventi dannoso.

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Una soluzione potrebbe essere la sabbia modificata. Non la sabbia delle spiagge che stiamo (ok, non io) affollando in questo giorni, ma sabbia composta da particelle di diossido di silicio ricoperte con un polimero di glicole etilenico, caratterizzato da un'alta costante dielettrica. Lo ha ideato Baratunde Cola del Georgia Institute of Technology.

Questo polimero è un eccellente conduttore di calore, molto più efficiente rispetto ai materiali usati oggi per la dissipazione termica, ma è allo stesso tempo un ottimo isolante elettrico. Idealmente si potrebbero "farcire" i dispositivi con questo materiale e ottenere così una migliore dissipazione termica.

"La fisica teorica dietro al fenomeno è complicata, e include effetti elettromagnetici a livello nanometrico che si creano sulla superficie delle piccole particelle di diossido di silicio", nota il comunicato stampa. Il risultato finale è invece semplice da capire: materiali migliori nella dissipazione del calore, che aprono la porta a nuovi modi di progettare i dispositivi elettronici.

Questa ricerca arriva dopo anni di speculazioni teoriche (qui una ricerca del 2005) che hanno previsto tali possibilità. Alla base c'è il comportamento dei polaritoni fononici di superficie. Il polaritone è "una quasiparticella risultante dall'accoppiamento di un eccitone con un fotone".

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"Nel caso dei polaritoni fononici, le onde elettromagnetiche sono accoppiate a una certa frequenza e alla polarizzazione di atomi in vibrazione nel materiale, noto come fonone ottico. Quando la dimensione dei materiali è inferiore ai 100 nanometri, le proprietà di superficie del materiale dominano su quelle generiche, così i fononi di calore possono scorrere da una particella all'altra su un substrato, grazie all'aiuto delle onde elettromagnetiche accoppiate". Il fenomeno si verifica stimolando le particelle con la luce.

Le ricerche su questo fenomeno hanno suggerito una sua possibile applicazione nella dissipazione di calore, e il team di Cola è riuscito non solo a misurare il flusso di calore, ma anche a dimostrare che l'effetto si verifica anche quando si aggiunge energia termica - ad esempio il calore sviluppato da un componente elettronico - senza necessità di usare la luce.

"Puoi semplicemente scaldare le nanoparticelle", spiega Cola, "e si attiva l'effetto di auto-emissione termica. Crei il campo elettrico intorno alle nanoparticelle partendo da questa radiazione termica". A questo punto si è reso necessario trovare il giusto materiale con cui ricoprire le nanoparticelle di diossido di silicio: Cola e il suo team hanno tentato con l'acqua e poi il glicole etilenico - una sostanza comunemente usata nei raffreddanti per auto. Si è così aumentata di 20 volte la capacità di trasferire calore.

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Se l'effetto avviene sulla superficie, tuttavia, la scelta del diossido di silicio non è casuale: questo materiale infatti può generare fononi ottici risonanti a temperatura ambiente, che sono necessari affinché il sistema funzioni. Questo materiale non è l'unico possibile ma offre un buon compromesso tra proprietà fisiche e costo.

"Essenzialmente", continua Cola, "potresti prendere un dispositivo elettronico e riempirlo con queste nanoparticelle ricoperte di glicole etilenico, e avresti un utile dissipatore termico che sarebbe allo stesso tempo un isolante elettrico. Potenzialmente questo materiale è molto economico e facile da maneggiare".

Idealmente, quindi, aprendo uno smartphone realizzato in questo modo lo troveremmo pieno di questa resina. La dissipazione termica sarebbe eccellente, ma va considerata anche la possibilità di interventi di riparazione sull'hardware prima che si possa usare su prodotti commerciali. I ricercatori inoltre stanno cercando un'alternativa al glicole etilenico, materiale che a lungo termine finisce per evaporare.

Servono ancora molte ricerche per portare a termine questo progetto, che è stato sostenuto anche dall'Air Force Research Laboratory e dall'Aviazione Statunitense. Con ogni probabilità l'interesse è verso attrezzature che possano funzionare in condizioni ambientali difficili, o magari all'interno di una macchina più grande (magari un aereo). Contesti in cui servirebbe hardware più potente ma non si riesce (ancora) a gestirne il calore.  

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