L'epoca dell'ibernazione umana è più vicina

Uno studio dell'Università del Minnesota promette lo scongelamento senza danni dei tessuti crioconservati. Gli studi però sono solo all'inizio.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Ibernare gli astronauti in viaggio verso Marte o destinazioni ancora più lontane, o farsi ibernare qui sulla Terra in attesa della disponibilità di cure per le malattie attualmente incurabili, o della ricetta dell'immortalità. O ancora, criocongelare organi da avere sempre a disposizione per i trapianti, sbarazzandosi del grosso problema delle liste d'attesa. Quello che una volta era solo un fuoriserie della fantascienza è stato oggetto più volte di studi scientifici serissimi. L'ultimo in ordine di tempo è quello che è stato pubblicato su Science Translational Medicine, e sembra un passo avanti notevole.

Foto: © ajruengwit@gm / Depositphotos

In buona sostanza i ricercatori hanno messo a punto una tecnica che permette di scongelare rapidamente campioni umani e di maiale crioconservati senza danneggiarne i tessuti.  Prima di tutto è da ricordare che la crioconservazione (anche detta ibernazione in azoto liquido) è la capacità di conservare tessuti alla temperatura dell'azoto liquido per lunghi periodi di tempo, e di riportarli poi in vita senza danni. È una tecnica diffusa per la conservazione di spermatozoi ed embrioni umani, ma qualsiasi studio portato avanti finora non è mai riuscito ad applicarla a campioni di tessuto più grandi, come per esempio gli organi.  

È proprio in quest'ultimo frangente che la nuova tecnica potrebbe costituire un punto di svolta. Il maggiore problema della disponibilità di organi per i trapianti infatti non riguarda la mancanza di donatori, ma il fatto che un organo espiantato può essere conservato per più di 2-4 ore nel ghiaccio, poi resta irrimediabilmente danneggiato. In altre parole, se chi è in attesa di trapianto si trova troppo lontano non può riceverlo e resta in lista di attesa. Ne segue che secondo le statistiche statunitensi più del 60 percento del cuore e dei polmoni donati ogni anno vengono buttati.

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Per questo motivo John Bischof dell'Università del Minnesota lavora alla crioconservazione degli organi, ossia al modo di conservare i tessuti a temperature comprese fra -80 e -190 gradi Celsius. Fra le tecniche finora più usate per la crioconservazione c'è vetrificazione, ossia il super-raffreddamento di campioni biologici a uno stato "vetroso", ossia a una temperatura di circa -160 gradi Celsius. Per rendere l'idea, è già usata da aziende come Alcor, salita alla ribalta per il caso della quattordicenne ibernata in attesa di una cura per il cancro.

Come spiegato da Science Alert, mediante la vetrificazione gli organi possono essere conservati per anni. Il problema è che finora si è ottenuta con successo la parte del raffreddamento, ma sullo scongelamento gravano molte incognite. Durante questa fase infatti i cristalli di ghiaccio potrebbero danneggiare i tessuti.

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Un gruppo di scienziati dell'Università del Minnesota tuttavia ha annunciato lo sviluppo di una nuova tecnica che permetterebbe di riscaldare rapidamente campioni umani e di maiale trattati criogenicamente senza danneggiare i delicati tessuti congelati. John Bischof ha infatti spiegato che "è la prima volta che qualcuno è riuscito a scalare a un sistema biologico più grande [di 1 mL di volume] e a dimostrare la possibilità di scongelare senza danni un tessuto mediante un riscaldamento efficace, veloce e uniforme di centinaia di gradi Celsius per minuto".

Il trucco è stato quello di non usare la convezione per riscaldare i campioni, bensì nanoparticelle di ossido di silice diluite in una soluzione, capaci di scaldare il campione tutto in una volta allo stesso modo applicando un campo magnetico esterno.

I test hanno chiamato in causa diversi campioni di tessuto sia di maiale sia umano, di dimensioni comprese fra 1 e 50 ml, e ogni volta i tessuti riscaldati in questo modo erano esenti da danni. Per vedere un confronto basta dare un'occhiata all'immagine qui sotto:

manuchehrabadi2HR (1)Successivamente è bastato "lavare via" le nanoparticelle dal campione. Per dire la verità il gruppo di ricerca ha testato la stessa tecnica con un capione da 80 mL con gli stessi risultati; in questo caso non erano presenti tessuti, ma è un segnale del fatto che la tecnica è scalabile.

La conclusione, come spiega il team, "il nanowarming consente la stessa fattibilità di un riscaldamento convettivo a 1 ml, è superiore al convettivo a 50 mL, ed è fisicamente scalabile per sistemi da 80-mL". Se vi interessa il video con un tessuto che viene scongelato in meno di un minuto guardate qui:

L'obiettivo per il futuro è di applicare questa tecnica a tessuti e organi più grandi, con volumi fino a 1 litro e forse oltre. Ovviamente nel caso di organi interi non sarà così semplice: secondo gli studiosi per garantire uno scongelamento altrettanto rapido ed efficace si dovranno iniettare le nanoparticelle anche all'interno invece di limitarsi a usarle come rivestimento. Intendono provarci, ma sappiate che l'attesa per un'applicazione pratica sarà ancora molto lunga. Se avremo il piacere di assistere a questo sviluppo è garantito che vi terremo informati.