Bombardi due bunker con il drone e poi vai a prendere i figli a scuola. La vita di un pilota di Predator e Reaper della US Air Force è un po' fatta così, ma questo non vuol dire che sia più facile rispetto a quella di un Top Gun imbarcato su una portaerei.
"Sanno di prendere decisioni di vita o di morte", dice il colonnello James Cluff, comandante del 432nd, che gestisce le operazioni dei droni da una base poco fuori da Las Vegas. Prova ne sia che un recente studio del Pentagono confermerebbe le medesime ansie, disturbo da stress post traumatico, depressione e altre patologie.
Anzi, la situazione sta peggiorando perché l'incremento delle missioni ha raggiunto una soglia insostenibile per i piloti. US Air Force ha deciso quindi che si passerà dalle attuali 65 missioni quotidiane a 60, e in futuro probabilmente anche meno. D'altronde dallo scorso agosto sono state completate 3.300 operazioni e lanciati circa 875 missili e bombe sullo Stato Islamico.
CIA e Pentagono vorrebbero spingere ancora di più ma non è possibile. Negli ultimi mesi l'azione chirurgica nei confronti di capi di Al Qaeda, fra cui Mokhtar Belmokhtar e Nasser al-Wuhayshi, ha trasformato i droni in risorsa chiave per la lotta al terrorismo internazionale. La truppa però è stanca. Molti, terminati gli obblighi, non rinnovano e vanno via. Magari nel privato (non militare) dove possono essere pagati profumatamente – anche quattro volte rispetto all'Aviazione.
E le nuove leve? Non sono abbastanza. I programmi di training ne sfornano la metà rispetto a quanto ce ne sarebbe bisogno. E questo si deve al fatto che la US Air Force è costretta a riassegnare gli istruttori alle squadriglie di volo per mancanza di organico.