Report inchioda Amazon Italia sull'elusione fiscale

La trasmissione Report ieri sera ha fatto le pulci ad Amazon sull'elusione fiscale. Il grande pubblico ha scoperto come le multinazionali, approfittando della norma comunitaria, possano pagare meno tasse rispetto ai concorrenti europei.

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a cura di Dario D'Elia

Report ieri sera ha chiuso nell'angolo Amazon denunciandone le strategie di elusione fiscale. Niente di nuovo sotto il Sole, anche perché grazie alle ultime indagini del Regno Unito non ci sono più segreti sull'argomento. Tutte le multinazionali statunitensi che operano nell'Unione Europea si affidano alle strategie di elusione fiscale che cadono sotto il nome di sandwich olandese o raddoppio irlandese.

Lo fanno Starbucks, Google, Apple, Microsoft, HP e tanti altri. Amazon ad esempio ha il quartier generale europeo nel Lussemburgo (Amazon Eu Sarl) e i magazzini dislocati in vari paesi - in Italia si trova a Castel San Giovanni (PC). Tutto questo vuol dire che la parte consistente delle tasse viene pagata nel piccolo staterello, perché è più conveniente.

Ovviamente il pregio del servizio di Report è di aver svelato la questione al grande pubblico. Amazon non ne è uscita benissimo, più che altro perché si è dimostrata restia nel divulgare i dati della sua attività italiana. In verità questa scelta rientra in una strategia globale, e dato che non viola alcuna normativa nazionale e comunitaria non può essere criticata più di tanto.

Amazon Italia

"Perché non date i dati italiani?", ha domandato la giornalista Giovanni Boursier. "Perché non ha molto senso, cioè noi siamo un'organizzazione mondiale quotata in borsa negli Stati Uniti, non ha molto valore per noi divulgare l'informazione relativa a un mercato piuttosto che a un altro", ha risposto senza esitazioni Stefano Perego, AD di Amazon Italia Logistica.

"Noi non abbiamo mai dato i dati paese per paese", ha risposto al telefono da Seattle Diego Piacentini, Vice Presidente Amazon.com. E sui motivi la risposta è stata cristallina: per questioni confidenziali e "per non informare la concorrenza". Già, però Boursier ha scoperto un'altra potenziale motivazione: il Fisco.

Pare che a febbraio 2011 il colosso abbia commissionato a due importanti studi legali di Milano una valutazione per un eventuale accordo fiscale. Ebbene, secondo il documento scovato da Report, gli avvocati l'avrebbero definita una mossa "controproducente" poiché fornendo i dettagli sulle transazioni, il Fisco italiano potrebbe sostenere che le "effettive attività imprenditoriali sono svolte nel mercato italiano". In sintesi meglio non condividere dati che infilarsi in un ginepraio senza ritorno.

"Se io sono una multinazionale e ho in Italia dei rappresentanti che contrattano, negoziano con le case editrici, i produttori di giocattoli o di stufette, ma il magazzino con la merce e i dipendenti che spediscono, ce l'ho da un'altra parte, è un conto", ha concluso la giornalista Milena Gabanelli. "Ma se il magazzino l'ho qui, i dipendenti li ho qui, compro qui, vendo qui, produco reddito in Italia, le tasse le devo pagare in Italia o no? A chi di competenza accertare".

Il buon senso dice che Amazon e le altre multinazionali operano nella completa legalità, e che fondamentalmente sia la normativa comunitaria a fare acqua. Probabilmente questo lassismo è stato previsto a tavolino per favorire lo sbarco dei colossi statunitensi nel Vecchio Continente e far germogliare nuovi mercati. Oggi però siamo di fronte a una piena maturità di questi settori, quindi è probabile che la Commissione UE e i Governi nazionali rimettano mano alle normative fiscali.