Riconoscimento facciale ovunque per battere il terrorismo?

Siamo osservati ogni giorno da centinaia di telecamere in luoghi di ogni genere. Strumenti che, con il software giusto, possono anche identificare in modo univoco ognuno di noi. Servono per combattere il crimine, ma questa tecnologia minaccia anche la privacy.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Negli stadi italiani si sta facendo strada la tecnologia di riconoscimento facciale. È stata già usata allo Stadio Olimpico di Roma per la partita Roma-Udinese, e la ritroveremo a Bari per l'amichevole tra Italia e Francia. Le telecamere riprenderanno gli spettatori all'ingresso, e faranno un confronto in tempo reale con i database delle Forze dell'Ordine, alla ricerca di possibili soggetti pericolosi – terroristi innanzitutto.

Secondo quanto scrive Enzo Tamborra su Repubblica, tuttavia, i dati saranno usati "nel momento in cui dovessero esserci disordini o verificarsi reati", il che cozza un po' con l'analisi in tempo reale. È lecito supporre che si lascerà passare un tifoso che potrebbe creare disordini oppure no, ma si impedirà l'ingresso a chi si ritiene un potenziale terrorista.

Stadio Bari Calcio

Intanto, in Ministro dell'Interno tedesco Thomas de Maiziere ha chiesto espressamente che i sistemi di riconoscimento facciale siano usati in forma massiva presso stazioni e aeroporti. Anche in questo caso la ragione è la lotta al terrorismo. Al momento viene usato un software per riconoscere i bagagli abbandonati, e si tratterebbe solo di aggiornarlo per renderlo capace di riconoscere anche i volti, se il governo dovesse approvare la proposta.

Germania e Italia, naturalmente, non sono gli unici paesi che stanno prendendo in considerazione un uso globale di queste tecnologie. Tra i primi ci sono stati gli Stati Uniti dove, sembra, già nel 2014 si ottenne il primo arresto grazie a questo tipo di software. E poi ci sono esempi come Londra, la città più videosorvegliata al mondo: con oltre un milione di videocamere già attive, anche presso la capitale britannica si sta prendendo in considerazione l'analisi dei milioni di volti ripresi ogni ora. È di qualche giorno fa, poi, la notizia secondo cui in Australia questi software sono entrati a far parte degli strumenti a disposizione delle Forze dell'Ordine.

Se da una parte c'è la sicurezza di tutti noi, sull'altro piatto della bilancia pesa come un macigno la questione della privacy e dei dati personali – una questione che è in un certo senso anch'essa legata alla sicurezza del cittadino.

CCTV CC London Pimlico JPG

Sempre in Gran Bretagna, per esempio, il Ministero dell'Interno è stato criticato per aver aggiunto ai propri database le fotografie di oltre 16 milioni di cittadini incensurati, i cui volti saranno esaminati dai computer alla ricerca di criminali. Le immagini presenti ora in questo archivio, che non sono tutti volti, sono quasi 20 milioni.

"Il fatto che la polizia abbia creato un database fotografico con molti milioni di persone, la gran maggioranza delle quali non ha mai commesso né commetterà mai alcun crimine, dovrebbe allarmarci tutti", ha commentato il deputato laburista Tom Watson.  

Una preoccupazione condivisa anche dal Garante per la Privacy italiano, insieme ai suoi colleghi di altri paesi europei. Se queste tecnologie possono migliorare sicurezza e servizi, è altresì rischiosa la raccolta indiscriminata di dati, in particolare se non vengono previste valide misure per la loro protezione.

Ma quali sono i rischi concreti? Come sempre quando si parla di privacy, è difficile fare degli esempi concreti senza sembrare paranoici. Eppure già nel 2011 il professor Alessandro Acquisti dell'Università Carnegie Mellon aveva dimostrato come partendo da pochi dati fosse possibile identificare in modo univoco una persona e procedere a un vero e proprio furto d'identità – le cui vittime devono affrontare problemi davvero rilevanti.