Segnalazione del posto di blocco: dagli abbaglianti all’utilizzo delle nuove tecnologie

Nell'era di Internet e dei social segnalare la presenza di posti di blocco e sistemi di rilevamento della velocità è legale? Ce lo spiegano i nostri consulenti legali.

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a cura di Dott. Alvise Nisato

Da quando esistono i posti di blocco gli automobilisti si sono attivati per tentare di segnalare la presenza delle forze dell’ordine al fine di evitare multe e decurtazioni di punti dalla patente
. La nascita dei Social Network e lo sviluppo delle nuove tecnologie ha comportato un’evoluzione anche nei metodi con cui tali segnalazioni vengono poste in essere.

Dai classici abbaglianti per segnalare la presenza della Polizia agli automobilisti che procedono nel senso di marcia opposto, si è passati oggi alla creazione di gruppi Facebook e WhatsApp, fino ad arrivare ad applicazioni di navigazione GPS,  basate sulle informazioni in tempo reale provenienti dalla community, con l’obiettivo di segnalare la presenza delle pattuglie.

L’utilizzo di tali strumenti, oltre a permettere una più rapida ed efficace comunicazione, è infinitamente più pericoloso per la sicurezza propria ed altrui, comportando una serie di distrazioni visive, uditive e mentali incompatibili con una guida in piena sicurezza.

Già nel 2016, una denuncia per interruzione di pubblico servizio, proveniente dal Commissariato di Polizia Postale di Lecco, aveva portato alla chiusura di un gruppo Facebook creato appositamente per segnalare la presenza di pattugliamenti. Gli utenti residenti in zona segnalavano mediante post nel suddetto gruppo la presenza di postazioni mobili delle forze dell’ordine.

L’obiettivo di tale denuncia era in primis quello di scoraggiare la partecipazione attiva allo scambio di informazioni relative alla presenza di posti di blocco. In secondo luogo, la denuncia in oggetto prendeva atto della differenza che intercorre tra l’attività di rilevazione della velocità per mezzo di autovelox e quella effettuata mediante posti di blocco: nel caso di specie infatti, la natura del posto di blocco impone l’effetto sorpresa, che viene evidentemente vanificato dalla condivisione di informazioni all’interno del Social Network.

La Polizia di Agrigento ha recentemente denunciato 62 membri di un gruppo WhatsApp ai sensi dell’articolo 340 del codice penale. Nel caso in oggetto tutto è partito dal fortuito ritrovamento di uno smartphone ad opera delle forze dell’ordine. All’interno dello smartphone poi, è stata notata una chat con un gruppo organizzato in cui veniva segnalata ad altri autisti la presenza della Polizia.

Il caso dunque, pur non essendo partito da un’indagine mirata, rappresenta un precedente importante anche alla luce di una prassi sempre più frequente per la quale, in caso di grave incidente, la Procura dispone il sequestro dei cellulari dei guidatori al fine di capire se venissero utilizzati alla guida.

Interruzione di pubblico servizio. La normativa di riferimento

L’articolo 340 del codice penale punisce con la reclusione fino ad un anno “chiunque cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità”. Nel caso in cui vengano individuati i capi, promotori od organizzatori della turbativa, la reclusione va da uno a cinque anni.

La creazione di un gruppo WhatsApp con i fini in precedenza esposti potrebbe avere dunque delle conseguenze penali sia nei confronti degli organizzatori, in tal caso coloro i quali hanno creato ed amministrano il gruppo, sia nei confronti degli utenti iscritti al gruppo stesso.

Tale fattispecie di illecito penale potrebbe quindi avere una deterrenza maggiore rispetto alla sanzione dettata dall’articolo 153 del Codice della Strada il quale prevede, per l’uso improprio delle luci, una semplice sanzione amministrativa da 42 a 173 euro.

Come più volte ribadito dai giudici di legittimità, anche le turbative di breve durata potrebbero integrare il reato in analisi, purché siano idonee a determinare una discontinuità nel servizio. La Cassazione ha stabilito che, al fine della configurazione del reato, è necessario dimostrare che vi siano state conseguenze sulla regolarità del servizio. Tale definizione, dato il carattere evidentemente generale, ha fatto sì che negli anni raramente le forze dell’ordine effettuassero denunce nei confronti di chi segnalava agli altri automobilisti la presenza di un posto di blocco.

Ad oggi, pur essendo ancora basse in tali ipotesi le percentuali di denunce, la prassi descritta in precedenza, per la quale in caso di incidente grave viene sequestrato lo smartphone dei soggetti coinvolti, ha come conseguenza quella di aprire nuove frontiere ad un’applicazione più vasta dell’articolo 340 del codice penale.

I navigatori interattivi

Con navigatore interattivo si intende quel dispositivo per la navigazione che permette di condividere con gli altri utenti informazioni in tempo reale sul traffico e sulle condizioni della strada. Esso si basa dunque su un principio di collaborazione tra automobilisti al fine di percorrere il miglior itinerario possibile.

Anche l’utilizzo di tali strumenti, se finalizzato a segnalare la presenza di posti di blocco o di dispositivi di rilevazione della velocità non a carattere permanente, potrebbe essere astrattamente idoneo ad integrare il reato visto in precedenza di interruzione di pubblico servizio.

Sul punto, è anche opportuno menzionare l’articolo 45, comma 9-bis del Codice della Strada che vieta l’uso di dispositivi volti a segnalare e localizzare i rilevatori di velocità. Per conciliare il tutto con l’obbligo di presegnalare in modo ben visibile le postazioni di controllo della velocità, i giudici di legittimità hanno evidenziato che ad essere vietata è la segnalazione dell’automobilista che, nel caso di specie, possa avere ragionevole certezza che il controllo sia attivo.

Essendo tali strumenti dotati di comandi predisposti per inviare segnalazioni standard, l’utilizzo di questi potrebbe essere meno pericoloso in termini di sicurezza stradale rispetto all’invio di un messaggio WhatsApp o alla pubblicazione di un post in un gruppo Facebook. Inoltre, alcune applicazioni obbligano l’attivazione delle impostazioni vocali non permettendo il funzionamento di parte dei comandi manuali mentre l’auto è in movimento.

Il tema della sicurezza, non solo con riguardo alla sicurezza stradale, ma anche con riferimento alla pubblica sicurezza, è centrale nel dibattito avente ad oggetto l’utilizzo di queste applicazioni. Tali, permettono di aderire ad una community all’interno della quale fare amicizia, chattare con altri automobilisti e guadagnare punti dallo scambio di informazioni relative alla presenza di incidenti, alla velocità media in un determinato tratto stradale, nonché alla presenza di posti di blocco delle forze dell’ordine.

La possibilità di segnalare la presenza delle forze dell’ordine e di condividerlo potenzialmente con milioni di persone è un rischio di cui occorre necessariamente tener conto. Eventuali malintenzionati infatti, potrebbero sfruttare queste applicazioni per sapere in precedenza le aree sorvegliate o meno dalla Polizia al fine di commettere un crimine e pianificare la fuga.