Troll violenti? Rischiano due anni di carcere

Nel Regno Unito sta per essere quadruplicata la pena, fino a due anni di reclusione, per i troll che sui social network fanno gravi minacce a sfondo sessuale e razziale. Carcere pesante anche per la "porno vendetta" attuata da chi diffonde in Rete foto e video piccanti degli ex partner.

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a cura di Pino Bruno

I cittadini di Sua Maestà che minacciano violenza sui social network potrebbero essere puniti con due anni di carcere. Oggi nel Regno Unito la pena massima prevista per i troll che fanno gravi offese e minacce è di sei mesi di reclusione, ma se passerà la proposta del ministro della Giustizia, Chris Grayling, la detenzione sarà quadruplicata.

Casus belli sono state le ripetute minacce di stupro e di morte via internet nei confronti della presentatrice televisiva Chloe Madeley. La giovane era stata tirata in ballo dai troll per alcuni commenti sulla scarcerazione del calciatore Ched Evans, già condannato per violenza sessuale. Così l'importante esponente del governo Cameron, intervistato dal Mail on Sunday, ha detto che i troll sono codardi coperti dall'anonimato, che "stanno avvelenando la vita di un intero Paese. Bisogna mobilitarsi contro queste cyber-folle che pensano solo ad abbaiare".

Il ministro Crayling è particolarmente attento ai fenomeni di violenza in rete. Proprio in questi giorni si sta concludendo l'iter parlamentare della legge per contrastare il Revenge Porn, cioè la "porno vendetta" messa in atto da quanti (uomini nella stragrande maggioranza dei casi) diffondono in rete foto e video piccanti degli ex partner. Ovviamente senza un permesso esplicito.  

E in Italia come si affronta e combatte il fenomeno? In ordine sparso: l'articolo 595 del Codice Penale riguarda la diffamazione, il 612 bis gli atti persecutori e lo stalking, il 610 la violenza privata, il 612 la minaccia. Prendiamo il caso della diffamazione. Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia, autore del libro-inchiesta "No Comment" sul fenomeno del trolling online (in via di pubblicazione), dice che "il problema è la reale capacità della Polizia Postale, delle autorità giurisdizionali di risalire all'identità e soprattutto di avviare poi procedimenti penali a carico di chi ha violato la legge".

Il problema è vecchio quanto la Rete: da una parte c'è la necessità di garantire il necessario anonimato in Rete, quindi l'inviolabilità dei dati personali, e un trattamento rispettoso della privacy , dall'altra c'è il bisogno di conciliare i diritti fondamentali in Rete con quelli fondamentali di chi riceve l'espressione libera altrui, a tutela dell'onorabilità anche online.

Non a caso il giro di vite annunciato nel Regno Unito riguarda soltanto chi fa minacce, diffama e incita pesantemente alla violenza. Non chi interviene in un dibattito online con commenti accesi. Le associazioni che difendono il diritto alla libertà di opinione (anche su Internet) vigilano con molta attenzione su eventuali tentativi di mettere il bavaglio alla Rete.