Web tax in Parlamento: tante proposte PD, ma Renzi?

Gli emendamenti PD per la Web Tax propongono più strategie per contrastare il fenomeno dell'elusione fiscale dei colossi del Web. Non è chiaro però se sono compatibili con le regole dell'Unione Europea.

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a cura di Dario D'Elia

In Italia al momento ci sono diverse proposte di Web Tax in Parlamento per colpire i colossi come Google. Le firme degli emendamenti si devono per lo più a esponenti del PD. In prima linea Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio, che per primo si è confrontato con il no del Senato. Adesso c'è un altro emendamento alla legge di stabilità, firmato da Edoardo Fanucci (PD), Sergio Boccadutri (SEL), Ernesto Carbone (PD), Antonio Castricone (PD) e Stefania Covello (PD), simile nei contenuti. L'obiettivo anche in questo caso è contrastare l'elusione fiscale attuata dai colossi statunitensi.

Il principio cardine è quello di obbligare le aziende straniere ad operare con Partita IVA italiana per l'acquisto di servizi online, e-commerce (diretto e indiretto) e pubblicità. In questo modo ogni attività business-to-business svolta nel nostro paese sarebbe trasparente al Fisco.

Renzi

L'altra proposta più articolata, firmata da Carbone, invece punterebbe a trasformare la rete delle telecomunicazioni italiane (fissa, mobile e satellitare) come elemento chiave per decidere se un'azienda debba o meno pagare il Fisco italiano. Se la maggior parte del traffico digitale gestito o generato avviene con le nostre infrastrutture scatta l'obbligo del pagamento delle tasse sui redditi prodotti in Italia.

"Un flusso di dati con un elevato tasso presuppone sia un preciso target di riferimento per il business sia per la costante fruizione di infrastrutture di rete localizzate sul territorio nazionale, da cui si possa evincere una nuova forma di stabile organizzazione", spiega Carbone.

La terza via è quella indicata dall'emendamento di Stefania Covello (PD), che punta a tassare i profitti delle filiali italiane dei colossi USA sulla base del reale fatturato generato dall'attività online. L'Agenzia delle Entrate dovrebbe stabilire un nuovo regolamento per la rilevazione della profittabilità generata dalla pubblicità online.

Inoltre tutti i pagamenti business-to-business effettuati nel settore dovrebbero essere tracciati. Un'operazione di questo tipo, secondo le stime, dovrebbe consentire allo Stato di incamerare da Google circa 8 milioni di euro all'anno. La base imponibile di Google Italia infatti dovrebbe essere di circa 25 milioni di euro.

Insomma, siamo alle battute finali di una grande battaglia che punta a una maggiore giustizia fiscale in ambito europeo. C'è di mezzo la concorrenza fiscale fra gli stati membri e anche la presunta concorrenza sleale ai danni delle società del Vecchio Continente. Ad ogni modo è difficile pensare di poter intervenire senza il coinvolgimento di Bruxelles - considerata anche la recente creazione di una task force. La stessa proposta di "partita IVA italiana" si scontra con i principi del mercato unico UE.

L'ultima criticità è data dalla vittoria di Renzi per la segreteria del PD: uno scontro all'arma bianca contro i colossi del digitale potrebbe non essere una sua priorità. Anzi, è più probabile la ricerca di un maggiore dialogo con Google, Microsoft e gli altri. Del tipo: "diteci cosa dobbiamo fare per portare l'Italia nell'era digitale".