La notizia, diffusasi rapidamente nella serata del 15 giugno 2025, ha colto tutti di sorpresa. Luca de Meo, l'uomo della "Renaulution", l'architetto della rinascita di un colosso in difficoltà, ha deciso di lasciare la guida di Renault. Le motivazioni, ancora non del tutto ufficializzate ma che puntano verso una nuova sfida professionale al di fuori del settore automobilistico, lasciano un vuoto interpretativo e strategico che pesa enormemente sul futuro del gruppo francese e, di riflesso, sull'intero panorama continentale.
De Meo non era semplicemente un amministratore delegato; era percepito come il condottiero che, con una visione chiara e una profonda passione per il prodotto, stava traghettando Renault attraverso le tempeste della transizione elettrica e della competizione globale. Il suo addio improvviso è un duro colpo alla stabilità e alle prospettive di crescita che era riuscito a infondere, generando incertezza tra investitori, dipendenti e addetti ai lavori.
La "Renaulution"
Per comprendere appieno la portata di queste dimissioni, è necessario analizzare l'impatto che Luca de Meo ha avuto su Renault dal suo arrivo nel luglio del 2020. Trovò un'azienda segnata da anni di difficoltà, aggravata dalle tensioni nell'alleanza con Nissan e da una strategia focalizzata sui volumi a discapito della redditività. La sua risposta fu la "Renaulution", un piano strategico tanto ambizioso quanto efficace.
Il piano si fondava su un cambio di paradigma radicale: non più correre dietro alle quote di mercato, ma concentrarsi sulla creazione di valore. Questo si è tradotto in una drastica riduzione dei costi, nell'ottimizzazione delle piattaforme produttive e, soprattutto, in un rinnovato focus sul prodotto. Modelli come la Mégane E-Tech Electric, la Austral e il nuovo Espace hanno incarnato questa nuova filosofia, distinguendosi per design, tecnologia e posizionamento sul mercato.
De Meo ha avuto anche il coraggio di prendere decisioni audaci, come la creazione di entità separate e specializzate: Ampere, dedicata allo sviluppo e alla produzione di veicoli elettrici e software, e HORSE, focalizzata sui motori termici e ibridi. Una mossa strategica per attrarre investimenti e affrontare con maggiore agilità le diverse sfide del mercato. La sua visione ha inoltre rivitalizzato marchi dal grande potenziale come Dacia, trasformata in un brand profittevole e di tendenza, e Alpine, rilanciata come marchio sportivo e 100% elettrico del futuro. Sotto la sua guida, Renault è passata da una situazione di perdita a una solida redditività, dimostrando che una gestione illuminata e incentrata sul prodotto poteva ancora fare la differenza.
L'ultimo dei "Car Guys"?
Ciò che distingueva Luca de Meo dalla maggior parte dei suoi colleghi ai vertici delle grandi case automobilistiche era la sua essenza di "car guy". Un termine che nell'industria definisce non solo un manager competente, ma un vero appassionato di automobili, una persona che comprende il prodotto non solo attraverso i fogli di calcolo, ma ne capisce l'anima, il design, il piacere di guida e il valore emozionale.
La sua carriera, iniziata in Renault e passata attraverso Toyota, Fiat, il Gruppo Volkswagen e la presidenza di SEAT, è stata un percorso costellato da un'autentica passione per l'oggetto automobile.
Questa cultura del prodotto, questa sensibilità per il design e per l'innovazione tangibile, si contrappone a una nuova generazione di leader che provengono sempre più spesso dal mondo della finanza, del marketing o della tecnologia. Manager eccellenti, senza dubbio, ma la cui visione è talvolta più orientata all'ottimizzazione dei processi e ai ritorni per gli azionisti che alla creazione di veicoli iconici e desiderabili.
La partenza di de Meo, che segue di pochi mesi quella di un altro "purista" come Carlos Tavares da Stellantis, sembra accelerare questa transizione. L'industria europea rischia di perdere quella figura di leader-visionario, capace di coniugare le esigenze del business con un'innata comprensione di ciò che rende un'automobile speciale agli occhi dei clienti.
Un'industria al bivio
L'addio di de Meo avviene in un contesto di sfide senza precedenti per l'industria automobilistica europea. La transizione verso l'elettrico, imposta da normative sempre più stringenti, richiede investimenti colossali e una completa riconversione industriale e culturale. Allo stesso tempo, la concorrenza non è mai stata così agguerrita. Da un lato, i nuovi attori come Tesla hanno ridefinito i paradigmi della tecnologia e del modello di business.
Dall'altro, l'offensiva dei produttori cinesi, forti di un vantaggio competitivo sui costi delle batterie e di un approccio aggressivo al mercato, minaccia di erodere quote di mercato significative proprio sul suolo europeo.
In questo scenario complesso, la strategia e la visione del management diventano fattori critici di successo. La sfida non è solo produrre auto elettriche, ma produrre auto elettriche profittevoli, desiderabili e in grado di difendere l'identità e il valore dei marchi europei. L'approccio di de Meo, focalizzato sulla differenziazione del prodotto e sulla creazione di valore, sembrava una delle risposte più efficaci a queste pressioni. La sua assenza lascia ora un vuoto strategico che Renault e l'intera filiera europea dovranno essere in grado di colmare rapidamente.
Verso un punto di non ritorno?
Le dimissioni di Luca de Meo sono, in ultima analisi, molto più della cronaca di un cambio al vertice. Rappresentano un simbolo, un potenziale spartiacque. L'idea che un talento del suo calibro possa decidere di lasciare un settore così centrale per l'economia e la cultura europea per approdare in un altro universo, come quello del lusso, è un segnale preoccupante.
Potrebbe significare che le sfide dell'automotive sono diventate così complesse e i margini di manovra così ridotti da rendere meno attraente la guida di queste aziende per chi ha una visione primariamente industriale e di prodotto.
Se la figura del "car guy" è destinata a estinguersi, sostituita da manager puramente orientati alla finanza e alla compliance normativa, il rischio è che l'industria automobilistica europea perda la sua anima innovatrice e la sua capacità di creare sogni. Il pericolo è quello di un appiattimento dell'offerta, di una rincorsa affannosa ai volumi a basso costo per contrastare i concorrenti asiatici, sacrificando quella tradizione di eccellenza, stile e piacere di guida che ha sempre definito l'auto europea.
L'addio di de Meo potrebbe davvero rappresentare quel punto di non ritorno oltre il quale l'industria continentale sceglie, o è costretta a scegliere, un futuro fatto più di numeri che di passione. Una scelta che, nel lungo periodo, potrebbe costarle la sua stessa identità e la sua leadership globale.