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Abbiamo fatto un giro in Silicon Valley, ecco com'è andata

Dalle aule di Stanford ai laboratori Google, il nostro Grand Tour in Silicon Valley ha svelato il vero spirito della disruption AI. Abbiamo trovato una forte comunità italiana tra campus, startup e big tech: l'innovazione è qui.

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Avatar di Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore

a cura di Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore

IA Spiegata Semplice

Pubblicato il 03/11/2025 alle 19:18 - Aggiornato il 04/11/2025 alle 10:11
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Il Grand Tour della Silicon Valley

Ciao a tutte e tutti, siamo rientrati dal nostro viaggio a San Francisco e dintorni e vogliamo raccontarvi tutto. Sarà un po’ lunga, ma ti assicuro che ne vale la pena.
Un tempo c’era il Grand Tour: il viaggio di formazione tra città d’arte e capitali d’Europa per riportare a casa idee, sguardi e metodo. Oggi il nostro Grand Tour ha avuto un’unica meta: la California: non tra rovine e palazzi, ma tra immense corporation, campus universitari, community hub e quei garage dove le cose nascono prima di chiamarsi startup.
Questa è una newsletter speciale, un diario di viaggio: in 5 tappe vi raccontiamo cosa abbiamo visto tra Bay Area e Pacific Coast. Non cartoline, ma appunti vissuti: ritmi, rituali, errori utili, conversazioni che ci hanno illuminato le giornate. Ogni tappa ha lasciato un segno — e qualcosa di concreto da portare a casa.

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Prima tappa: Berkeley e Stanford

Alberto Tono

Noi: Pasquale, Enrico e Giacinto con Alberto Tono da Google a Mountain View.

La prima tappa del nostro Grand Tour dell’AI è Berkley, l’ateneo statale del sistema University of California. Appena arrivati ci ha accolti un campanile che svetta sopra i prati come una bandiera: linee veneziane, studenti ovunque anche la domenica. Il nostro ingresso nella Valley è attraverso un campus gigantesco—ci perdiamo tra prati e dipartimenti—e con un peso che si sente: qui è stato sviluppato il BSD/Unix, spina dorsale dei grandi server per decenni, e la comunità vanta oltre cento vincitori al premio Nobel tra docenti, ricercatori e alunni.
Dopo solo cinquanta minuti di macchina, raggiungiamo Stanford e cambia il respiro: gli archi, l’Oval, la teatralità dell’ingresso. Stanford è invece una Università privata della California, ed è curata fin nel dettaglio; l’impatto estetico è quasi un rito di passaggio, poi arriva la sostanza che ti sorprende: caffè pieni di ragazzi con i portatili, e i segni delle startup che sono diventate storia. È il posto che ti fa sognare di studiare qui: "tra le tre più importanti al mondo", con docenti e mentori che hanno formato intere generazioni.

È qui che incontriamo Piero Scaruffi, non è un nome qualunque: vive nella Bay Area da decenni, "personaggio importante nel mondo dell’intelligenza artificiale", autore di decine di libri sull'AI e sulla storia della Silicon Valley e creatore di uno dei primissimi siti web. Ed è proprio a questa icona (italiana) della Valley che chiediamo: perché qui? Cosa c'è di speciale in questa zona?
Ci risponde che tutto è iniziato negli anni ’50, quando la Bay Area era un miscuglio di scrittori, poeti, musicisti "un po’ matti", lontani dai centri di potere, abbastanza liberi da inventarsi un modo diverso di stare al mondo. Da questa cultura è nato lo spirito della disruption: l’idea che il punto non sia "inventare" per primi, ma guardare ciò che esiste e rifarlo in modo diverso.

A supporto di questa storia, Scaruffi ci spiazza con un elenco: il computer è stato inventato in Gran Bretagna, il transistor ai Bell Labs nel New Jersey, l’AI al MIT; perfino lo smartphone arriva da altre latitudini. Il microprocessore? Sì è nato qui, ma come evoluzione di circuiti nati altrove. La differenza qui non è l’invenzione, è la disruption: qualcuno fa lo smartphone in Finlandia, qui lo riguardano e dicono "facciamolo diverso". È questo "diverso" poi scatena ondate che cambiano il mondo.

Stanford

Stanford è enorme ed affascinante ma sicuramente il posto più nerd è questo: il Dipartimento di Computing and Data Science. Ascolta l'episodio da qui.

Ascolta l'episodio 1

Seconda tappa: TED AI di San Francisco

La seconda tappa del tour è stato il TED AI, due giornate di talk, "nel posto in cui è nato il TED AI", come ricordano gli organizzatori: aspettative altissime sugli speaker, qualche scricchiolio sull’organizzazione, ma un filo rosso chiarissimo — "dobbiamo essere più audaci con l’intelligenza artificiale". È un banco di prova più che uno show: domande non banali dal palco rivolte al pubblico, e la sensazione che qui si misuri la direzione, non solo la velocità.

Tra i momenti forti, Lion Jones (tra gli autori del famosissimo paper Attention is All You Need) invita a smettere di trattare i modelli come "umani mancati": sono entità diverse, con modi propri di apprendere, e vanno progettati perché si adattino nel tempo. Poi la parola passa ai costruttori: Rong Yan, CTO di HeyGen, mette il dito nella piaga dei deepfake e spiega l’approccio "alla YouTube": chi carica accetta i termini e si assume la responsabilità—naturale qui, molto meno scontato in Europa. Infine, Jeremiah Owyang (General Partner, Blitzscaling Ventures) alza l’asticella su come valutare davvero le imprese AI-native: la "formula" è semplice e spietata—fatturato diviso numero dei dipendenti come indicatore per capire se stai scalando con l’AI o stai solo aggiungendo tool. Usciamo con tre coordinate operative: guardare lontano, misurare subito con numeri semplici, assumerci le conseguenze.

TED AI

Qui al TED AI di San Francisco. Ascolta il nostro recap di tutto il TED da qui.

Ascolta l'episodio 2

Terza tappa: INNOVIT

Nel cuore di San Francisco, tra grattacieli e caffè dove si fanno pitch alle sette del mattino, entriamo da INNOVIT: Italian Innovation and Culture Hub.
È una casa italiana in piena Silicon Valley, voluta dalle nostre istituzioni e gestita con una logica pubblico-privato per fare da ponte—non solo per startup, ma anche per PMI già mature che vogliono misurarsi con il mercato americano. Qui ci spiegano che non è un "centro vetrina": è un acceleratore culturale prima ancora che tecnico.

In questa tappa abbiamo incontrato Carlo Rivis, Direttore dei programmi di INNOVIT: due/tre settimane intense, mentor di big tech e venture, sessioni frontali e 1-to-1, fino al demo day. Non un palcoscenico, ma un luogo dove testare davvero ambizioni e numeri.
Il punto, però, è più semplice e potente: che figata che esista un avamposto italiano così. Venire qui significa respirare l’aria giusta, capire il ritmo, imparare a dire l’essenziale in trenta secondi e misurarsi con chi ti chiede "dov’è la visione?". INNOVIT non ti racconta la Valley, ti ci mette dentro: ti aiuta a prepararti, ad alzare l’asticella, a capire come presentarti e con chi parlare. Se state costruendo una startup, informatevi e, se potete, veniteci. Anche solo una settimana cambia la prospettiva: vi portate a casa contatti utili, criteri più severi e, soprattutto, la sensazione concreta che giocarsela qui sia possibile.

Puntata da INNOVIT

Qui da INNOVIT a San Francisco con Carlo Rivis, Direttore dei programmi. Ascolta la puntata qui.

Ascolta l'episodio 3

Quarta tappa: Danilo e la sua startup

Se con INNOVIT ti è già venuta voglia di provarci, questa quarta tappa ti farà capire che si può fare. In un WeWork affacciato sulla baia incontriamo Danilo Costa, CEO e Founder di Coderblock: pochi mesi fa era un founder con una visione e uno zaino, oggi si muove tra meeting, pitch e notti corte con l’aria di chi sta spingendo davvero.
Ci racconta l’inizio con gli uffici virtuali e gli eventi online, poi la sterzata: "vibe coding", costruire prodotti come si costruisce una band—provando, ascoltando, cambiando pezzo se non suona nel modo giusto. Da strumento interno nasce un agente che scrive codice, e da lì un prodotto che comincia a camminare con le proprie gambe.

La parte bella è l'aspetto umano: l’entusiasmo, i dubbi, la disciplina quotidiana. Aprire negli Stati Uniti, imparare una lingua fatta di pitch da trenta secondi, community che ti danno una mano, porte che si aprono se mostri qualcosa che funziona. Non c’è magia: c’è il ritmo della Valley e la voglia di starci dentro senza perdere la propria identità.
Questa tappa è un invito esplicito: il sogno americano non è una cartolina, è un lavoro che si fa tutti i giorni. Danilo ci sta provando, e toccarlo con mano rende tutto più vicino anche per noi.

Danilo di Coderblock

Qui da Coderblock a San Francisco con Danilo Costa, CEO e Founder. L'episodio sarà disponibile dal 3 novembre.

Ultima tappa: Google

Come degna conclusione del viaggio non potevamo non passare da una delle protagoniste: Google ci ha aperto le porte. Una volta dentro, abbiamo incontrato Alberto Tono, ricercatore, che ci ha raccontato il suo lavoro tra esperimenti e prototipi, quel punto in cui un’idea diventa qualcosa che le persone possono davvero usare. Subito dopo, Ivan Nardini ci apre invece una finestra su Google Cloud dal suo ruolo di Developer Advocate: ruolo semplice da dire (o quasi), meno da fare: portare l’AI fuori dalle demo e dentro i processi di ogni giorno. Non trucchi da palcoscenico, ma strumenti che reggono nel tempo: modelli affidabili, memoria del contesto, modi chiari per verificare l’utilità di ciò che fanno. La velocità serve, ma solo se arriva all’utente senza perdere di vista sicurezza e responsabilità.

La parte più interessante è vedere la ricerca che diventa servizio: problemi ricorrenti dei clienti raccolti, affinati e messi a disposizione in modo comprensibile. Così la tecnologia smette di essere un termine in voga e diventa qualcosa che fa risparmiare ore, riduce gli errori, migliora l’esperienza.

Google

Qui con Ivan Nardini di Google. L'episodio sarà disponibile dal 6 novembre.

Sipario e Conclusioni

Arrivederci California

Nel nostro piccolo Grand Tour, non tra rovine e palazzi, ma tra campus, hub e sale conferenze, abbiamo attraversato la California per capire dove corre l’innovazione. E alla fine, in questa Silicon Valley, abbiamo trovato un pezzo d’Italia. Non per nostalgia: per presenza.

Quanta bella Italia, davvero. In questi giorni abbiamo incontrato ricercatori, founder, mentor, persone che qui vivono e lavorano. In un luogo dove la velocità e la competizione sembrano regnare, abbiamo sentito una comunità fortissima che fa rete, che si aiuta, che crede nel valore delle connessioni umane. È una infrastruttura umana fatta di generosità, rigore e responsabilità.

Torniamo a casa con un impegno semplice: coltivare queste stesse condizioni dove lavoriamo ogni giorno. Guardare lontano, misurare subito con numeri semplici, assumerci le conseguenze e, soprattutto, fare comunità. Perché il codice evolve, le mode passano: le reti che tengono, quelle sì, cambiano i territori e le persone che li abitano.

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