Anche quando l'intelligenza artificiale genera la stragrande maggioranza del codice, il capitale umano rimane indispensabile, anzi potrebbe servire in maggiori quantità. Questo è il "Dario Amodei-pensiero", che il CEO di Anthropic ha spiegato durante un recente intervento alla conferenza Dreamforce di Salesforce
Nel corso di una conversazione con Marc Benioff, amministratore delegato di Salesforce, Amodei ha rivelato che Claude AI scrive oggi il 90% del codice per la maggior parte dei team interni di Anthropic. Un dato impressionante che conferma una previsione fatta dal CEO stesso sei mesi prima, quando molti esperti del settore espressero scetticismo. La percentuale non riguarda solo l'azienda californiana specializzata in intelligenza artificiale, ma rispecchia una realtà condivisa da numerose società partner con cui Anthropic collabora.
La domanda spontanea di Benioff non si è fatta attendere: se l'automazione raggiunge questi livelli, significa che le aziende tecnologiche avranno bisogno di meno ingegneri informatici? La risposta di Amodei rovescia completamente l'equazione. Il problema, secondo il dirigente, sta nell'interpretare erroneamente cosa significhi davvero avere un'intelligenza artificiale che produce la quasi totalità del codice. Non si tratta di una sostituzione meccanica degli esseri umani, ma di una radicale ridefinizione delle loro funzioni.
Gli sviluppatori in carne e ossa concentrano ora le proprie energie sul 10% più complesso e strategico del lavoro: supervisionare i modelli di AI, editare il codice generato automaticamente, risolvere i problemi più intricati e progettare le funzionalità più sofisticate. Questa trasformazione non riduce il fabbisogno di personale qualificato, al contrario potrebbe richiedere più ingegneri, capaci però di lavorare con un livello di produttività decuplicato rispetto al passato. Si tratta di un "riequilibrio" delle competenze, non di una decimazione della forza lavoro.
Il fenomeno descritto dal CEO di Anthropic non rappresenta un caso isolato nell'ecosistema delle startup tecnologiche. Garry Tan, presidente e amministratore delegato di Y Combinator, uno dei più influenti incubatori di startup al mondo, ha rivelato lo scorso marzo che circa un quarto dei fondatori del programma invernale 2025 genera fino al 95% del proprio codice attraverso strumenti di intelligenza artificiale. La diffusione di questi sistemi sta cambiando velocemente il panorama dello sviluppo software a tutti i livelli.
Tuttavia, non tutti i segmenti professionali stanno vivendo questa transizione allo stesso modo. Una ricerca condotta dall'Università di Stanford ha individuato conseguenze preoccupanti per chi si affaccia al mercato del lavoro. Lo studio evidenzia come l'avvento degli strumenti di coding basati su AI stia già penalizzando le posizioni entry-level, quelle destinate ai neolaureati e agli sviluppatori alle prime armi. I dati raccolti fino a luglio 2025 mostrano un calo del 20% nell'occupazione degli sviluppatori tra i 22 e i 25 anni rispetto al picco raggiunto alla fine del 2022.
Il tempismo non è casuale: il declino delle opportunità per i giovani programmatori coincide con il lancio di ChatGPT nel novembre 2022, che ha segnato l'inizio della democratizzazione degli strumenti di intelligenza artificiale generativa. I ricercatori di Stanford sollevano un'allerta importante: questa tendenza rischia di scoraggiare i talenti emergenti dall'intraprendere carriere nel settore del software, creando una pericolosa interruzione nella filiera formativa. Se i giovani non trovano sbocchi lavorativi iniziali dove fare esperienza, l'intero ecosistema potrebbe trovarsi privo delle competenze necessarie nel medio termine.
Il divario generazionale emerge con chiarezza dall'analisi accademica. Gli sviluppatori con maggiore esperienza professionale dimostrano una resilienza significativamente superiore rispetto all'impatto degli strumenti di intelligenza artificiale. La loro sicurezza occupazionale rimane sostanzialmente inalterata nonostante i rapidi progressi tecnologici. Questa disparità suggerisce che l'AI, almeno nella fase attuale, funziona meglio come amplificatore delle competenze esistenti piuttosto che come sostituto completo del giudizio umano esperto.
La visione ottimista di Amodei sul futuro del lavoro degli ingegneri informatici presenta quindi un'immagine complessa e stratificata. Mentre i professionisti affermati possono aspettarsi un aumento della produttività e potenzialmente della domanda per le loro competenze avanzate, chi cerca di entrare nel settore si trova ad affrontare ostacoli inediti. La sfida per l'industria tecnologica sarà trovare modalità per preservare i percorsi di crescita professionale che hanno sempre permesso la formazione di nuove generazioni di sviluppatori qualificati.