Il passaggio al cloud pubblico, un tempo considerato una scelta obbligata per qualsiasi organizzazione orientata all'innovazione, sta subendo una profonda revisione strategica. Sempre più chief information officer stanno abbandonando l'approccio "cloud first" a favore di una strategia "cloud smart", guidata dalla necessità di ottimizzare i costi e allineare meglio le scelte tecnologiche agli obiettivi di business. Secondo un'indagine di VMware, il 21% della spesa globale per infrastrutture cloud enterprise viene sprecato in risorse sottoutilizzate, per un totale di 44,5 miliardi di dollari nel 2025, con il 31% dei CIO che ammette di sprecare metà del proprio budget cloud.
La rilevanza di questa inversione di tendenza va ben oltre la semplice razionalizzazione dei costi. Si tratta di un cambio di paradigma che rimette in discussione l'assunto secondo cui la migrazione totale al cloud rappresenti sempre la soluzione ottimale. Le organizzazioni stanno scoprendo che carichi di lavoro diversi richiedono ambienti di esecuzione differenti, e che l'equilibrio tra cloud pubblico, privato e infrastruttura on-premise può generare vantaggi competitivi significativi, soprattutto nell'era dell'intelligenza artificiale.
Ryan McElroy, vicepresidente tecnologico della società di consulenza Hylaine, è categorico: "La transizione totale al cloud è finita". Le organizzazioni cloud smart, spiega, hanno sviluppato processi chiari e verificati per determinare quali workload traggano realmente beneficio dal cloud pubblico. I carichi di lavoro che richiedono deployment rapido e scalabilità massiva si prestano naturalmente al cloud, mentre soluzioni basate su tecnologie legacy o con pattern di utilizzo altamente prevedibili risultano più efficienti in datacenter gestiti internamente.
Diversi fattori hanno contribuito a questa evoluzione: i progressi dell'infrastruttura on-premise, l'allungamento dei cicli di sostituzione hardware, i costi elevati dei provider hyperscale e, non ultimo, l'impatto dell'intelligenza artificiale. Quest'ultima, in particolare, ha introdotto nuove variabili critiche legate alla governance dei dati e ai costi di elaborazione. Molte organizzazioni non hanno né la volontà né le competenze per costruire datacenter GPU ad alte prestazioni, ma al contempo mantengono i propri dati in ambienti on-premise per motivi di sicurezza o conformità normativa, generando complessità impreviste e costi di migrazione e data egress.
La transizione verso il cloud smart non è priva di ostacoli. McElroy sottolinea che spesso richiede un cambio di leadership tecnologica, poiché le organizzazioni che hanno già completato la migrazione trovano estremamente difficile invertire la rotta. Inoltre, è necessario mantenere e riqualificare personale capace di gestire datacenter proprietari o facility di colocation, un investimento che molte aziende hanno già smantellato.
Procter & Gamble rappresenta un caso emblematico di evoluzione strategica. Otto anni fa, la multinazionale dei beni di consumo aveva adottato una strategia cloud first, migrando progressivamente i workload verso hyperscaler e distribuendo tutte le nuove applicazioni esclusivamente su cloud pubblico. Oggi, come spiega Paola Lucetti, CTO e vicepresidente senior, l'azienda mantiene la maggior parte dei carichi di lavoro in cloud, ma con un approccio più selettivo: alcuni workload rimangono fuori dal cloud pubblico per requisiti di latenza o prestazioni, e vengono regolarmente rivalutati.
Per Procter & Gamble, essere cloud smart significa oggi selezionare l'hyperscaler appropriato per ciascun workload, rivalutare regolarmente queste scelte, integrare pratiche FinOps per garantire trasparenza e governance, e sfruttare architetture ibride per casi d'uso specifici. Questo approccio, sottolinea Lucetti, non è solo una questione tecnica ma rappresenta un cambiamento culturale che riflette una mentalità di flessibilità strategica, allineando le decisioni tecnologiche ai risultati di business.
L'intelligenza artificiale sta accelerando questa trasformazione. Gli investimenti in GPU di fascia alta rappresentano una scelta critica: noleggiare server equipaggiati con chip Nvidia per tre anni 24/7 può risultare finanziariamente insostenibile rispetto all'acquisto diretto, ma la flessibilità di accedere continuamente a nuovi modelli può costituire un vantaggio strategico. Cisco ha adottato un approccio particolarmente rigoroso alla governance dei dati AI. Nick Kail, principal engineer e product architect dell'azienda, chiarisce che cloud smart non significa semplicemente rimpatriare workload on-premise, ma allineare la gravità dei dati AI con il piano di controllo appropriato.
L'organizzazione IT di Cisco ha segmentato i workload tra cloud privato e pubblico in base alla sensibilità dei dati. Il training di modelli su larga scala e il fine-tuning richiedono controllo rigoroso su dati clienti e telemetria, quindi vengono eseguiti in ambienti privati sicuri, mentre orchestrazione e servizi non sensibili risiedono nel cloud pubblico. Questa architettura ibrida ha migliorato la conformità normativa, ridotto la latenza dell'inferenza e generato risparmi misurabili sui costi cloud.
Nel settore assicurativo, World Insurance Associates interpreta il cloud smart attraverso l'adozione di framework FinOps. Il CIO Michael Corrigan descrive un approccio basato su ottimizzazione e standardizzazione delle configurazioni di macchine virtuali, dimensionamento accurato di storage e computing, e spegnimento automatico delle istanze durante i periodi di basso utilizzo. L'azienda negozia diversi livelli di commitment con i fornitori cloud, dalla capacità on-demand alle istanze riservate, ottenendo sconti significativi grazie a previsioni accurate del consumo.
Per i workload AI, World Insurance Associates adotta un approccio a più livelli: query semplici vengono indirizzate verso modelli linguistici di piccole dimensioni (SLM) meno costosi, mentre solo le richieste complesse accedono a large language model più dispendiosi. Questo routing intelligente consente di gestire i costi in base alla complessità effettiva del processo, mantenendo alta la soddisfazione degli utenti.
La questione rimane quanto le organizzazioni siano disposte ad ammettere pubblicamente questa inversione di rotta. McElroy stima che solo il 10% delle aziende riconosca apertamente di essere passato a una strategia cloud smart, una percentuale che definisce significativa pur sembrando contenuta. Il problema, aggiunge, è che molte organizzazioni percepiscono istintivamente che i costi cloud sono eccessivi, ma senza una quantificazione precisa dei potenziali risparmi, i CFO esitano ad approvare operazioni rischiose di cloud repatriation.
Lucetti di Procter & Gamble definisce la strategia cloud dell'azienda un "framework vivente", destinato a evolversi continuamente per sfruttare le capacità cloud appropriate e collegare AI e funzionalità basate su agenti al valore di business.
L'obiettivo dichiarato è mantenere l'agilità in un panorama digitale in rapida evoluzione, allineando le decisioni tecnologiche ai risultati aziendali. La sfida per i CIO diventa quindi quella di bilanciare continuamente innovazione e pragmatismo economico, in un contesto dove la tecnologia cloud non rappresenta più una destinazione definitiva ma un percorso in continua ridefinizione, e dove la capacità di orchestrare intelligentemente ambienti eterogenei potrebbe determinare il vantaggio competitivo del prossimo decennio.