La rivoluzione del cloud computing sta attraversando una fase di profonda trasformazione che ridefinisce le priorità tecnologiche delle aziende globali. Quello che fino a pochi anni fa sembrava un percorso lineare verso la migrazione totale al cloud pubblico, oggi si rivela essere un panorama molto più articolato e strategicamente complesso. Le organizzazioni stanno scoprendo che il futuro dell'IT non risiede in una scelta binaria tra pubblico e privato, ma in una valutazione attenta di quale modello risponda meglio alle esigenze specifiche di sicurezza, controllo dei costi e innovazione.
L'entusiasmo iniziale per il cloud pubblico era alimentato da promesse innegabilmente allettanti: agilità senza precedenti, scalabilità pressoché infinita e la conversione delle ingenti spese in conto capitale (CapEx) in costi operativi più flessibili (OpEx). Per molte aziende, questo ha rappresentato una democratizzazione della tecnologia, consentendo anche alle piccole e medie imprese di accedere a potenze di calcolo e servizi software che prima erano appannaggio esclusivo delle grandi corporation. Tuttavia, con la maturazione del mercato e l'accumularsi di esperienza sul campo, sono emerse anche le sfide intrinseche di un approccio "all-in" al cloud pubblico.
Una delle principali prese di coscienza ha riguardato la gestione dei costi. Il modello pay-as-you-go, sebbene flessibile, può trasformarsi in una trappola di spese imprevedibili e crescenti se non governato con disciplina ferrea. I costi legati al traffico dati in uscita (egress fees), lo storage a lungo termine e le istanze di calcolo sovradimensionate hanno spesso portato a bollette ben più salate del previsto, spingendo molte organizzazioni a riconsiderare il ritorno economico complessivo. È nato così il concetto di "rimpatrio del cloud" (cloud repatriation), dove alcuni carichi di lavoro specifici vengono deliberatamente riportati dall'ambiente pubblico a un'infrastruttura privata per ottimizzare le performance e, soprattutto, i costi a lungo termine.
Tra privato e pubblico, si consolida il multicloud
Parallelamente, il pilastro della sicurezza e della conformità normativa si è rivelato un fattore decisivo. In un mondo sempre più regolamentato da normative stringenti come il GDPR in Europa, la sovranità dei dati – ovvero il principio secondo cui i dati sono soggetti alle leggi e alle normative del paese in cui sono fisicamente archiviati – è diventata una priorità non negoziabile per settori come quello finanziario, sanitario e governativo. Affidare i dati più sensibili e critici a un provider esterno, la cui infrastruttura fisica può trovarsi in giurisdizioni straniere, introduce un livello di rischio e complessità che molte aziende non sono più disposte ad accettare. Il controllo diretto offerto da un cloud privato, gestito on-premise o in un data center di fiducia, fornisce quella garanzia di controllo e residenza dei dati che il modello pubblico non sempre può assicurare.
È in questo contesto che il modello di cloud ibrido emerge non più come una soluzione di transizione, ma come la destinazione strategica per l'impresa moderna. Il cloud ibrido combina il meglio di entrambi i mondi: la sicurezza, il controllo e le performance di un'infrastruttura privata per i carichi di lavoro mission-critical e i dati sensibili, con l'agilità, la scalabilità e la vasta gamma di servizi innovativi (come l'intelligenza artificiale e il machine learning) del cloud pubblico per le applicazioni rivolte al cliente e i progetti di sviluppo sperimentali. Questo approccio permette alle aziende di posizionare ogni singolo workload sull'ambiente più adatto, ottimizzando simultaneamente costi, sicurezza e capacità di innovare.
La vera rivoluzione, quindi, non è più la semplice adozione del cloud, ma l'orchestrazione intelligente di un ecosistema multi-cloud e ibrido. Le aziende leader non si chiedono più "se" migrare al cloud, ma "quale cloud" utilizzare per "quale specifica applicazione". Questa nuova fase richiede competenze più sofisticate, piattaforme di gestione unificate in grado di monitorare e governare ambienti eterogenei e una mentalità culturale, nota come FinOps, che integra strettamente le decisioni finanziarie con le operazioni tecnologiche.
L'ascesa del "FinOps"
I numeri parlano chiaro e disegnano un quadro inaspettato: secondo l'indagine "Private Cloud Outlook 2025" condotta da Illuminas per Broadcom su 600 responsabili IT dell'area EMEA, oltre la metà delle aziende europee considera il cloud privato la destinazione privilegiata per i nuovi carichi di lavoro nei prossimi tre anni. Un dato ancora più sorprendente emerge dal fenomeno della "repatriation": il 65% delle organizzazioni sta valutando di riportare i propri workload dal cloud pubblico a quello privato, mentre il 35% lo ha già fatto concretamente.
Questa inversione di tendenza non è casuale, ma risponde a criticità concrete emerse dall'esperienza diretta delle aziende. La gestione finanziaria nel cloud pubblico si è rivelata una sfida significativa: il 94% delle organizzazioni segnala sprechi nella spesa cloud, con quasi la metà che stima oltre un quarto di tale spesa come completamente inutilizzata.
La sicurezza come catalizzatore del cambiamento
La questione della sicurezza rappresenta il vero punto di svolta in questa nuova fase del cloud computing. Due leader IT su tre esprimono preoccupazioni significative riguardo alla compliance nel cloud pubblico, trasformando la sicurezza nel principale motore della migrazione di ritorno verso ambienti privati. Il 93% delle aziende si affida infatti al cloud privato per soddisfare i propri requisiti di sicurezza e conformità, una percentuale che testimonia la fiducia riposta in questo modello per la protezione dei dati critici.
L'emergere dell'intelligenza artificiale generativa ha ulteriormente complicato il panorama della sicurezza, introducendo nuove sfide legate alla privacy e al controllo dei dati sensibili utilizzati per l'addestramento dei modelli. In questo contesto, il 54% delle organizzazioni sceglie il cloud privato per l'addestramento, la messa a punto e l'inferenza dei modelli di AI, una percentuale quasi identica a quella di chi opta per il cloud pubblico, evidenziando come il privato sia diventato un'alternativa credibile anche per i workload più innovativi.
È in questo scenario di trasformazione che Broadcom ha presentato a Milano, attraverso gli interventi di Mario Derba, Italy Country Manager, e Claudia Angelelli, EMEA Manager Solution Architect, la disponibilità generale di VMware Cloud Foundation 9.0. La piattaforma rappresenta una risposta concreta alle esigenze emergenti del mercato, ridefinendo il concetto stesso di cloud privato da semplice "location" a vero e proprio "operating model" completo.
L'architettura dell'innovazione unificata
VMware Cloud Foundation 9.0 si distingue per un approccio radicalmente nuovo alla gestione dell'infrastruttura IT. L'introduzione della VCF Operations Console crea un punto di controllo unificato che può aumentare fino a 10 volte la produttività giornaliera degli amministratori, offrendo una visione olistica dell'intera infrastruttura e semplificando drasticamente le operazioni di installazione e gestione quotidiana.
Per i team di sviluppo, la piattaforma introduce la VCF Automation Console, un'interfaccia che trasforma l'esperienza di consumo delle risorse in qualcosa di veramente "cloud-like". Gli sviluppatori ottenengono accesso self-service a servizi infrastrutturali elastici e automatizzati, mentre i team di piattaforma mantengono il controllo necessario per garantire governance e sicurezza, creando un equilibrio ottimale tra agilità operativa e controllo aziendale.
Una delle caratteristiche più innovative di VCF 9.0 è la capacità di supportare in modo nativo ogni tipologia di applicazione, dalle più tradizionali a quelle moderne basate su microservizi, fino ai workload di intelligenza artificiale. Grazie al servizio Kubernetes integrato di vSphere, la piattaforma gestisce in modo omogeneo macchine virtuali e container, eliminando la complessità di stack DevOps separati e permettendo l'esecuzione di carichi di lavoro diversificati sulla stessa infrastruttura.
La trasparenza economica rappresenta un altro pilastro fondamentale della nuova piattaforma. VCF 9.0 introduce insight sui costi che vanno oltre la semplice infrastruttura, includendo licenze software e costi operativi per fornire una visione completa del TCO. Le funzionalità di modellazione predittiva e ottimizzazione automatica delle risorse permettono alle organizzazioni di pianificare efficacemente la spesa e migliorare continuamente l'efficienza operativa.
Dal punto di vista delle performance, la piattaforma integra innovazioni significative nelle tecnologie core. L'Advanced Memory Tiering per NVMe può ridurre il TCO di server e memoria del 38%, mentre VMware vSAN ESA con Global Dedupe abbassa il TCO dello storage del 34%. I miglioramenti al percorso dati di VMware NSX possono triplicare le prestazioni di switching, mentre per i carichi di lavoro AI la piattaforma offre prestazioni quasi equivalenti al bare-metal mantenendo la flessibilità di vMotion senza downtime.
L'ecosistema dei servizi avanzati
Oltre alla piattaforma base, Broadcom ha sviluppato un portafoglio di servizi specializzati che amplificano le capacità di VCF 9.0. VMware Private AI Foundation with NVIDIA emerge come soluzione di punta, fornendo una piattaforma completa e sicura per costruire, personalizzare ed eseguire modelli di intelligenza artificiale in ambienti completamente privati, rispondendo alle crescenti esigenze di sovranità dei dati nell'era dell'AI.
VMware Live Recovery potenzia le capacità di disaster recovery e recupero da attacchi informatici con opzioni completamente on-premises, mentre VMware vDefend si concentra sulla sicurezza laterale e la micro-segmentazione per proteggere i workload critici. VMware Data Services Manager estende il supporto a database essenziali come PostgreSQL e MySQL, con Microsoft SQL Server disponibile in anteprima tecnologica.
La SecOps Dashboard di VCF 9.0 offre visibilità immediata sulla postura di sicurezza dell'intera piattaforma, mentre il supporto per le tecnologie di confidential computing di AMD e Intel permette di proteggere anche i carichi di lavoro più sensibili, garantendo quella sovranità dei dati che rappresenta una priorità crescente per le organizzazioni europee.
Tuttavia, la transizione verso un modello di cloud privato moderno non è esclusivamente una questione tecnologica. Il report di Broadcom evidenzia che la principale sfida all'adozione è rappresentata dai team IT ancora organizzati in silos tradizionali, una problematica segnalata dal 35% degli intervistati, seguita dalla carenza di competenze interne specifiche, indicata dal 29% del campione.
La risposta a queste sfide risiede in un cambiamento organizzativo profondo che integri persone, processi e tecnologia sotto un modello di piattaforma unificato. Le aziende stanno già recependo questo messaggio: l'83% degli intervistati in EMEA sta riorganizzando i propri team IT intorno a una logica di piattaforma, abbandonando i silos tecnologici per investire nel reskilling delle risorse e nella creazione di ambienti IT più efficaci, sicuri ed economicamente sostenibili.
Il "cloud reset" non rappresenta quindi un passo indietro, ma una maturazione strategica del mercato che riconosce il valore di approcci diversificati e specifici per contesto. VMware Cloud Foundation 9.0 e il suo ecosistema di servizi avanzati si posizionano come risposta a questa evoluzione, offrendo alle organizzazioni gli strumenti tecnologici e la visione strategica necessari per costruire l'infrastruttura cloud del futuro, dove controllo, sicurezza e innovazione possono coesistere in un equilibrio ottimale.