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Il problema tra gli USA e la Cina non è commerciale, ma molto più grande

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Avatar di Giancarlo Calzetta

a cura di Giancarlo Calzetta

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Pubblicato il 22/07/2019 alle 13:52

Si è detto e scritto molto di quello che sta accadendo tra la Cina e gli USA, di cosa potesse significare bloccare Huawei e di come la situazione non sia stata poi così chiara come ci sarebbe piaciuto, con continui cambiamenti nella posizione americana e del momentaneo disgelo tra le due superpotenze. Il motivo di questa confusione è che, secondo me, non si sta guardando nel punto giusto. La sicurezza ha davvero poco a che vedere con tutta la situazione, anche se non è un dettaglio da sottovalutare.

Diciamo subito che è molto chiaro che lo scopo primario di Trump fosse quello di tenere negli USA quanti più possibile di quei 500 miliardi di dollari che serviranno a diffondere il 5G sul territorio e sfruttarlo come si deve per far fare un altro passo in avanti alla digitalizzazione delle imprese a stelle a strisce. Ma questa è solo una visione miope del problema, sebbene economicamente impressionante. Una lucina rossa sul quadro di controllo della situazione mondiale, dal quale sembra mancare un allarme collegato a un indicatore ben più importante.

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In ambito geopolitico, infatti, c’è una componente che non può mancare per mantenere la pace: l’equilibrio. Questo concetto è ben conosciuto in ambito militare: per evitare guerre, le nazioni devono essere in grado di controbattere a qualsiasi arma in possesso degli avversari oppure dimostrare di avere armi che possono rappresentare una rappresaglia efficace. Nel momento in cui una fazione prende un vantaggio troppo evidente sull’altra, la situazione diventa rischiosa. Iniziano le provocazioni basate sul rapporto di forza, si devono fare concessioni, si alza la tensione e… la storia ci insegna come va a finire.

In una economia globalizzata come quella che caratterizza il nostro pianeta, la stessa cosa vale nei settori produttivo ed economico. Se una fazione prende un vantaggio troppo grande in un ambito, prima o poi inizierà a bullizzare quelle meno sviluppate e le cose potrebbero andare a finire male.

Andando a guardare come è strutturato al momento il Mondo, vediamo che di equilibrio ce n’è ben poco. Gli USA hanno il controllo praticamente incontrastato di tutto il software più importante che fa girare le aziende mondiali, con particolare riferimento al mondo occidentale; la Cina ha una posizione fortissima della produzione in serie a livello mondiale.  Quello a cui ci troviamo davanti è lo scenario di rappresaglia: le due ‘superpotenze” produttive hanno ognuna un’arma da usare contro l’altra per tenere in equilibrio la bilancia del potere, ma… fino a un certo punto perché l’impatto delle minacce non è assolutamente comparabile.

Mentre l’occidente, guidato da quello che potremmo definire un consumismo capitalistico cieco,  ha consegnato armi e bagagli della sua produzione tecnologica alla Cina, il colosso asiatico è stato molto più attento, sviluppando un proprio ecosistema interno di software che può renderlo perfettamente indipendente dalle risorse occidentali. Certo, un blocco commerciale da parte degli USA non sarebbe indolore, ma mentre è praticamente impossibile costringere i software che sono in Cina a smettere di funzionare di botto, dando il tempo alle realtà asiatiche di adeguarsi a un eventuale cambiamento di massa, se la Cina dovesse chiudere i porti in uscita, le aziende USA non avrebbero più nulla da vendere per anni.

Che fine avrebbero fatto Dell, HP, Apple e simili se la Cina avesse deciso di rispondere a muso duro alle provocazioni di Trump? Quanti anni servirebbero, perché di anni si parla, per costruire nel resto del mondo le fabbriche necessarie a ripristinare la capacità produttiva di cui l’occidente ha bisogno? Nel frattempo, cosa accadrebbe in termini di progresso tecnologico, industriale e militare in Cina? Quanto vantaggio riuscirebbe ad accumulare mentre l’occidente spende tutte le sue energie nel recuperare quanto aveva felicemente consegnato a quello che una volta era un nemico da temere e che in questo scenario tornerebbe a esserlo?

Non ci sono numeri esatti, ma nessuna delle stime disponibili (che sono poche) dipinge un quadro incoraggiante per i nostri Paesi. E non stiamo parlando solo di commercio, ma di sicurezza a livello nazionale perché rompere la legge dell’equilibro potrebbe portare, in un futuro, a una qualche forma di guerra, più o meno violenta e magari neanche combattuta con le armi, ma con gli stessi esiti: le nazioni più forti annetterebbero quelle più deboli.

E adesso che siamo arrivati alle parole  “sicurezza nazionale”, forse si comprende meglio la reazione USA. Quando gli USA parlano di sicurezza nazionale finisce sempre nello stesso modo: diventano nervosi, perdono lucidità, credono che l’unica condotta possibile sia quella aggressiva, per non dimostrarsi deboli. Ma stavolta non è stato così facile. Minacciare la Cina può svegliare il cane che dorme (che non è un cane, ma un dannato robot armato fino ai denti, con piani di sviluppo e di difesa ben precisi) e portare allo scontro frontale.

In tutto ciò, manca un tassello di un certo peso nella vita di noi tutti: l’Europa. E non è un caso. Al momento, l’unico campo in cui il nostro continente è all’avanguardia è quello dell’etica e dei diritti digitali. Un po’ poco per avere voce in questa situazione. È quasi come avere l’asso di briscola seduti a un tavolo in cui giocano a poker.

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